ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 192, ultimo
 comma, del codice di procedura  penale  del  1930,  quale  sostituito
 dall'art.  2  della  legge  23  gennaio 1989, n. 22 (Nuova disciplina
 sulla contumacia), promosso con ordinanza emessa il 16 febbraio  1990
 dalla  Corte  di cassazione sul ricorso proposto da Madonna Domenico,
 iscritta al n. 285 del registro ordinanze  1990  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  22, prima serie speciale,
 dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio dell'11 luglio 1990 il Giudice
 relatore Giovanni Conso;
    Ritenuto  che  la  Corte  di cassazione con ordinanza emessa il 16
 febbraio 1990 nel corso del procedimento penale a carico di  Domenico
 Madonna,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e 24 della
 Costituzione  ed  all'art.  6  della  Convenzione  europea   per   la
 salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali,
 questione di legittimita' dell'art. 192, ultimo comma, del codice  di
 procedura  penale  del  1930,  quale  sostituito ad opera dell'art. 2
 della legge 23 gennaio 1989, n. 22, nella parte  in  cui  esclude  la
 legittimazione  del  difensore  di  fiducia,  non munito di specifico
 mandato,  ad  impugnare  la  sentenza   pronunciata   in   contumacia
 dell'imputato;
      e  che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata;
    Considerato  che  questa  Corte,  con sentenza n. 315 del 1990, ha
 dichiarato non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 192, ultimo comma, del codice di procedura penale del 1930,
 quale sostituito ad opera dell'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n.
 22,  nella  parte  in  cui  esclude  che  il  difensore dell'imputato
 irreperibile possa impugnare la sentenza contumaciale quando non  sia
 munito di specifico mandato, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e
 24 della Costituzione ed all'art. 6 della Convenzione europea per  la
 salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali,
 dalla stessa Corte di cassazione con ordinanza del 25 settembre 1989;
      che,  nel  risolvere  tale questione, la Corte costituzionale ha
 rilevato come lo scopo perseguito dalla legge 23 gennaio 1989, n. 22,
 con il novellare l'ultimo comma dell'art. 192 del codice di procedura
 penale del 1930, unitamente al secondo comma dell'art.183- bis  dello
 stesso  codice,  sia  stato  quello  di  "evitare  che l'impugnazione
 proposta   dal   difensore   non   munito   di   specifico   mandato"
 compromettesse   "ogni   possibilita'   di   impugnazione   da  parte
 dell'imputato"   contumace   irreperibile,   in   quanto   questi   -
 "verosimilmente  gia'  non in grado, proprio perche' irreperibile, di
 avvalersi  del  termine  di  tre  giorni  dalla  notificazione  della
 sentenza  in  cancelleria"  -  "non si troverebbe nemmeno in grado di
 proporre impugnazione una volta venuto ad effettiva conoscenza  della
 decisione  pronunciata  nei  suoi  confronti, proprio perche' in quel
 momento  l'esercizio  del  relativo  potere  risulterebbe   consumato
 dall'iniziativa del difensore";
      che  ancora  questa  Corte,  con  ordinanza n. 375 del 1990, sul
 presupposto che la ratio decidendi alla base della  sentenza  n.  315
 del  1990  non  possa non valere "a maggior ragione" per l'ipotesi in
 cui l'imputato contumace non sia irreperibile "e, quindi,  di  norma,
 nelle  condizioni  di conferire al suo difensore lo specifico mandato
 richiesto  dalla  norma  denunciata",  ha  dichiarato  la   manifesta
 infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 192, ultimo comma, del codice di  procedura  penale  del  1930,  come
 sostituito  ad  opera dell'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n. 22,
 nella parte in cui non consente al difensore  di  imputato  contumace
 non  irreperibile  di  impugnare la sentenza contumaciale, se non sia
 munito di specifico mandato, sollevata,  con  piu'  ordinanze,  dalla
 Corte  d'appello  di  Caltanissetta, in riferimento agli artt. 3 e 24
 della Costituzione;
      che,   pure   per   l'ipotesi   in   cui  l'imputato  contumace,
 irreperibile o no, sia stato assistito da un difensore di fiducia che
 abbia  "partecipato  al giudizio", non puo' non valere la eadem ratio
 decidendi, apparendo non irragionevole far dipendere  da  un'espressa
 manifestazione  di  volonta'  dell'imputato la rinuncia al diritto di
 scegliere se proporre o no impugnazione una volta venuto ad effettiva
 conoscenza della sentenza pronunciata nei suoi confronti, diritto che
 verrebbe meno se al difensore di fiducia fosse riconosciuto il potere
 di  impugnare  la  sentenza  contumaciale  in  mancanza  di specifico
 mandato;
      che,  pertanto,  la  questione,  cosi'  come  proposta,  risulta
 manifestamente infondata;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;