ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 554, secondo
 comma, del codice di procedura penale e 175 del  decreto  legislativo
 28  luglio  1989,  n.  271  (Norme  di attuazione, di coordinamento e
 transitorie del codice di procedura penale), promossi con le seguenti
 ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa  il  13  gennaio  1990  dal Giudice per le
 indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Vercelli  nel
 procedimento  penale  relativo  all'esposto dell'Associazione Esposti
 all'Amianto (A.E.A), iscritta al n. 141 del registro ordinanze 1990 e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 14, prima
 serie speciale, dell'anno 1990;
      2)  ordinanza  emessa  il  25  gennaio  1990  dal Giudice per le
 indagini preliminari presso la Pretura circondariale di  Catania  nel
 procedimento  penale  relativo  all'infortunio  sul  lavoro occorso a
 Nocito Ignazio, iscritta al n. 151  del  registro  ordinanze  1990  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 14, prima
 serie speciale, dell'anno 1990;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 13 giugno 1990 il Giudice
 relatore Giovanni Conso;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Giudice  per  le indagini preliminari presso la Pretura
 circondariale di Vercelli, con ordinanza  del  13  gennaio  1990,  ha
 sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 554,
 secondo comma, del codice di procedura penale.
    La  norma denunciata impone al giudice per le indagini preliminari
 presso la pretura,  di  fronte  ad  una  richiesta  di  archiviazione
 formulata   dal   pubblico   ministero   in   carenza   di  attivita'
 investigativa, l'alternativa tra l'accoglimento della richiesta e  la
 restituzione   degli  atti  al  pubblico  ministero  perche'  formuli
 l'imputazione ed emetta il decreto di citazione a giudizio, senza che
 lo  stesso  pubblico  ministero  possa  essere invitato dal giudice a
 svolgere le  necessarie  ulteriori  indagini,  come  invece  previsto
 dall'art.  409,  quarto  comma, dello stesso codice. Ne conseguirebbe
 violazione  dell'art.  3  della  Costituzione,   per   ingiustificata
 disparita'   di  trattamento  rispetto  all'analogo  rito  presso  il
 tribunale, e dell'art. 112 della Costituzione,  per  essere  l'organo
 giurisdizionale   nell'impossibilita'  di  contrastare  efficacemente
 l'inerzia del pubblico ministero.
    L'ordinanza,   ritualmente   notificata  e  comunicata,  e'  stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 14, prima serie speciale, del
 4 aprile 1990.
    Nel  giudizio  e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato,  che ha concluso per la declaratoria di manifesta infondatezza
 della questione, deducendo che l'art. 3 della Costituzione non sembra
 possa  essere  chiamato in causa quando - come nel caso in esame - la
 materia coinvolga non diritti di privati ma l'esercizio  di  funzioni
 pubbliche  e,  comunque,  quando  la  diversita'  di  trattamento  si
 colleghi ad una diversita' di situazioni; mentre, per quanto riguarda
 il  riferimento  all'art. 112 della Costituzione, il giudice a quo ha
 del tutto trascurato la previsione  dell'art.  157  del  testo  delle
 norme  di  attuazione,  di  coordinamento e transitorie del codice di
 procedura penale (testo  approvato  con  il  decreto  legislativo  28
 luglio  1989,  n.  271), secondo cui, nel procedimento pretorile, ove
 rilevi l'esigenza di ulteriori investigazioni, il giudice ne  informa
 il  procuratore  generale presso la corte d'appello, il quale, "se ne
 ravvisa i presupposti, richiede la riapertura delle indagini a  norma
 dell'art.    414  del  codice".  E'  vero,  si  assume  nell'atto  di
 intervento, che tale potere e' esercitabile dopo il provvedimento  di
 archiviazione  e  previa  autorizzazione  del giudice per le indagini
 preliminari; non puo'  pero'  disconoscersi  come,  in  base  a  tale
 previsione,  l'esercizio  dell'azione  penale  non  resti abbandonato
 all'arbitrio di un singolo organo pubblico.
