ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 28 della legge
 Regione  Sicilia  2  dicembre  1980   n.   125   (Provvedimenti   per
 l'inserimento   delle   giovani   leve   del  lavoro  nella  pubblica
 amministrazione e nelle attivita' produttive  sociali)  promosso  con
 l'ordinanza  emessa  il  25  ottobre 1989 dal T.A.R. per la Sicilia -
 Sezione di Catania nel procedimento sul ricorso proposto da  Lombardo
 Francesco  contro  il  Comune di Catenanuova ed altri, iscritta al n.
 203 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto l'atto di intervento della Regione Sicilia;
    Udito  nella  camera  di  consiglio dell'11 luglio 1990 il Giudice
 relatore Enzo Cheli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Investito  del  giudizio  sulla  legittimita'  delle  prove
 selettive  attitudinali  con  cui  il  Comune  di  Catenanuova  aveva
 provveduto, ai sensi della legge 2 aprile 1968 n. 986, all'assunzione
 obbligatoria di soggetti appartenenti  alle  categorie  protette,  il
 Tribunale   amministrativo   regionale   per  la  Sicilia  -  Sezione
 distaccata  di  Catania  ha  sollevato  questione   di   legittimita'
 costituzionale   dell'art.  28  della  legge  regionale  siciliana  2
 dicembre 1980 n. 125, recante "Provvedimenti per l'inserimento  delle
 giovani  leve  del  lavoro  nella  pubblica  amministrazione  e nelle
 attivita' produttive e sociali".
    Le   disposizioni   che   formano   oggetto   d'impugnativa,   nel
 disciplinare  la  composizione  delle  commissioni  giudicatrici  dei
 concorsi comunali e provinciali, prevedono che "nei Comuni con numero
 di consiglieri non  inferiore  a  quaranta  e  nelle  amministrazioni
 provinciali,  le  commissioni  giudicatrici.....  sono presiedute dal
 rappresentante legale dell'ente o da un suo delegato e,  al  fine  di
 assicurare la rappresentanza della minoranza, sono composte da cinque
 membri eletti dal Consiglio con voto limitato ad uno, da  un  esperto
 designato  dal rappresentante legale dell'ente e da un rappresentante
 delle organizzazioni sindacali..." (primo comma) e che "nei  restanti
 Comuni   la  composizione  delle  commissioni  dovra'  assicurare  la
 rappresentanza della minoranza" (terzo comma).
    Ad  avviso  del  giudice  remittente tali disposizioni - che hanno
 indotto il Comune a mutare i membri della commissione gia' prescelti,
 nel  momento in cui, a seguito di elezioni, si e' delineata una nuova
 maggioranza in consiglio comunale - verrebbero a violare  i  principi
 contenuti  nell'art.  97  Cost., primo e terzo comma, dove si prevede
 che il mezzo normale di accesso agli impieghi di tutte  le  pubbliche
 amministrazioni   e'  il  concorso  e  che  i  pubblici  uffici  sono
 organizzati     in     modo     da     assicurare     l'imparzialita'
 dell'amministrazione.  Alla  luce  di tali principi costituzionali le
 commissioni  giudicatrici  nei  concorsi  pubblici  sono  tenute   ad
 esprimere  giudizi  di  carattere  tecnico  e ad osservare, in quanto
 organi dell'amministrazione, il criterio di imparzialita', che impone
 "ad   ogni   autorita'   pubblica,   nell'esercizio   della  funzione
 amministrativa, di considerare in modo  oggettivo  i  vari  interessi
 pubblici  e  privati  che  e' chiamata a valutare, senza soggiacere a
 pressioni esterne di qualsiasi natura".
    Tali  principi sarebbero stati trascurati dall'art. 28 della legge
 regionale impugnata, dove le commissioni di esame  vengono  costruite
 come  vere  e  proprie "commissioni consiliari" rappresentative della
 maggioranza e della minoranza del consiglio comunale (o provinciale),
 con una prevalenza dei componenti "politici" sui componenti "esperti"
 in grado di snaturare il  carattere  tecnico  delle  valutazioni.  Di
 conseguenza, le stesse commissioni si vedrebbero esposte a subire non
 solo le direttive, piu'  o  meno  palesi,  dell'ente  locale  che  ha
 bandito  il concorso, ma anche quelle degli schieramenti politici dei
 cui interessi i commissari sono portatori, con una compromissione del
 principio  di imparzialita' cui il loro operato si dovrebbe ispirare.
