IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letta la richiesta in data 13 luglio 1990 con la quale il procuratore della Repubblica presso questa pretura circondariale chiede disporsi l'archiviazione del procedimento a carico di Gatti Dario per il reato di cui all'art. 612 del c.p. commesso in Porto Potenza Picena il 2 novembre 1989; Ritenuto che la richiesta espressamente si fonda sul motivo "che gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio" e cioe' sul disposto dell'art. 125 delle disp. att. del c.p.p. anch'esso espressamente richiamato; Rilevato che le ragioni addotte dal p.m. sembrano verosimili e fondate nel senso che effettivamente sussistono quelle circostanze - positive e negative - acquisite nel corso delle indagini preliminari (recte: desunte dalla originaria querela della parte lesa) e dallo stesso requirente analiticamente illustrate nella richiesta de qua e che, dunque, in presenza di esse non resterebbe a questo giudice che provvedere nel senso della richiesta medesima; Invero, per un verso non potrebbe il g.i.p. pronunciare l'ordinanza ex art. 554, secondo comma, del c.p.p. con la quale restituisce gli atti al p.m. ordinandogli, entro 10 giorni, di formulare l'imputazione e di emettere il d.c.g., in quanto tale provvedimento era inserito armonicamente nel sistema del nuovo c.p.p. che, all'epoca, non poteva contemplare e comprendere la nuova ipotesi di archiviazione introdotta successivamente dall'art. 125 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271: esso, cioe', riguardava solo il caso di "manifesta infondatezza" in senso stretto (che e' poi quello tradizionalmenteacquisito dalla coscienza e dalla civilta' giuridica del nostro ordinamento) vale a dire il caso di notizia criminis riferentesi a fatti in realta' non accaduti o non integranti ictu oculi alcuna fattispecie penalmente rilevante come si esprime la legge delega (art. 2, direttiva n. 50, della legge 16 febbraio 1987, n. 81) e come si esprime il legislatore delegato nell'art. 408 del nuovo codice (al riguardo deve notarsi che la scomparsa nel testo definitivo dell'art. 408 del c.p.p. dell'attributo "manifesta" accanto al sostantivo "infondatezza" non deve portare ad alcuna diversa conclusione esegetica ove si consideri che il redattore del codice ebbe ben presente la necessita' che l'archiviazione si riferisce solo alle ipotesi di manifesta inconsistenza della notizia criminis ed in tal senso, infatti, si espresse a chiare lettere nelle relazioni al progetto preliminare e definitivo in (Gazzetta Ufficiale supplemento n. 93 del 24 ottobre 1988, pag. 101). In tale ipotesi, cioe', il parametro di giudizio a disposizione del g.i.p. di fronte ad una richiesta di archiviazione per "manifesta infondatezza" in senso stretto era e rimane la verifica della palese inconsistenza in punto di fatto ovvero della altrettanto evidente irrilevanza in linea di diritto della notizia criminis. In altri termini il g.i.p. puo' restituire gli atti al p.m. ordinandogli di procedere solo in caso di dissenso in ordine alla valutazione di manifesta infondatezza espressa dal p.m., ma non certamente allorche' constati l'esattezza della valutazione fatta dal p.m. circa la non idoneita' degli elementi acquisiti a sorreggere l'accusa nel futuro dibattimento. E cio' maggiormente nel procedimento pretorile nel quale, a differenza da quello per reati di competenza del tribunale (art. 409, quarto comma, del c.p.p.), non e' previsto che il g.i.p. possa ordinare al p.m. ulteriori indagini. Ne' per altro verso potrebbe, quindi, il g.i.p. decretare l'archiviazione dichiarando la notizia criminis "manifestamente infondata" puramente e semplicemente in quanto tale, perche' in tal modo egli, pur aderendo nel dictum alla richiesta del p.m., verrebbe in effetti a sovrapporre una diversa motivazione a quella del p.m. il quale aveva fondato, al contrario, la richiesta sul giudizio di "non idoneita'" degli elementi acquisiti rispetto all'accusa da sostenere in dibattimento pur in presenza di notizia criminis in se' non manifestamente infondata nel senso che a tale locuzione danno tanto le leggi delega quanto il nuovo codice; non solo, ma in tal modo il g.i.p. verrebbe a pronunciare un provvedimento intrinsecamente contraddittorio, in quanto decreterebbe l'archiviazione per manifesta infondatezza di una notizia criminis che nemmeno il p.m. ha giudicato tale e che, pur essendo fondata e giuridicamente rilevante, non si stima idonea ad essere suffragata in prosieguo dalle prove raccoglibili in dibattimento. Conclusivamente sul punto, sembra chiaro che in presenza di notizia criminis non manifestamente infondata ne' giuridicamente irrilevante la quale peraltro, in relazione agli elementi eventualmente acquisiti dal p.m. nelle indagini preliminari, appaia di incerto esito nel successivo giudizio in rapporto alla possibilita' di sostenere l'accusa nel dibattimento; di fronte ad una richiesta in tali termini formulata dal p.m. ai sensi dell'art. 