LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi prodotti dalla signora Emma Pisapia, nata il 19 settembre 1927, in Milano, elettivamente domiciliata in Roma, via Barberini, 86, presso l'avv. Franco Salvucci che, con l'avv. Cesare Ribolzi, la rappresentanza e difende nel presente giudizio, avverso il decreto n. 214340 in data 30 ottobre 1985 del Ministero del tesoro, direzione generale degli istituti di previdenza. FATTO La signora Emma Pisapia, gia' ragioniere principale del comune di Milano, collocata a riposo a domanda dal 20 giugno 1983, ha adito questa Corte in sede giurisdizionale con due ricorsi: l'uno (n. 121749), depositato nella segreteria della sezione il 24 aprile 1984, l'altro (n. 127643), depositato il 22 settembre 1986 (entrambi ritualmente notificati alla amministrazione previdenziale), dolendosi che la indennita' integrativa speciale le sia stata corrisposta, in aggiunta, alla pensione, in misura ridotta (in relazione ad anni 34 di servizio utile), come desumibile (primo ricorso) dai cedolini annessi all'assegno mensile di pensione, ovvero (secondo ricorso) dal provvedimento di definitiva concessione del trattamento di quiescenza (decreto n. 21434 in data 30 gennaio 1985 del Ministero del tesoro, direzione generale degli istituti di previdenza). I motivi di gravame, comuni ad entrambi i ricorsi ed alla memoria aggiunta depositata il 25 gennaio 1989, attengono alla applicazione, nella fattispecie, dell'art. 10, del d.-l. 29 gennaio 1983, n. 17, nel testo sostituito dall'articolo unico della legge 25 marzo 1983, n. 79, nella parte in cui (primo comma) dispone che la misura della indennita' integrativa speciale, corrisposta in aggiunta alla pensione, e' ridotta, per coloro che abbiano prodotto domanda di pensionamento a decorrere dal 29 gennaio 1983, ad un quarantesimo (per ogni anno di servizio utile) dell'importo della indennita' stessa spettante al personale collocato in pensione con la massima anzianita' di servizio. Deduce la Pisapia nei ricorsi che le prefate disposizioni contrastano con gli stessi principi istitutivi della indennita' integrativa speciale, volta ad assicurare il costante ed automatico adeguamento delle retribuzioni (e delle pensioni, quali retribuzioni differite) all'aumento del costo della vita, ed attuano una ingiustificata disparita' di trattamento, non solo tra soggetti in situazione giuridica sostanzialmente identica (quali i dipendenti cessati dal servizio immediatamente "prima" ovvero subito "dopo" la data dalla quale la misura riduttiva ha effetto, ma anche tra questi ultimi, in ragione della diversa causa del collocamento a riposo: poiche' a coloro che sono cessati dal servizio "a domanda", l'indennita' e' stata corrisposta per "quarantesimi", mentre coloro che sono cessati dal servizio ad altro titolo, e' stata attribuita per "intero". Nel rilevare che, per effetto della riduzione de qua, vien meno anche la corrispondenza tra lavoro prestato e giusta retribuzione (o pensione) e ne risulta, altresi', intaccato, il "minimo retributivo", necessario e sufficiente per assicurare al lavoratore (vuoi in servizio, che in quiescenza) una esistenza libera e dignitosa per se e per la famiglia, la ricorrente eccepisce la illegittimita' costituzionale delle riferite norme per contrasto con gli artt. 36 e 38 della Costituzione. Conclusivamente, la Pisapia chiede, in via principale, l'accoglimento dei ricorsi, con il riconoscimento del diritto agli "arretrati" (e correlativi interessi) oltre, la rivalutazione monetaria; in via subordinata, la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la definizione della cennata questione di legittimita' costituzionale. Con memoria depositata il 31 gennaio 1989, la avvocatura generale dello Stato, in rappresentanza e difesa dell'amministrazione resistente, ha chiesto la declaratoria di inammissibilita' del primo ricorso, in quanto proposto