    2.  -  Il  Giudice  per  le indagini preliminari presso la Pretura
 circondariale di Catania, con  ordinanza  del  25  gennaio  1990,  ha
 sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 554,
 secondo comma, del codice di procedura penale  e  dell'art.  157  del
 testo  delle  norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del
 codice  di  procedura  penale  (testo  approvato   con   il   decreto
 legislativo 28 luglio 1989, n. 271).
    Osserva  il  giudice  a  quo  che,  di  fronte ad una richiesta di
 archiviazione  formulata  dal  pubblico  ministero,  in  carenza   di
 attivita'  investigativa,  al  giudice  per  le  indagini preliminari
 presso la pretura e' imposta l'alternativa tra  l'accoglimento  della
 richiesta  e la restituzione degli atti al pubblico ministero perche'
 formuli l'imputazione ed emetta il decreto di citazione  a  giudizio,
 senza  che  lo  stesso  pubblico  ministero possa essere invitato dal
 giudice a svolgere le  necessarie  ulteriori  indagini,  come  invece
 previsto  dall'art.  409,  quarto  comma;  cosi' determinando, per un
 verso,  una  ingiustificata  discriminazione,  integrante  violazione
 dell'art.  3  della Costituzione, rispetto all'analogo rito presso il
 tribunale  e,  per  un  altro  verso,  l'impossibilita'   dell'organo
 giurisdizionale  di  contrastare efficacemente l'inerzia del pubblico
 ministero,   con   conseguente   violazione   dell'art.   112   della
 Costituzione.
    Infatti,  secondo  il  sistema  congegnato  dall'art. 554, secondo
 comma, del codice di procedura penale e dall'art. 157 del testo delle
 norme  di  attuazione,  di  coordinamento  e transitorie dello stesso
 codice, il giudice per le indagini preliminari presso il pretore, ove
 non concordi con la richiesta di archiviazione del pubblico ministero
 e, al tempo stesso, non sia in  grado  di  ordinare  la  formulazione
 dell'imputazione,  e'  comunque  tenuto  a  pronunciare il decreto di
 archiviazione e, correlativamente, ad informare della  necessita'  di
 ulteriori  indagini  il  procuratore  generale  presso  la  corte  di
 appello. Questi, tuttavia, si attivera' in base ad una scelta rimessa
 esclusivamente  alla  sua  discrezionalita' ("se rileva l'esigenza di
 ulteriori  indagini":  art.  157,  primo  comma,   delle   norme   di
 attuazione,  di  coordinamento  e transitorie del codice di procedura
 penale, benche' una valutazione nel senso  del  necessario  attivarsi
 del   pubblico   ministero   sia   gia'  stata  espressa  dall'organo
 giurisdizionale cui, istituzionalmente, compete il controllo.
    L'ordinanza,   ritualmente   notificata  e  comunicata,  e'  stata
 anch'essa pubblicata nella Gazzetta Ufficiale,  n.  14,  prima  serie
 speciale, del 4 aprile 1990.
    Pure  in  tale giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, che, adottando le medesime argomentazioni sub 1, ha chiesto di
 dichiarare infondata la questione.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  Giudice  per  le indagini preliminari presso la Pretura
 circondariale di Vercelli sottopone al  vaglio  di  questa  Corte  la
 legittimita'  costituzionale dell'art. 554, secondo comma, del codice
 di procedura penale, nella parte in cui  impone  al  giudice  per  le
 indagini  preliminari  di  pretura,  destinatario  della richiesta di
 archiviazione per infondatezza della notizia di reato,  di  disporre,
 se   non  ritiene  di  accogliere  tale  richiesta,  la  formulazione
 dell'imputazione  ai  fini  della   citazione   a   giudizio,   senza
 consentirgli di indicare previamente al pubblico ministero, che abbia
 chiesto l'archiviazione in base ad investigazioni ritenute  lacunose,
 il compimento di ulteriori indagini.
    La  norma denunciata contrasterebbe sia con l'art. 3, primo comma,
 sia con l'art. 112 della Costituzione.
