ha pronunciato la seguente
                                 SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 425 del codice
 di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 6 febbraio 1990
 dal G.I.P. presso il Tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a
 carico di Figliano Antonio, iscritta al n. 309 del registro ordinanze
 1990  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22,
 prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  consiglio dei
 ministri;
    Udito  della  camera  di  consiglio dell'11 luglio 1990 il Giudice
 relatore Ettore Gallo;
                           Ritenuto in fatto
    Con   ordinanza  6  febbraio  1990  il  Giudice  per  le  indagini
 preliminari presso il Tribunale di Catanzaro sollevava  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  425  del codice di procedura
 penale  per  asserito  contrasto  con  gli  artt.  3   e   24   della
 Costituzione.
    Esponeva  il Giudice nell'ordinanza che il pubblico ministero, con
 atto 28 dicembre 1989, aveva chiesto decreto di citazione a  giudizio
 di  un  imputato  di truffa aggravata a' sensi dell'art. 640, secondo
 comma, codice penale, per avere ottenuto,  con  artifizi  e  raggiri,
 inducendo in errore i dirigenti della sede di Catanzaro della B.N.L.,
 un prestito agrario di lire 35 milioni.
    Il  fatto  si  era  verificato  nell'agosto  1983,  ma - riferisce
 l'ordinanza - nessun atto di sorta  era  stato  compiuto  da  allora,
 benche'   il   fascicolo   processuale  fosse  stato  formato  presso
 l'Autorita' giudiziaria subito  dopo  il  fatto.  Il  primo  atto  di
 esercizio  dell'azione penale era, percio', rappresentato dalla detta
 richiesta del  pubblico  ministero,  sicche'  oltre  sei  anni  erano
 trascorsi  fra la commissione del fatto e il promovimento dell'azione
 penale senza che fosse  intervenuto  alcun  atto  interruttivo  della
 prescrizione  del reato. La quale, pero', a' sensi dell'art. 157 n. 3
 c.p. si matura in dieci anni se si tratta di delitto per cui la legge
 stabilisce  la  reclusione  non  inferiore  ad anni cinque: e tale e'
 sicuramente la pena prevista per il delitto di  truffa  ai  danni  di
 ente  pubblico  per cui e' causa, punibile con la reclusione da uno a
 cinque anni.
    Ritiene, tuttavia, il giudice che, essendo scarsamente rilevanti i
 precedenti penali dell'imputato, e  dato  il  tempo  trascorso  e  le
 modalita' operative del fatto (che ha potuto avere successo anche per
 l'indifferenza   dell'Istituto   in   ordine   ai   previ   opportuni
 accertamenti), all'imputato potrebbero essere riconosciute attenuanti
 generiche,   equivalenti   alla   contestata   aggravante:   il   che
 determinerebbe la prescrizione del reato.
    Senonche'  rileva  il  Giudice  che  ne' la lettera ne' lo spirito
 degli artt. 425 e 429 del codice di procedura penale  consentirebbero
 di   concepire   il   rinvio   a  giudizio  in  termini  di  prognosi
 colpevolistica, come accade, invece, nell'ambito  delle  disposizioni
 transitorie.   L'art.   256   di   queste  ultime,  infatti,  prevede
 espressamente  il  rinvio  a  giudizio  soltanto  quando  l'autorita'
 giudiziaria  ritiene  "che  gli  elementi  di  prova  raccolti  siano
 sufficienti a determinare, all'esito dell'istruttoria dibattimentale,
 la  condanna  dell'imputato":  mentre  poi  il  successivo  art.  257
 consente al giudice  di  "tenere  conto  delle  diminuzioni  di  pena
 derivanti  da  circostanze  attenuanti  e  applicare  le disposizioni
 dell'art. 69 del c.p.",  "ai  fini  della  pronuncia  delle  sentenze
 istruttorie  di  proscioglimento  ovvero di quelle previste dall'art.
 421 del codice abrogato".
    1.  -  Secondo  l'ordinanza,  cio'  determinerebbe  ingiustificata
 disparita' di trattamento, uguale essendo la ratio che e'  alla  base
 di   ambo   i  procedimenti,  sostanziata  da  esigenza  di  economia
 processuale, essendo costoso e defatigatorio disporre un giudizio che
 sicuramente si risolvera' a favore del giudicabile. Il che, peraltro,
 si porrebbe altresi' in contrasto con l'art.  24  della  Costituzione
 perche'  impedisce  alla  difesa  di  conseguire  il  proscioglimento
 istruttorio.
    2.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato, che  ha
 sostenuto  l'inammissibilita' della questione o, in subordine, la sua
 infondatezza.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Secondo  il  Giudice  per le indagini preliminari presso il
 Tribunale di Catanzaro, sussisterebbe  ingiustificata  disparita'  di
 trattamento  fra  la  situazione  di cui all'art. 425 c.p.p., che non
 consente  al  giudice  dell'udienza  preliminare  di  riconoscere  la
 sussistenza  di  circostanze attenuanti, ne' di procedere al giudizio
 di comparazione fra circostanze, ai fini della  declaratoria  di  una
 causa  di  estinzione  del  reato, e quella di cui al regime previsto
 negli artt. 256 e 257 Disposizioni Transitorie.
    Per queste ultime, infatti, e' espressamente previsto che, ai fini
 della pronunzia delle sentenze istruttorie di proscioglimento  ovvero
 di  quelle  di cui all'art. 421 del codice abrogato, il giudice possa
 tenere conto delle  diminuzioni  di  pena  derivanti  da  circostanze
 attenuanti  e  applicare  le  disposizioni  dell'art.  69  del codice
 penale.