    Il   giudice   remittente   segnala   altresi'  -  ai  fini  della
 dichiarazione d'illegittimita'  conseguenziale  di  cui  all'art.  27
 della  legge 11 marzo 1953 n. 87 - che l'art. 7 della legge regionale
 12 febbraio 1988 n. 2 (nel testo sostituito dall'art. 7  della  legge
 regionale 9 agosto 1988 n. 21), nel dettare nuove norme in materia di
 procedure concorsuali per gli enti locali e  per  le  amministrazioni
 regionali,  ha  sostanzialmente  riproposto il contenuto dell'art. 28
 della legge regionale n. 125 del 1980.
    2.  -  Nel  giudizio  e'  intervenuto  il Presidente della Regione
 siciliana, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata infondata.
    Nell'atto    di   intervento   si   premette   che   la   corretta
 interpretazione della norma impugnata avrebbe imposto al giudice  non
 di  sollevare una questione di legittimita' costituzionale, bensi' di
 annullare i provvedimenti con i quali il Comune aveva sostituito - al
 variare  dell'assetto  politico  del  consiglio - i membri eletti dal
 consiglio stesso.
    Si   rileva   inoltre   che   nell'approvare  la  norma  impugnata
 l'Assemblea   regionale   aveva   sostituito   la   dizione   "cinque
 consiglieri"  contenuta  nel  progetto di legge con le parole "cinque
 membri eletti dal consiglio " proprio per consentire che i commissari
 potessero  essere  scelti anche fuori del consiglio; e che il sistema
 del voto limitato ad uno risponde all'esigenza di assicurare un  piu'
 largo  controllo  democratico da parte delle forze politiche presenti
 nel consiglio stesso.
    Quanto alla norma contenuta nell'art. 7 della legge regionale n. 2
 del 1988 (poi sostituita dall'art. 7 della legge regionale n. 21  del
 1988),  si  osserva  che essa ha innovato alla precedente disciplina,
 introducendo, per i commissari di estrazione politica,  il  requisito
 del  possesso  di un titolo di studio di grado non inferiore a quello
 richiesto per la partecipazione al concorso, e questo proprio al fine
 di  garantire  una corretta valutazione delle capacita' professionali
 dei candidati. Si richiede pertanto il rigetto anche della  questione
 di costituzionalita' sollevata in via conseguenziale.
                         Considerato in diritto
    1.   -  La  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata
 dall'ordinanza di cui e' causa investe l'art. 28  della  legge  della
 Regione   siciliana   2  dicembre  1980  n.  125  (Provvedimenti  per
 l'inserimento  delle  giovani  leve   del   lavoro   nella   pubblica
 amministrazione  e  nelle  attivita'  produttive  e sociali), dove si
 regola la composizione delle commissioni  giudicatrici  dei  concorsi
 per  l'accesso  alle  qualifiche dei ruoli del personale dei Comuni e
 delle Province.
    Le disposizioni impugnate prevedono in particolare:
       a)  che nei Comuni con un numero di consiglieri non inferiore a
 quaranta  e  nelle  amministrazioni  provinciali  le  commissioni  di
 concorso  sono presiedute dal rappresentante legale dell'ente o da un
 suo  delegato  e  sono  composte  -  al   fine   di   assicurare   la
 rappresentanza   della  minoranza  -  da  cinque  membri  eletti  dal
 consiglio con voto limitato ad  uno,  da  un  esperto  designato  dal
 rappresentante  legale  dell'ente  e  da  un rappresentante designato
 dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in  campo
 nazionale (primo comma);
      b)  che  nei  restanti  Comuni la composizione delle commissioni
 giudicatrici deve assicurare la rappresentanza della minoranza (terzo
 comma).