    La    violazione    dell'art.    3,   primo   comma,   deriverebbe
 dall'ingiustificata ed irrazionale  discriminazione  ravvisabile  nei
 confronti  della  ben diversa disciplina prevista per le richieste di
 archiviazione relative a notizie di reati rientranti nella competenza
 del   tribunale  o  della  corte  d'assise:  alla  stregua,  infatti,
 dell'art. 409,  secondo  e  quarto  comma,  dello  stesso  codice  di
 procedura  penale,  il  giudice  per  le  indagini  preliminari  ha a
 disposizione - accanto o, piu' esattamente, prima delle due soluzioni
 terminali,  consistenti nell'accogliere la richiesta di archiviazione
 o nell'ordinare la formulazione dell'imputazione -  la  possibilita',
 "ove  riscontri  lacune  investigative",  di  "indicare  al  P.M.  le
 necessarie ulteriori  indagini,  fissando  il  termine  per  il  loro
 compimento".
    A  sua  volta,  la  violazione  dell'art.  112  della Costituzione
 sarebbe dovuta al fatto che il disposto dell'art. 554, secondo comma,
 non  consentirebbe  "un efficace controllo sull'attivita' di indagine
 svolta" dal pubblico ministero ai  fini  dell'obbligatorio  esercizio
 dell'azione  penale,  in  quanto  lo  strumento  ivi configurato, mai
 permettendo al giudice per le indagini preliminari  di  "valutare  il
 grado di completezza delle indagini svolte", non varrebbe a garantire
 che la richiesta di archiviazione "sia stata preceduta" e "supportata
 da un adeguato svolgimento di indagini".
    2.  -  Anche  il  Giudice  per  le  indagini preliminari presso la
 Pretura circondariale di Catania mette in discussione la legittimita'
 costituzionale  dell'art. 554, secondo comma, del codice di procedura
 penale, sostanzialmente nella stessa parte denunciata dal Giudice per
 le  indagini  preliminari  presso  la Pretura di Vercelli, o, volendo
 essere piu' precisi, in quanto tale comma "riconosce al Giudice,  ove
 questi  non  concordi  con  la  richiesta di archiviazione, il (solo)
 potere   di   imporre   al   Pubblico   Ministero   la   formulazione
 dell'imputazione",  tralasciando  di  considerare "tutta una gamma di
 situazioni intermedie, caratterizzate dall'acquisizione  di  elementi
 ancora  inidonei  per la formulazione di una corretta imputazione, ma
 al tempo stesso non esaustivi ai fini della decisione sulla richiesta
 di  archiviazione".  Ma,  poiche'  "  e'  proprio a queste situazioni
 ibride, di  incertezza,  che  sembra  riferirsi  l'art.  157  decreto
 legislativo  n.  271/89,  allorche'  stabilisce che il Giudice per le
 Indagini Preliminari, quando  emette  decreto  di  archiviazione,  se
 rileva  l'esigenza  di  ulteriori indagini, ne informa il Procuratore
 Generale presso la Corte di Appello",  diventa  decisivo  l'ulteriore
 dubbio  immediatamente  sollevato  nei  confronti  della legittimita'
 costituzionale   del   suddetto   articolo.   La   conformita'   alla
 Costituzione  della  soluzione  cosi'  operata  in  sede  di norme di
 attuazione per ovviare alla lacuna addebitata all'art.  554,  secondo
 comma,  del  codice  viene,  infatti,  contestata  dal Giudice per le
 indagini preliminari presso la  Pretura  di  Catania,  in  quanto  il
 procuratore  generale,  una volta informato dell'archiviazione in tal
 modo disposta, "non ha alcun dovere di richiedere la riapertura delle
 indagini", a cio' attivandosi "soltanto ove ne ravvisa i presupposti,
 ossia  in  base  ad  una  scelta  rimessa  esclusivamente  alla   sua
 valutazione discrezionale".