    Secondo   il  giudice  a  quo  la  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione  deriverebbe  dal  fatto  che  alla  base  di   ambo   i
 procedimenti  sta  la  stessa  ratio,  rappresentata dall'esigenza di
 economia processuale secondo  cui  il  dibattimento  va  liberato  da
 processi  "inutilmente costosi e giuridicamente defatigatori", quando
 e' prevedibile un esito processualmente o sostanzialmente  favorevole
 al giudicabile.
    Il  che  poi  comporterebbe anche la violazione dell'art. 24 della
 Costituzione perche' si  preclude  alla  difesa  la  possibilita'  di
 ottenere il proscioglimento istruttorio.
    L'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  intervenuta  nel giudizio a
 rappresentare il Presidente del Consiglio dei  ministri,  ha  chiesto
 che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o,  in subordine,
 infondata.
    2.  -  L'eccezione di inammissibilita' prospettata dall'Avvocatura
 Generale dello Stato non puo' essere accolta. Essa e' stata  avanzata
 evidentemente   nell'opinione   che   il   delitto  di  truffa  fosse
 circostanziato  da  aggravante  comune,  nel  qual  caso  -   secondo
 l'Avvocatura  - essendosi comunque il reato estinto, sarebbe venuta a
 mancare la rilevanza della questione.
    Ma  - come s'e' visto - l'aggravante contestata e', invece, quella
 specifica del secondo comma dell'art. 640 c.p., la cui pena  edittale
 non  e'  inferiore  ad  anni  cinque di reclusione, sicche' il reato,
 salvo l'eliminazione dell'aggravante, si prescrive in dieci anni.
    Nel merito la questione non e' fondata.
    E'  esatto che - come osserva il Giudice rimettente - esiste nello
 spirito del nuovo processo, anche nelle  sue  norme  transitorie,  un
 intento  di  semplificazione  che tende ad escludere dal dibattimento
 tutto cio' che puo' trovare definizione nell'udienza preliminare o in
 taluni  procedimenti  speciali:  al  che sicuramente sono ispirate le
 disposizioni  di  cui  agli  artt.  256  e  257  delle   disposizioni
 transitorie e 425 c.p.p.
    Ma  la  ratio  che giustifica il diverso trattamento, in ordine al
 potere  del   giudice   dell'udienza   preliminare   di   riconoscere
 circostanze  attenuanti e di procedere a giudizio di bilanciamento, a
 seconda che trattasi di situazione transitoria o di regime ordinario,
 ha natura diversa.
    Appare  evidente  che il legislatore ha tenuto conto del fatto che
 nella situazione transitoria il giudice e' di norma in possesso di un
 fascicolo  processuale contenente gli atti dell'istruttoria, sia essa
 sommaria che formale, condotta sotto l'imperio del  codice  abrogato.
 Egli, pertanto, si trova in condizione di esaminare un vero e proprio
 complesso probatorio che gli consente di riconoscere  agevolmente  la
 sussistenza  di  circostanze attenuanti e di acquisire elementi utili
 all'instaurazione di un giudizio di comparazione.
    Di qui l'esplicita autorizzazione al giudice a procedere nei sensi
 di cui all'art. 257 delle disposizioni transitorie.
    Ben diversa, invece, e' la situazione nella quale versa il giudice
 dell'udienza preliminare in regime codicistico.  Quando  il  pubblico
 ministero  deposita  nella  cancelleria  del  giudice la richiesta di
 rinvio a giudizio, egli vi accompagna altresi' il  fascicolo  che  di
 norma  contiene  soltanto  la  notizia  di  reato e la documentazione
 relativa alle indagini da lui espletate (art. 416  c.p.p.).  Indagini
 dirette  ad acquisire quelle fonti di prova che il pubblico ministero
 indica nella sua richiesta (art. 417, lett. c), e  sulla  base  delle
 quali  poi  le  parti potranno promuovere la raccolta della prova nel
 dibattimento, presentando liste di testi e di  periti  su  specifiche
 circostanze e indicando prove contrarie, negli atti preliminari (art.
 468 c.p.p.).
    Salvo  il  caso degli incidenti probatori, che tuttavia riguardano
 particolari aspetti non  sempre  idonei  a  delineare  la  fisionomia
 generale   dei   fatti,  non  esistono,  dunque,  prove  nell'udienza
 preliminare  ne'  significativo  accertamento  dei  fatti,   che   si
 profileranno  soltanto  al  dibattimento,  sicche'  e'  perfettamente
 giustificato che in quella  fase  il  legislatore  non  abbia  potuto
 autorizzare  il giudice a tenere conto di quanto, invece, e' previsto
 nell'art. 257 delle disposizioni di attuazione.
    Certo,  esiste  la  possibilita'  che  il giudice si avvalga della
 procedura di cui all'art. 422 c.p.p.,  ma  si  tratta  di  un'ipotesi
 supplementare  che  presume la sussistenza agli atti di elementi tali
 da "rendere necessario acquisire ulteriori informazioni ai fini della
 decisione". Ipotesi che spetta al giudice di merito verificare, e che
 comunque e' estranea alla prospettazione della specie sul piano della
 rilevanza.
    Di  regola,  il giudice dell'udienza preliminare non dispone degli
 elementi necessari a riconoscere circostanze attenuanti  e  procedere
 all'applicazione  delle disposizioni di cui all'art. 69 c.p., sicche'
 non sussiste  la  violazione  dell'art.  3  della  Costituzione;  ne'
 conseguentemente dell'art. 24, giacche' i diritti della difesa devono
 rapportarsi - come bene rileva  l'Avvocatura  Generale  -  all'ambito
 proprio di ciascuna fase del procedimento.