avverso provvedimento concessivo di trattamento pensionistico provvisorio. Nel merito, ha contestato la eccezione di illegittimita' sollevata dalla parte attrice, ritenendo conforme a principi di logica giuridica e di sostanziale giustizia che la indennita' integrativa speciale non sia erogata in misura identica per tutti i dipendenti, ma sia invece, commisurata alla maggiore o minore anzianita' di servizio dei singoli. In via subordinta - nella ipotesi di accoglimento del ricorso - ha eccepito la prescrizione dei ratei e degli accessori. Alla odierna pubblica udienza, l'avv. Cesare Ribolzi, per la ricorrente, ha insistito sulle conclusioni di cui in gravame. Per quanto attiene, in particolare, alla richiesta formulata in via subordinata, ha puntualizzato che la eccezione di illegittimita' costituzionale investe l'art. 10 del citato d.-l. n. 17/1983, quale sostituito dall'articolo unico della ripetura legge n. 79/1983, nella parte in cui, determinando la riduzione della indennita' integrativa speciale solo nei confronti dei dipendenti cessati dal servizio "a domanda", li pone ingiustificatamente in situazione deteriore rispetto ai dipendenti cessati dal servizio per altra causa: disparita' di trattamento che sopravvenute norme hanno eliminato parzialmente, e non integralmente, in quanto il criterio riduttivo e' stato, con esse, esteso ai dipendenti collocati a riposo "per altra causa", ma solo con effetto ex nunc; l'avv. Franco Salvucci, il quale ha anch'egli insistito per l'accoglimento dei ricorsi, rilevando, in particolare, che, con il provvedimento riduttivo, la amministrazione ha unilateralmente ed illegittimamente modificato, in senso peggiorativo, le c.d. "condizioni di contratto" cui il dipendente ha aderito all'atto della assunzione all'impiego. Ha, altresi', aggiunto che detta riduzione e' lesiva del diritto, generalmente riconosciuto (anche in sede internazionale) alla equa retribuzione (equa pensione) del lavoratore. Si e' comunque, associato alla richiesta formulata in via subordinata dal collega della difesa; l'avvocato dello Stato, per l'amministrazione resistente, il quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi, osservando, tra l'altro, che le dimissioni della Pisapia furno effetto di una libera scelta manifestata con la piena consapevolezza che, per la parte relativa alla indennita' integrativa speciale, le condizioni di contratto erano state modificate, e che, in ogni caso, la tutela costituzionalmente accordata al lavoratore (ed al pensionato) si sostanzia nella garanzia del "minimo retributivo", rappresentato dallo stipendio o dalla pensione, ma non si estende ad eventuali, ulteriori maggiorazioni economiche, ed il p.m. il quale, rilevato che le disposizioni censurate appaiono conformi a criteri equitativi logici e razionali (di guisa che il legislatore ha fatto corretto uso del suo potere discrezionale) ed associatosi alle conclusioni formulate dalla difesa della Amministrazione, ha chiesto la reiezione dei ricorsi, previa declaratoria di manifesta infondatezza delle proposte questioni di legittimita' costituzionale. DIRITTO Preliminarmente va disposta la riunone dei ricorsi, ai fini di una unica pronunzia, stante la loro evidente connessione soggettiva ed oggettiva (art. 274 del c.p.c.). Ancora preliminarmente rileva il collegio che la eccezione di inammissibilita' sollevata nell'atto conclusionale scritto dal p.g. in odine al primo ricorso, va disattesa dappoiche', nelle more del giudizio, la amministrazione ha emesso, nei confronti della Pisapia, il decreto concessivo del definitivo trattamento di quiescenza, di guisa che la impugnativa della ricorrente, giusta costante giurisprudenza, deve intendersi utilmente proposta (peraltro, e in ogni caso, tale ultimo provvedimento e' stato impugnato con il secondo ricorso). Nel merito la Sezione non ignora che altro giudica (t.a.r. Liguria, ordinanza n. 65/1985), ha denunziato la illegittimita' costituzionale delle riferite disposizioni (art. 10 del d.