    Per  entrambe  le  norme  denunciate  dal  Giudice per le indagini
 preliminari presso la Pretura di Catania i parametri  di  riferimento
 costituzionale  corrispondono  in  definitiva  a  quelli invocati dal
 Giudice per le indagini preliminari presso la  Pretura  di  Vercelli:
 anzitutto,   l'art.   3,   dato  che  sarebbe  priva  di  ragionevole
 giustificazione  la  "diversita'  di  disciplina   nel   procedimento
 pretorile,  rispetto a quella adottata, per situazioni identiche, nel
 procedimento davanti al Tribunale" dall'art. 409, quarto  comma,  del
 codice  di  procedura  penale;  e,  poi,  l'art.  112,  dato  che  il
 provvedimento di archiviazione  emesso  in  forza  degli  artt.  554,
 secondo   comma,   del  codice  e  157  delle  norme  di  attuazione,
 configurandosi "come una  sorta  di  atto  dovuto"  per  il  giudice,
 comporterebbe  la  violazione del principio secondo cui "la decisione
 in ordine alla richiesta  di  archiviazione  formulata  dal  Pubblico
 Ministero,  proprio  in quanto espressione del controllo sulle scelte
 dell'organo dell'accusa, non puo' mai essere coatta".
    3. - Stante la parziale identita' del rispettivo oggetto normativo
 e la virtuale coincidenza dei riferimenti costituzionali chiamati  in
 causa,   i  giudizi  relativi  alle  questioni  sollevate  dalle  due
 ordinanze in esame non possono non essere riuniti per dare  luogo  ad
 una  decisione congiunta. Tanto piu' che la divergente prospettazione
 del requisito della rilevanza (il Giudice per le indagini preliminari
 presso  la  Pretura  di  Vercelli  sostiene che la norma impugnata lo
 "condurrebbe ad ordinare al P.M. la formulazione entro 10  giorni  di
 un'imputazione  basantesi  su  indagini che si giudicano incomplete",
 anziche' ad  indicare  al  pubblico  ministero  l'espletamento  delle
 ulteriori   indagini   emergenti   come  necessarie  dagli  atti  del
 procedimento, mentre il Giudice per le indagini preliminari presso la
 Pretura di Catania esprime l'avviso che "dovrebbe pronunciare decreto
 di archiviazione e  contemporaneamente...  informare  il  Procuratore
 Generale  presso  la  Corte  di  Appello  della esigenza di ulteriori
 indagini", anziche' indicare previamente  al  pubblico  ministero  le
 "piu' approfondite indagini" rese necessarie dalla contraddittorieta'
 e lacunosita' della relazione tecnica in atti) - dovuta non  soltanto
 alle  particolarita'  di  ciascun  caso  di  specie, ma anche, e piu'
 ancora, al diverso modo di intendere la regola  di  giudizio  cui  il
 giudice per le indagini preliminari dovrebbe attenersi nel verificare
 l'accoglibilita' della richiesta di archiviazione  allo  stato  degli
 atti - consente di avere a disposizione un quadro piu' completo delle
 situazioni disciplinate dalle norme in discussione.
    4.  -  Se  si  prendono  le  mosse  dal  primo  dei  due parametri
 costituzionali invocati, non si puo' negare, tanta ne e'  l'evidenza,
 la  diversita'  di disciplina che emerge dal raffronto dell'art. 554,
 secondo comma, del codice di procedura penale con l'art. 409,  quarto
 comma,   specie  dopo  l'emanazione  dell'art.  157  delle  norme  di
 attuazione, al quale si deve un'ancor piu' autonoma caratterizzazione
 dell'ipotesi  in cui il giudice per le indagini preliminari presso la
 pretura circondariale, a fronte di una richiesta di archiviazione per
 infondatezza  della  notizia  di  reato, ritenga necessarie ulteriori
 indagini. Infatti, nel procedimento di pretura,  anziche'  restituire
 gli  atti  al  pubblico  ministero  con l'indicazione delle ulteriori
 indagini da compiere, rimandando, se  del  caso,  la  scelta  tra  il
 disporre l'archiviazione e l'imporre la formulazione dell'imputazione
 all'esito delle nuove indagini, il giudice deve  sempre  operare  una
 subitanea  opzione  tra l'archiviare e l'imporre l'imputazione, salva
 nel primo caso la concomitante possibilita', prevista  dall'art.  157
 delle  norme  di attuazione, di informare della ritenuta "esigenza di
 ulteriori indagini"  il  procuratore  generale  presso  la  corte  di
 appello,  che,  "se  ne ravvisa i presupposti, richiede la riapertura
 delle indagini", da intendersi avocate,  una  volta  accolta  la  sua
 richiesta.