    Ad  avviso  del  Tribunale  amministrativo  per  la  Sicilia  tale
 disciplina risulterebbe lesiva dell'art. 97,  primo  e  terzo  comma,
 Cost.  in  quanto  suscettibile di compromettere, attraverso la netta
 prevalenza in  seno  alle  commissioni  giudicatrici  dei  componenti
 politici   sugli   esperti,   la   natura   tecnica  del  giudizio  e
 conseguentemente l'imparzialita'  delle  operazioni  concorsuali.  In
 altri   termini,  le  commissioni  giudicatrici,  nella  costituzione
 prevista dalla norma impugnata,  opererebbero  come  vere  e  proprie
 "commissioni consiliari", destinate a rispecchiare le parti politiche
 dell'organo rappresentativo, con la conseguenza di  privilegiare  gli
 interessi particolari degli schieramenti politici di appartenenza dei
 singoli commissari sull'interesse pubblico alla  oggettiva  selezione
 dei migliori.
    2. - La questione e' fondata.
    L'art.  97,  primo  comma,  Cost.  individua nella "imparzialita'"
 dell'amministrazione uno dei principi essenziali cui deve informarsi,
 in  tutte le sue diverse articolazioni, l'organizzazione dei pubblici
 uffici. Alla salvaguardia di tale principio  si  collegano  anche  le
 norme  costituzionali che individuano nel concorso il mezzo ordinario
 per accedere agli impieghi pubblici (art.  97,  terzo  comma)  e  che
 pongono  i  pubblici  impiegati  al  servizio esclusivo della Nazione
 (art. 98). Sia l'una che l'altra di tali norme si  pongono,  infatti,
 come corollari naturali dell'imparzialita', in cui viene a esprimersi
 la distinzione piu' profonda  tra  politica  e  amministrazione,  tra
 l'azione  del  "governo"  -  che,  nelle  democrazie parlamentari, e'
 normalmente legata agli interessi di una parte politica,  espressione
 delle forze di maggioranza - e l'azione dell'"amministrazione" - che,
 nell'attuazione  dell'indirizzo  politico   della   maggioranza,   e'
 vincolata  invece  ad  agire senza distinzione di parti politiche, al
 fine  del  perseguimento  delle  finalita'   pubbliche   obbiettivate
 dall'ordinamento.  Si  spiega,  dunque,  come  in questa prospettiva,
 collegata   allo   stesso   impianto   costituzionale   del    potere
 amministrativo  nel  quadro di una democrazia pluralista, il concorso
 pubblico, quale meccanismo di selezione tecnica e neutrale  dei  piu'
 capaci,  resti il metodo migliore per la provvista di organi chiamati
 a esercitare le proprie funzioni in condizioni di imparzialita' ed al
 servizio  esclusivo  della  Nazione. Ma per realizzare tale esigenza,
 anche il concorso - nelle sue modalita' organizzative e procedurali -
 deve  in  ogni  caso  ispirarsi al rispetto rigoroso del principio di
 imparzialita':  principio  che,  in   questa   materia,   impone   il
 perseguimento  del  solo interesse connesso alla scelta delle persone
 piu' idonee all'esercizio della funzione pubblica,  indipendentemente
 da  ogni  considerazione  per  gli  orientamenti  politici  e  per le
 condizioni personali e sociali dei vari concorrenti.
    Il principio d'imparzialita' e' destinato, pertanto, a riflettersi
 anche sulla composizione delle commissioni giudicatrici nei  concorsi
 pubblici, in quanto organi dell'amministrazione destinati a garantire
 la realizzazione di tale principio nella provvista delle persone  cui
 affidare l'esercizio delle funzioni pubbliche. Ma questo non comporta
 anche  -  stante   l'indissolubile   collegamento   esistente,   pure
 nell'ambito degli enti locali, tra livello "amministrativo" e livello
 di "governo" - che le commissioni  di  concorso  non  possano  essere
 formate  attraverso  una  scelta  operata dall'organo rappresentativo
 dell'ente ed,  eventualmente,  anche  con  l'adozione  di  meccanismi
 (quali  il  voto  limitato  o la maggioranza qualificata) destinati a
 garantire la partecipazione alla decisione delle  minoranze  presenti
 nell'organo.   Comporta,   invece,   che,   nella   formazione  delle
 commissioni, il carattere esclusivamente tecnico del  giudizio  debba
 risultare salvaguardato da ogni rischio di deviazione verso interessi
 di parte o comunque diversi da quelli propri  del  concorso,  il  cui
 obbiettivo  non  puo'  essere  altro  che  la selezione dei candidati
 migliori.  Tale  esigenza  impone  che,  nella   composizione   delle
 commissioni,  la  presenza  di  tecnici o esperti - interni o esterni
 all'amministrazione, ma in ogni caso dotati  di  adeguati  titoli  di
 studio e professionali rispetto alle materie oggetto di prova - debba
 essere, se non esclusiva, quanto meno prevalente, tale  da  garantire
 scelte  finali  fondate  sull'applicazione  di  parametri  neutrali e
 determinate soltanto  dalla  valutazione  delle  attitudini  e  della
 preparazione dei candidati.