-l. n. 17/1983 cit. e articolo unico della legge n. 79/1983) per contrasto con gli artt. 36 e 38 della Costituzione e che la Corte verificatrice, con sentenza n. 531/1988, ha dichiarato la questione non fondata. Reputa, tuttavia, il collegio che la cennata questione possa essere riproposta in questa sede sotto diverso profilo. Al riguardo, giova richiamare - perche' parimenti conferenti al caso in esame - le considerazioni in altra fattispecie formulate dalla Sezione stessa (ordinanza n. 61680/1988) circa la denunziata illegittimita' costituzionale dell'art. 99, quinto comma, del testo unico approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui dispone la "sospensione" della erogazione della indennita' integrativa speciale nella ipotesi in cui il pensionato (che la percepisca in aggiunta alla pensione) presti opera retribuita presso altre amministrazioni o enti pubblici. Osservava, in tale circostanza, la sezione che la "sospensione" della indennita' integrativa speicale non e' ammissibile perche' - testualmente - "tale indennita' non rappresenta solo un mezzo di adeguamento dello stipendio (o della pensione) alle variazioni del costo della vita, ma costituisce di per se' la fascia retributiva minima e sufficiente per far fronte alle esigenze esenziali della vita: tant'e' vero che essa e' corrisposta a tutti i dipendenti senza eccezioni di sorta ed e' a tutti erogata in misura identica...., che essa rappresenta, in un certo senso, la "parte iniziale" della retribuzione connessa ai bisogni primari ed indispensabili del dipendente e della famiglia, e realizza, sie pure a livello minimo, il principio costituzionale di garanzia per il lavoratore, di cui all'art. 36 della Costituzione... che, pertanto, e' una indennita' la cui erogazione ha carattere necessario ed imprescindibile, di guisa che non puo' essere assoggettata ad esclusione o sospensione alcuna...": considerazioni che, per la loro generale portata, possono intendersi qui integralmente recepite ed inducono il collegio alla conseguente conclusione che, come la indennita' integrativa speciale non puo' essere "sospesa", cosi' non puo' neppure essere assoggettata a "riduzione". Invero "sospensione" e "riduzione", pur essendo concetti ontologicamente diversi, sono assimilabili sotto l'indicato profilo, costituendo entrambi, una limitazione che, per quanto detto, mal si concilia, anzi, e' in palese contrasto, con la natura e le finalita' della indennita' stessa. Per quanto riguarda, in particolare, la "riduzione a quarantesimi", puo' ulteriormente rilevarsi che la erogazione a tutti i dipendenti della indennita' integrativa speciale in misura identica, e non in rapporto alla maggiore o minore anzianita' di servizio dei singoli, non integra - come assume la difesa della amministrazione - alcuna violazione dei principi sostanziali di giustizia, poiche' la valutazione della anzianita' di servizio e' criterio certamente valido (e, peraltro, applicato in ordine al trattamento economico di attivita' (stipendio) o di quescenza (pensione), ma non e' altrettanto da ritenersi estensibile alla indennita' integrativa speciale (del resto, distinta e non conglobata ne' con l'uno, ne con l'altra), dato il fine di assicurare, mediante essa, ai dipendenti e ai pensionati (a tutti nessuno escluso) il minimo essenziale irriducibile per il vivere civile (al quale, peraltro, tutti indistintamente, ed a prescindere dalle singole posizioni soggettive, hanno parimenti diritto). Censurabile e', inoltre, che detta indennita', percepita "per intero", nel corso del servizio, sia, poi, attribuita in forma "ridotta" in sede di quescenza, proprio quando la situazione del lavoratore-pensionato si presenta economicamente piu' debole. Ma v'e' di piu': se, infatti, la funzione della