    L'esistenza  di  questa  pur  cosi'  palese  e netta diversita' di
 regime non basta, pero',  a  far  ritenere  violato  l'art.  3  della
 Costituzione.  Il  sottolineare  -  come  fa insistentemente la prima
 delle due  ordinanze  -  che  nella  competenza  pretorile  rientrano
 materie  di  particolare  delicatezza,  tali  da richiedere, per loro
 natura, "indagini 'di regola' complesse ed articolate",  pur  essendo
 altrettanto fuori discussione, ha il torto di non considerare che, se
 tanto bastasse, tutte le differenze caratterizzanti  il  procedimento
 di  pretura resterebbero gia' in partenza prive di giustificazione. E
 ad analogo rilievo va  incontro  l'asserto  -  piu'  volte  formulato
 nell'altra  ordinanza  -  secondo  cui,  "in  presenza  di situazioni
 assolutamente eguali", la  diversita'  di  disciplina  qui  in  esame
 finirebbe   per  risolversi  in  una  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione.
    Ma  cio',  se vale ad escludere che ogni differenza introdotta per
 semplificare il rito pretorile comporti di per se'  una  lesione  del
 principio   di  eguaglianza,  non  significa  che  ciascuna  di  tali
 semplificazioni  sia  comunque  da  ritenere  indenne  da   vizi   di
 legittimita' costituzionale, occorrendo, a tal fine, verificare se la
 massima semplificazione, di  volta  in  volta  attuata,  non  sia  in
 contrasto,  prima  ancora  che  con  altri  parametri  costituzionali
 eventualmente indicati, con i canoni  della  ragionevolezza  e  della
 coerenza,  "principi  tutti  cristallizzati nell'art. 3, primo comma,
 Cost.",  come  l'ordinanza  del  Giudice  di  Vercelli  ha  cura   di
 documentare.
    5.  -  Nell'analizzare  sotto quest'altro profilo la rispondenza o
 meno  delle  due  norme  impugnate  all'art.  3  della  Costituzione,
 un'ulteriore   precisazione   si  impone  a  proposito  dei  rapporti
 intercorrenti fra l'art. 554, secondo comma, del codice di  procedura
 penale  e  l'art.  157  delle  sue  norme di attuazione. Al di la' di
 possibili apparenze, non si e', invero, alla presenza di un combinato
 disposto,   bensi'   alla   presenza   di   due  norme  distintamente
 assoggettate a vaglio di  costituzionalita'.  Sebbene  complementari,
 nel  senso  che  la  seconda,  emanata  in epoca successiva, e' stata
 voluta   dal   legislatore   delegato   proprio   per   ovviare   con
 l'apprestamento di un apposito meccanismo (informativa al procuratore
 generale ed eventuale sua richiesta di riapertura delle indagini)  ad
 una  manchevolezza  della  prima  - che, nel differenziarsi dall'art.
 409, quarto comma, non aveva preso in considerazione l'ipotesi  nella
 quale  il  giudice  per  le indagini preliminari presso la pretura, a
 fronte di una  richiesta  di  archiviazione,  si  trovi  a  ravvisare
 "l'esigenza  di  ulteriori indagini" - l'art. 554, secondo comma, del
 codice e l'art. 157 delle norme di attuazione hanno dato vita  ad  un
 "sistema",  all'interno  del  quale,  come  l'Avvocatura  dello Stato
 sottolinea nei due atti di intervento per la Presidenza del Consiglio
 dei ministri, la previsione dell'art. 157, pur concernendo un momento
 susseguente all'applicazione dell'art. 554, secondo  comma,  riveste,
 ai fini che qui interessano, una posizione prioritaria.
    Ed  infatti,  se le cose stessero come sostiene l'Avvocatura dello
 Stato, cioe' se si dovesse escludere  ogni  contrasto  dell'art.  157
 delle  norme  di attuazione con l'art. 3 della Costituzione, anche il
 "sistema" congegnato a completamento dell'art.  554,  secondo  comma,
 del  codice,  benche'  piu'  semplice e, quindi, diverso da quello di
 base, verrebbe a risultare non contrario a ragionevolezza e coerenza.