    3.  -  E'  agevole,  a questo punto, rilevare come le disposizioni
 della legge regionale n. 125 del  1980,  che  formano  oggetto  della
 questione  di  legittimita'  costituzionale  di  cui  e'  causa,  non
 rispondano alle esigenze sopra richiamate. Esse  prevedono,  infatti,
 per  le  Province  e  per  i  Comuni con un numero di consiglieri non
 inferiore  a  quaranta,  commissioni  giudicatrici   presiedute   dal
 rappresentante  legale  dell'ente  o da un suo delegato e composte da
 sette membri, di cui soltanto uno qualificato come esperto (art.  28,
 primo   comma),  mentre  per  gli  altri  Comuni  non  compare  alcun
 riferimento alla partecipazione  di  esperti,  limitandosi  la  norma
 semplicemente   ad   affermare   la   necessita'  della  presenza  in
 commissione di una rappresentanza della  minoranza  (art.  28,  terzo
 comma).  L'applicazione  di  tali  disposizioni  potrebbe,  pertanto,
 consentire la costituzione di  commissioni  giudicatrici  formate  in
 assoluta  prevalenza  da  membri  prescelti  per ragioni di affinita'
 politica  e  non  per  una  qualificazione  tecnica  o  professionale
 connessa alle esigenze della valutazione concorsuale.
    Le  disposizioni  stesse devono essere, di conseguenza, dichiarate
 incostituzionali per violazione dell'art.  97,  primo  comma,  Cost.,
 nella  parte in cui non prevedono che la maggioranza dei membri delle
 commissioni giudicatrici sia formata da esperti dotati di  specifiche
 competenze tecniche rispetto alle prove previste dal concorso.
    Gli  stessi motivi inducono altresi' ad estendere la dichiarazione
 d'illegittimita' costituzionale - ai sensi dell'art. 27  della  legge
 11  marzo  1953  n. 87 - anche all'art. 7, primo e terzo comma, della
 legge regionale siciliana 12 febbraio 1988 n. 2 ed all'art. 7,  primo
 comma nn. 1 e 3, della legge regionale siciliana 9 agosto 1988 n. 21,
 che hanno innovato - con  disposizioni  di  analogo  contenuto  -  la
 disciplina  posta dall'art. 28 della legge regionale n. 125 del 1980,
 statuendo che "le commissioni giudicatrici dei concorsi sono composte
 dal  legale  rappresentante  dell'ente,  o da un suo delegato, che le
 presiede, e  da  cinque  membri  eletti  dall'assemblea  dell'ente  o
 dall'organo  deliberante  ed in possesso di titolo di studio di grado
 non inferiore a quello richiesto per la partecipazione al concorso" e
 che  e' facolta' dell'ente "aggiungere un membro esperto, quando cio'
 sia richiesto  dal  particolare  contenuto  tecnico  delle  prove  di
 esame".  Risulta, infatti, evidente che la previsione, espressa nelle
 richiamate leggi regionali, relativa al fatto  che  i  cinque  membri
 eletti  dall'organo  deliberante  dell'ente  siano  in possesso di un
 titolo  di  studio  non  inferiore  a   quello   richiesto   per   la
 partecipazione  al  concorso,  non puo' essere considerata condizione
 sufficiente per riferire ai  membri  in  questione  la  qualifica  di
 esperti nelle materie che formano oggetto delle prove concorsuali.