indennita' integrativa speciale e' quella di adeguare la retribuzione (o la pensione) all'aumentato costo della vita, tale funzione viene meno per effetto della disposta riduzione, in conseguenza della quale solo una parte, e non l'intero dello stipendio (o della pensione) viene "adeguata" e sottratta alla progrediente svalutazione monetaria. Ne deriva, in definitiva, che, con la riduzione, viene meno non solo la corrispondenza (che la indennita' in questione, dovrebbe, invece, garantire tra lavoro prestato e retribuzione (o pensione), ma, altresi' tra retribuzione o (pensione) ed il minimo di sicurezza sociale cui il dipendente o il pensionato hanno diritto per se' e per la famiglia: con conseguente, evidente violazione dai principi di cui agli artt. 36 e 38 della Costituzione. per quanto concerne, infine, la dedotta violazione del principio costituzionale di eguaglianza, questa, ad avviso della sezione, non comporti ove si consideri - come piu' volte enunciato dalla Corte costituzionale - che la data del collocamento a riposo non riveste un mero signicato cronologico ma vale, altresi', a distinguere nettamente le posizioni giuridiche degli ex dipendenti ora pensionati), al punto che e' da ritenersi giustificata e non irrazionale una disciplina normativa non uniforme nei confronti di coloro che siano cessati da servizio sotto data diversa, anche se a brevissima distanza di tempo (nel caso, anche se collocati a riposto "prima" ovvero subito dopo la prefata data del 29 gennaio 1983. Detta violazione, invece, piu' riconoscersi sotto altro profilo: nel senso che il criterio riduttivo introdotto dalle sopracitate norme, in quanto applicato al solo personale cessato dal servizio "a domanda", e non anche a quello cessato per altra causa, ha posto in essere una irrazionale disparita' al trattamento che, nei casi piu' eclatanti, puo' portare all'aberrante risultanto che la indennita' sia corrisposta in misura ridotta a colui il quale, dopo un regolare o lodevole servizio, si sia dimesso dall'impiego per libera e volontaria determinazione, e sia, invece, corrisposta per intero a colui che ne sia stato dispensato per incapacita', ovvero destituito a seguito di procedimento penale o disciplinare. Potrebbe agevolmente obbiettarsi, in porposito, che il legislatore stesso, consapevole delle rilevate incongruenze, vi ha posto successivamente rimedio estendendo il criterio riduttivo a tutti i dipendenti, quale che fosse la causa di risoluzione del rapporto di impiego (eccettuati solo i casi di cessazione dal servizio per morte o per infermita' dipendenti da causa di servizio). Sta il fatto, pero', che, sia pure per tempo limitato, la rilevata disparita' di trattamento e' esistita, quanto meno nei confronti dei dipendenti cessati dal servizio nel periodo dal 29 gennaio 1983 alla data di entrata in vigore delle cennate norme modificatrici (art. 4 del d.l. 2 novembre 1985, n. 594). Per le considerazioni che precedono, reputa la Sezione manifestamente non infodata la questione di legittimita' costituzionale - che formalmente propone - dello art. 10, primo comma, del d.-l. 29 gennaio 1973, n. 17, quale sostituito dell'art. unico della legge 25 marzo 1983, n. 79, per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, nella parte in cui dispone nei confronti del personale avente diritto alla indennita' stessa, che abbia presentato domanda di pensionamento a partire dalla data di entrata in vigore del d.-l. medesimo, che la misura della indennita' integrativa speciale corrisposta in aggiunta alla pensione, e' determinata in ragione di un quarantesimo per ogni anno di servizio utile ai fini del trattamento di quescenza, dell'importo della indennita' stessa spettante al personale collocato in pensione con la massima anzianita' di servizio. Il giudizio va, quindi, sospeso, con il rinvio degli atti alla Corte costituzionale per la conseguente pronunzia.