IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nei confronti di Mazzoni
 Loris veniva emesso decreto di citazione a giudizio per l'udienza del
 17 maggio 1990 con le seguenti imputazioni:
       a)  della  contravvenzione p. e p. dall'art. 25 primo comma del
 d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, perche', quale amministratore unico
 della  s.r.l.  Mazzoni  Loris  & C., svolgente attivita' di raccolta,
 trattamento e stoccaggio provvisorio di rottami metallici, ferrosi  e
 non,  effetuava  smaltimento di rifiuti urbani e speciali prodotti da
 terzi senza la prescritta autorizzazione  in  Firenze  fino  a  tutto
 gennaio 1988;
       b)  della  contravvenzione  p.  e  p.  dall'art.  674  del c.p.
 perche', nella qualita' e nell'esercizio  dell'attivita'  di  cui  al
 capo  a),  gettava  o versava in luogo di pubblico transito ovvero di
 altrui uso, cose atte ad offendere o imbrattare o molestare  persone,
 ed  in particolare consentiva che si disperdessero nei fondi vicini e
 sulla pubblica via polveri ferrose e scoli melmosi provenienti  dalla
 predetta attivita', in Firenze fino al 21 maggio 1989.
    In  data 17 maggio 1990 il processo veniva rinviato a nuovo ruolo,
 preliminarmente, per legittimo impedimento a comparire del prevenuto;
 nei  confronti dello stesso Mazzoni veniva altresi' notificato d.c. a
 giudizio dinanzi al pretore di Firenze per il reato di cui agli artt.
 12  e  29 del d.P.R. n. 915/1982 perche', quale legale rappresentante
 della s.r.l. Mazzoni Loris & C., svolgente attivita' di  rottamazione
 e  cernita metalli, non ottemperava al punto 1 dell'ordinanza n. 3182
 emessa dal Sindaco di Firenze ex art. 12 del  d.P.R.  n.  915/1982  e
 notificata  il  30  ottobre  1989,  poiche' proseguiva l'attivita' di
 ricevimento ed  accumulo  di  materiali  ferrosi  proc.  n.  980/1989
 r.g.n.r.  in  ordine al quale veniva fissata udienza secondo le norme
 del nuovo rito per il 20 luglio  1990;  in  data  4  maggio  1990  il
 difensore dell'imputato presentava al sottoscritto pretore istanza di
 sospensione del procedimento n. 14021/1987 r.g.  per  le  imputazioni
 sub  capi  a)  e  b) affinche' lo stesso potesse essere riunito al n.
 980/1989 previa declaratoria di concorso  formale  dei  reati  e  del
 vincolo della continuazione.
    Con  provvedimento  11 maggio 1990, che si allega in copia, questo
 pretore respingeva l'istanza alla luce di quanto  disposto  dall'art.
 259,  secondo  comma,  delle  disposizioni  di  attuazione del c.p.p.
 (d.-l. 28 luglio 1989, n. 271); in data 22 giugno 1990  il  difensore
 del   menzionato   imputato  sollevava  questione  di  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 259, secondo comma, delle disp. attuaz.  del
 nuovo  c.p.p.  (la riunione non puo' essere disposta e la connessione
 non opera tra i procedimenti  che  proseguono  con  l'osservanza  del
 codice  abrogato  e  quelli  per  i  quali  si  applica il codice) in
 relazione agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione.
    La  questione  di  legittimita'  costituzionale e' rilevante e non
 appare manifestamente infondata.
    E' rilevante in quanto solo se venisse dichiarata l'illegittimita'
 costituzionale del citato articolo 259, secondo  comma,  delle  disp.
 attuaz.,  i  due  procedimenti potrebbero essere riuniti e, sul piano
 sostanziale, potrebbe trovare applicazione  la  disciplina  dell'art.
 81,  secondo  comma,  del  c.p.,  che  indiscutibilmente  prevede  un
 trattamento sanzionatorio piu' mite rispetto a quello che deriverebbe
 dal   cumulo  materiale  delle  pene.  In  buona  sostanza  la  norma
 transitoria processuale si risolve in  una  limitazione  del  diritto
 dell'imputato, di piu' reati per i quali pendono diversi procedimenti
 nello stesso stato e grado e davanti allo stesso giudice, a chiederne
 la  riunione, laddove cio' e' espressamente previsto dal nuovo c.p.p.
 agli artt. 17 e 12.