 Ne  conseguirebbe,  anzitutto,  la  non  fondatezza  della  questione
 sollevata nei confronti dell'art. 157 e, in  secondo  luogo,  la  non
 fondatezza  della  questione  sollevata  nei confronti dell'art. 554,
 secondo comma, in quanto completato, appunto, da una  previsione  non
 in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
    6.  -  Ma  la  previsione  dell'art.  157  non  puo' affatto dirsi
 ispirata a ragionevolezza e coerenza.
    In   dottrina  si  e'  addirittura  parlato  di  "contradictio  in
 adiecto", cosi' efficacemente sintetizzando l'intervento del  giudice
 per  le  indagini  preliminari:  "con  una mano archivia; con l'altra
 sollecita  la  richiesta  di  un  seguito";   ed   ancora,   vieppiu'
 sottolineando  la  non  ragionevolezza  della  soluzione, "il giudice
 muove passi tortuosi: non potendo fissare  direttive  al  requirente,
 decreta  l'archiviazione  e  contestualmente  pungola  il procuratore
 generale".
    Non meno negativo il parere espresso dal Consiglio superiore della
 magistratura riguardo all'art. 141- ter del progetto definitivo delle
 norme  di  attuazione,  cui  risale  la previsione poi tradottasi tal
 quale nell'art. 157 del testo definitivo:"Il meccanismo previsto  dal
 Progetto  definitivo in relazione ai casi in cui, nel procedimento di
 competenza del pretore, il G.I.P. ritenga necessarie  nuove  indagini
 non appare convincente ne' sul piano della speditezza e funzionalita'
 ne'  sul  piano  della  logica.  Ed  infatti,  appare   difficilmente
 comprensibile   come   si   possa,  nello  stesso  momento,  disporre
 l'archiviazione e segnalare, da parte del giudice "terzo", l'esigenza
 di nuove indagini senza poi nulla poter fare di fronte ad una mancata
 richiesta di "riapertura delle indagini". Si aggiunga che,  nel  caso
 di  specie,  si avrebbe la completa inversione dei ruoli del pubblico
 ministero e del giudice,  perche'  in  sostanza  sarebbe  il  giudice
 "terzo" a formulare quella "richiesta di nuove indagini" sulle quali,
 a seguito della loro formale successiva presentazione  da  parte  del
 procuratore  generale,  sarebbe  poi  chiamato a decidere lui stesso;
 mentre, nella sostanza, sarebbe l'ufficio  della  Procura  (sia  pure
 generale,  anziche'  quella  presso  la  Pretura) a dover decidere se
 accogliere o meno  la  richiesta  di  nuove  indagini  suggerita  dal
 Pretore (pretore, quindi, che, in definitiva, chiederebbe al pubblico
 ministero di fargli delle richieste su cui poi  lui  stesso  dovrebbe
 pronunciare)".  Con  il  che  l'incoerenza  della soluzione emerge in
 tutta chiarezza.
    Infine,  la  circostanza  - messa in particolare risalto, sia pure
 con riferimento all'art. 112 della Costituzione, del Giudice  per  le
 indagini   preliminari   presso  la  Pretura  di  Catania  -  che  il
 procuratore generale "non ha alcun dovere di richiedere la riapertura
 delle   indagini",   cosi'  da  rendere  questa  richiesta  meramente
 eventuale, dimostra come l'esigenza di ulteriori indagini manifestata
 dal  giudice  per le indagini preliminari, potendo rimanere del tutto
 senza seguito, non riceva dal legislatore, che pur  se  ne  e'  fatto
 carico in sede di norme di attuazione, alcuna effettiva garanzia.
    La  prima  conseguenza  da  trarre  non  puo',  quindi, essere che
 l'accoglimento della questione sollevata, in riferimento  all'art.  3
 della Costituzione, nei confronti dell'art. 157 del testo delle norme
 di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura
 penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n.
