IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 438 del c.p.p., nella parte in cui e' previsto, in caso di dissenso del p.m. alla procedura con rito abbreviato richiesta dall'imputato, un potere di sindacato dello stesso da parte del giudice, in riferimento agli artt. 25, secondo comma (la' ove e' sancito il principio di legalita' della pena), 101 (principio di soggezione del giudice solo alla legge), 24 (principio del diritto di difesa) e 3 (principio di uguaglianza) della Costituzione; O S S E R V A All'apertura dell'udienza preliminare nei confronti dell'imputato di omicidio colposo Guida Piero, il Guida faceva istanza di definizione anticipata del processo. Il p.m. non accordava il suo consenso in considerazione della circostanza che occorreva effettuare ulteriori accertamenti sull'esistenza del rapporto assicurativo, accertamenti che potevano riflettersi sulla responsabilita' del Guida. Non ricorrendo uno dei presupposti per fare luogo alla valutazione sulla definibilita' allo stato degli atti del processo ai sensi dell'art. 440 del c.p.p., questo giudice non poteva che dichiarare inammissibile la domanda proposta dal Guida. A questo punto la difesa di quest'ultimo sollevava la questione di costituzionalita' dell'art. 438 del c.p.p., argomentando sulla ritenuta violazione dei principi costituzionali che sono stati sopra indicati. Il problema della costituzionalita' del rito abbreviato, soprattutto in relazione alla sua proponibilita' subordinata al consenso del p.m., e' stato gia' affrontato dalla Corte costituzionale, in riferimento all'art. 452 del c.p.p. e all'art. 247, primo, secondo e terzo comma. Norme di attuazione e transitorie del c.p.p. del 1988, cosicche' l'interprete ha oggi, in riferimento alle questioni sollevate dalla difesa nel caso di specie, alcuni punti fermi a cui ancorare la valutazione. Deve essere ricordato che i giudici di codesta Corte hanno statuito sia nella sentenza dell'8 febbraio 1990, n. 66, che in quella successiva del 4 aprile 1990, n. 183, che il giudizio abbreviato e' un accordo delle parti sul rito che ha peraltro un effetto, non lieve, sul merito, portando alla diminuzione di un terzo della pena da irrogare; che non e' giustificato, sotto un profilo costituzionale, che il p.m. di fronte ad una richiesta della parte di giudizio abbreviato, possa sacrificare oltre al rito, anche l'effetto sulla pena senza l'enunciazione delle ragioni del suo dissenso, dissenso che secondo la Corte va rapportato al parametro della definibilita' del processo allo stato degli atti; che la conformita' ai principi costituzionali delle due norme citate puo' essere salvaguardata solo riconoscendo che il giudice - all'esito del dibattimento sia nel caso della disciplina transitoria che in quello di cui all'art. 452 del c.p.p. - debba pervenire al sindacato sulla giustificazione del dissenso opposto dal p.m. ed applicare all'imputato la riduzione di pena, in caso debba ritenersi ingiustificato il dissenso. E' quindi immediato rilevare come la questione di costituzionalita' sollevata dalla difesa sia fondata, nel senso che l'aver svincolato da un obbligo di motivazione e da un sindacato del giudice il dissenso del p.m., a fronte del quale il giudice non puo' inoltrarsi nella valutazione sulla definibilita' o meno del processo allo stato degli atti sollecitata dall'imputato, e' sicuramente in contrasto con i principi costituzionali enunciati dalla difesa ed in particolare del principio di legalita' della pena (la pena da irrogare verrebbe ad essere no gia' predeterminata per legge, bensi' condizionata dalla condotta processuale del p.m., parte processuale), del principio di uguaglianza (tenuto conto che due imputati nelle identiche situazioni potrebbero subire, a seconda del parere espresso dal p.m. due trattamenti diversi sotto il profilo sanzionatorio), dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione perche' porterebbe ad uno sconfinamento dell'attivita' decisoria del p.m. che e' preclusa, nonche' dell'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione essendo il diniego del p.m. preclusivo di una forma di attivita' difensiva dell'imputato. Quanto alla rilevanza della questione va detto che e' all'udienza preliminare che si esaurisce la facolta' dell'imputato di formulare richiesta di definizione anticipata del processo ed e' pertanto in relazione all'art. 438 del c.p.p. che - in una prospettiva di adeguamento della norma ai principi costituzionali gia' richiamati da codesta ecc.ma Corte - dovrebbe essere previsto un meccanismo di devoluzione o al giudice dell'udienza preliminare ovvero il giudice della fase dibattimentale, la valutazione del mancato consenso. In questa ottica quindi si profila la rilevanza, anche nella previsione che possa essere riconosciuta all'esito del giudizio (dibattimentale) la valutazione cui si ha riguardo, secondo il meccanismo dell'art. 448 del c.p.p.