    Con riferimento alla non manifesta infondatezza si osserva:
      1)  l'art.  2,  terzo  comma, del c.p. relativamente all'ipotesi
 della successione della legge penale nel tempo, sancisce il principio
 secondo  cui,  se  la  legge  del tempo in cui fu commesso il reato e
 quelle posteriori sono diverse si  applica  quella  piu'  favorevole;
 tale  principio  viene  posto  in rapporto di necessaria integrazione
 rispetto  a  quello  sancito  dall'art.  25,  secondo  comma,   della
 Costituzione  ("nessuno  puo'  essere  punito  se non in forza di una
 legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso").
    Invero  l'art.  25,  secondo  comma, della Costituzione, nella sua
 formulazione  necessariamente  sintetica  e   generica,   sembrerebbe
 sancire  la  irretroattivita'  assoluta  anche della legge penale. Si
 pone pertanto la questione se l'art. 25 abbia innovato e ribadito  la
 disciplina  dell'art. 2 del c.p. Il problema del coordinamento tra le
 due norme puo' essere  risolto  facendo  riferimento  al  significato
 intrinseco  di  irretroattivita'.  Invero  la  ratio del principio di
 irretroattivita'  deve  essere  individuata  sul  piano   del   favor
 libertatis  nel  senso cioe' di assicurare il cittadino che non sara'
 sottoposto ad un  trattamento  piu'  severo  di  quello  previsto  al
 momento del fatto.
    Cio'  premesso  ne  discende  che  la  retroattivita'  della legge
 favorevole  al  reo  non  solo  non  contrasta   col   principio   di
 irretroattivita',  ma  insieme  a  questo rappresenta una particolare
 espressione del favor libertatis, da cui entrambi derivano;
      2) secondariamente l'art. 259, secondo comma, delle disposizioni
 di  attuazione,  non  accogliendo   il   principio   generale   della
 applicabilita'  del  trattamento  piu'  favorevole  al  reo, pone una
 disparita' di trattamento assolutamente ingiustificata e collegata ad
 una  circostanza  del tutto occasionale e indipendente dalla volonta'
 dell'imputato. E' indubbio  che,  nel  caso  di  specie,  si  sarebbe
 pervenuti  ad una riunione dei due procedimenti se i reati in oggetto
 fossero stati tutti contestati o sotto l'imperio del vecchio codice o
 sotto   quello   del  nuovo  rito.  Al  contrario  il  fatto  che  la
 contestazione dei  reati  in  esame  sia  avvenuta,  per  circostanze
 occasionali,  in parte in base al vecchio codice, in parte in base al
 nuovo  rito,  per  effetto  del'art.  259,   secondo   comma,   delle
 diposizioni  di  attuazione,  verrebbe a impedire la riunione dei due
 procedimenti  e  preclude  all'imputato   l'esercizio   del   diritto
 sostanziale  all'applicazione  del reato continuato, determinando una
 ingiustificata disparita' di trattamento tra imputati.
    L'eccezionalita'  della  circostanza  dalla quale dipenderebbe, ai
 sensi  del  secondo  comma  dell'art.  259  delle   disposizioni   di
 attuazione,  la  riunione  dei procedimenti in corso e l'operativita'
 della connessione desta maggiori perplessita' alla luce del contenuto
 dell'art.  242  delle  disposizioni  di  attuazione  che disciplina i
 procedimenti  in  fase  istruttoria  che  proseguono  con  le   norme
 anteriormente vigenti. Invero con riferimento ai termini indicati per
 quanto concerne i procedimenti di competenza del pretore (sei mesi  e
 trenta  giorni),  non  e' possibile individuare quale conseguenza sia
 connessa alla loro inosservanza.
    L'applicazione   dell'art.   259  verrebbe  quindi  a  determinare
 un'ingiustificata e non  ragionevole  disparita'  di  trattamento  in
 relazione  alla  possibilita'  di  applicare il disposto dell'art. 81
 cpv., del c.p., tra gli imputati a  seconda  che  siano  o  no  state
 osservate le modalita' procedurali e i termini previsti dall'art. 242
 cit.,  circostanze  del  tutto  indipendenti  dalla  volonta'   degli
 imputati stessi.