 271). Ne discende l'assorbimento dell'altra  questione  proposta  nei
 confronti  della  stessa  norma  in  riferimento  all'art.  112 della
 Costituzione.
    7.  -  La  declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art.
 157 delle norme di attuazione, riportando la situazione  normativa  a
 quella  risultante dalla pubblicazione del codice di procedura penale
 anteriormente alla pubblicazione del testo delle norme di attuazione,
 di  coordinamento e transitorie, rende necessario affrontare anche la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  554,  secondo
 comma,  del  codice  di  procedura  penale,  sempre nell'ottica della
 ragionevolezza e della coerenza della soluzione che se ne ricava  per
 l'ipotesi  in  cui  il  giudice per le indagini preliminari presso la
 pretura, di fronte alla richiesta di  archiviazione  proveniente  dal
 pubblico   ministero,  ritenga  necessarie  ulteriori  indagini:  una
 soluzione di tipo negativo, nel senso che tale ipotesi non  vi  viene
 neppure  presa  in  considerazione, ben diversamente da quanto l'art.
 409, quarto  comma,  espressamente  dispone  (ordinanza  al  pubblico
 ministero   con   l'indicazione  delle  ulteriori  indagini  ritenute
 necessarie e fissazione del termine per il compimento  di  esse)  nei
 riguardi del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale.
 Da cio' l'impugnativa che accomuna le due ordinanze di rimessione.
    8.  - Il fatto stesso che il legislatore delegato abbia sentito il
 bisogno di dettare l'art.157 delle norme di attuazione per  porre  in
 qualche  modo  riparo alla mancanza di previsione addebitata all'art.
 554  del  codice,  potrebbe  indurre  a  concludere  per  l'immediato
 accoglimento della questione.
    Sintomatiche in tal senso risultano le Osservazioni del Governo al
 progetto definitivo delle norme di attuazione a  proposito  del  gia'
 ricordato art. 141- ter, poi diventato art. 157 nel testo definitivo:
 "Non essendo previsto nel procedimento  davanti  al  pretore  che  il
 giudice  per  le  indagini  preliminari, investito della richiesta di
 archiviazione, possa invitare il pubblico  ministero  a  svolgere  le
 ulteriori  indagini  che si ritengano dal giudice necessarie (come e'
 invece stabilito per il procedimento ordinario, dall'art. 409,  comma
 quarto),   occorre   introdurre  una  disposizione  che  consenta  al
 procuratore generale  di  attivarsi...  In  mancanza  di  una  simile
 previsione,  lo  svolgimento  non  completo  delle  indagini potrebbe
 rimanere privo di  controllo  e,  quindi,  di  rimedi".  Conclusione,
 questa,  senz'altro  estensibile  alla  situazione  conseguente  alla
 declaratoria di illegittimita' dell'art. 157, che, colpendo una norma
 introdotta  per  ovviare  ad  una  carenza  del  genere,  e' venuta a
 ripristinarla nei termini precedenti.
    Ma,  a parte la considerazione che il lasciare "lo svolgimento non
 completo delle indagini... privo di controllo e, quindi,  di  rimedi"
 coinvolge  il  riferimento  all'art. 112 della Costituzione piuttosto
 che il riferimento all'art. 3, non si puo' non  prestare  la  massima
 attenzione  alla parte finale del gia' ricordato parere del Consiglio
 superiore della magistratura. Dopo  aver  apertamente  osteggiato  la
 proposta  di  introdurre  l'art.  157,  il  Consiglio  giungeva  alla
 conclusione di ritenere "assai piu'  semplice,  funzionale  ed  anche
 corretto  che,  nel  rispetto dei reciproci ruoli, qualora il Pretore
 non condivida la richiesta di archiviazione del  pubblico  ministero,
 sia  pure  per  non  essere  state  esperite  tutte  le  indagini che
 avrebbero potuto  essere  fatte,  si  dia  luogo  a  quanto  previsto
 dall'art.  554,  secondo comma: con possibilita' poi, per il Pretore,
 di assumere in giudizio tutte quelle prove che ritiene  necessarie  (
 ex art. 507 c.p.p.)".