125 delle disp. att.; verificato il fondamento degli elementi posti dal p.m. a base di una simile richiesta; il g.i.p. - si diceva - in simili condizioni (che sono quelle del caso in esame) non avrebbe altra strada che decretare l'archiviazione, appunto, in base ed in omaggio al principio fissato dalla citata norma dell'art. 125 del disp. att. del c.p.p. Premessa, dunque, la impossibilita' per questo giudice di decidere senza applicare tale norma (donde la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale che ci si appresta a sollevare), non resta che segnalare l'evidente violazione della legge delega da parte del redattore dell'art. 125 della disp. att. del c.p.p. e, dunque, sollevare incidente di costituzionalita' per vizio di "eccesso di delega" in relazione all'art. 76 della Costituzione. Come noto, con l'articolo in esame il redattore del d.lgs. del 28 luglio 1989, n. 271, anziche' limitarsi, come avrebbe dovuto, a dettare regole che agevolassero la concreta applicazione delle norme e dei principi stabiliti dal codice, ha introdotto una innovazione nel regime della archiviazione tanto piu' radicale ove si pensi che essa, non solo non da' attuazione ma anzi innova profondamente rispetto al codice (che, infatti, all'art. 408 letto anche alla luce del citato passo della relazione - limita l'archiviazione al solo caso di infondatezza manifesta in se' e per se' della notizia criminis) ma addirittura - ed e' quello che conta nel presente incidente di legittimita' costituzionale - innova profondamente rispetto alla legge delega la quale, come noto, restringeva anch'essa la possibilita' per il p.m. di richiedere l'archiviazione (e cioe' di non esercitare l'azione penale) alla sola ipotesi in cui la notizia criminis risultasse, in se' o all'esito delle indagini eventualmente disposte, sfornita di fondamento oppure di giuridico rilievo penale. Con la impugnata norma, al contrario, in palese contrasto rispetto alla chiarissima direttiva della legge delega, si consente al p.m. di richiedere - e si obbliga (nei limiti sopra visti) il g.i.p. a decretare - l'archiviazione anche della notizia criminis non manifestamente infondata; si costringe il giudice ad avallare l'inerzia del p.m. rispetto all'esercizio dell'azione penale in base non gia' alla concreta e diretta valutazione della notizia criminis in se' o degli elementi acquisiti nella fase delle indagini preliminari, bensi' in base ad una prognosi probabilistica e del tutto incerta circa l'idoneita' presunta degli elementi acquisiti a sostenere l'accusa nel futuro dibattimento: il tutto mediante una formula del tutto generica che si rifa' ad una sorta di anticipazione di quello che potra' essere in futuro l'esito del dibattimento (operazione assai ardua anche per l'umana impossibilita' di prevedere in questa fase l'atteggiamento futuro, ad esempio, dei testimoni ovvero adddirittura una eventuale confessione dibattimentale della persona sottoposta alle indagini). L'eccesso di delega e' palese altresi' ove si rifletta che la direttiva della legge delega in questione, riguardando le ipotesi in presenza delle quali l'organo della pubblica accusa puo' sottrarsi al dovere - costituzionalmente presidiato - di esercitare l'azione penale di fronte ad una notizia criminis, e' di strettissima e rigorosissima interpretazione e non ammette nessuna forma di esegesi o attuazione "deviante". Ad ulteriore riprova di quanto l'introduzione della norma impugnata abbia inciso sull'equilibrio sistematico disegnato dalla legge delega e realizzato dal legislatore delegato, si consideri che il g.i.p. (nel procedimento di tribunale), pur all'esito dell'approfondito esame compiuto nell'udienza preliminare nel contraddittorio di tutte le parti, puo' pronunciare sentenza di non luogo a procedere soltanto quando risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato" (art. 425 del c.p.p.), dovendo altrimenti (e quindi anche in presenza del dubbio circa, ad es. l'elemento soggettivo del reato) rinviarlo a giudizio; orbene, con la norma impugnata si consente invece al p.m. in casi analoghi (ad es.: giudicata inidoneita' degli elementi acquisiti a sostenere l'accusa nel futuro dibattimento con riguardo all'elemento soggettivo del reato, pur materialmente risultante dagli atti in modo incontrovertibile) addirittura di non iniziare nemmeno l'azione penale, con quanto rispetto della logica e del sistema non e' dato di sapere L'eccesso di delega da cui sirulta viziata la norma de qua, introdotta dai redattori delle disposizioni di attuazione del codice in aperto spregio dei severi moniti e dei pareri nettamente contrari provenienti da piu' parti (si legge, per tutti, il parere assolutamente negativo espresso, al riguardo di tale norma e per analoghe ragioni, dal Consiglio superiore della magistratura nella deliberazione approvata nella seduta del 16 marzo 1989, in notiziario del C.S.M. n. 3 del marzo 1989) rende necessario rimettere la questione alla Corte costituzionale.