    Sull'eventualita'  che "approfondimenti di indagine possano essere
 recuperati in sede dibattimentale" si sofferma lungamente l'ordinanza
 del Giudice per le indagini preliminari di Vercelli per disconoscerne
 la "fruttuosita'", in quanto  si  tratterebbe  di  un  recupero  "non
 tempestivo". Ma un simile rilievo, oltre ad essere discutibile quanto
 alla negata inutilita'  degli  approfondimenti  probatori  successivi
 alla  fase  delle indagini preliminari, e' sicuramente inidoneo a far
 apparire irragionevole ed incoerente la soluzione su cui suggeriva di
 insistere  il  Consiglio superiore della magistratura, in conformita'
 al dettato dell'art. 554, secondo comma.
    Altro  e',  invece,  l'argomento da opporre alla tesi che vorrebbe
 giustificare la previsione dell'art. 554, secondo comma, facendo leva
 sulla  massima  semplificazione  del  procedimento davanti al pretore
 voluta dalla legge delega del 1987:  il  puntare  subito  e  soltanto
 sull'alternativa  rappresentata  dalla  formulazione dell'imputazione
 per l'immediata citazione a giudizio della  persona  sottoposta  alle
 indagini  preliminari  e',  al di la' delle apparenze, tutt'altro che
 produttivo proprio sul piano della semplificazione.
    Come  efficacemente  osserva  l'ordinanza del Giudice di Vercelli,
 non puo' affatto dirsi che il disposto dell'art. 554, secondo  comma,
 "soddisfi  realmente  le esigenze di semplificazione che informano il
 rito innanzi al pretore". Il costringere il giudice per  le  indagini
 preliminari  -  che,  "a  fronte  di  una  richiesta di archiviazione
 contrassegnata da assenza o carenza di indagini,...  ritenga  di  non
 accoglierla"  -  ad  innescare  sempre  "il meccanismo del decreto di
 citazione a giudizio piuttosto che, piu' semplicemente, come previsto
 dall'art.  409 c.p.p., darsi luogo all'indicazione di nuove indagini"
 entro un termine strettamente  prefissato,  significa,  da  un  lato,
 precludere    in    modo    prematuro    lo    sbocco   rappresentato
 dall'archiviazione, che, a seconda dell'esito delle  nuove  indagini,
 potrebbe  essere  riproposta  dal pubblico ministero e, questa volta,
 condiviso dal giudice per le indagini preliminari;  dall'altro  lato,
 significa   far   mettere  obbligatoriamente  in  moto  le  complesse
 incombenze traducentisi negli atti introduttivi del  giudizio,  senza
 che   ve  ne  sia  oggettivamente  l'insuperabile  necessita',  cosi'
 appesantendo i ruoli del dibattimento per rinviare a quella sede  che
 dovrebbe, invece, essere deflazionata al massimo - accertamenti assai
 piu' speditamente e, comunque, immediatamente realizzabili in fase di
 indagini preliminari.
    La  conseguenza,  sotto  quest'aspetto,  e'  che  proprio  il rito
 pretorile, da disciplinare per delega  secondo  criteri  di  "massima
 semplificazione", viene sottoposto ad inevitabili complicanze, mentre
 il rito di base fruisce della possibilita'  di  acquisire  agilmente,
 nel   termine   indispensabile   fissato   dal   giudice,   ulteriori
 chiarimenti, comunque preziosi per  le  determinazioni  del  pubblico
 ministero.
    Pertanto,  anche la questione sollevata, in riferimento all'art. 3
 della Costituzione, nei confronti dell'art. 554, secondo  comma,  del
 codice  di  procedura penale, per la parte in cui non prevede che, di
 fronte ad una richiesta di archiviazione presentata per  infondatezza
 della notizia di reato, il giudice per le indagini preliminari presso
 la pretura circondariale indichi con ordinanza al pubblico  ministero
 le  ulteriori  indagini  ritenute  necessarie,  fissando  il  termine
 indispensabile per il loro  compimento,  merita  di  essere  accolta,
 donde  l'assorbimento  della questione proposta in ordine alla stessa
 norma con riferimento all'art. 112 della Costituzione.