LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso presentato da Previti Luigi, domiciliato presso lo studio dell'avv. Antonio Fonzi, in Roma, via Zara n. 13, contro il decreto n. 402 in data 26 aprile 1958 del Ministero della difesa. FATTO Con l'impugnato decreto e' stata respinta la domanda di pensione privilegiata presentata dal soldato in congedo Previti Luigi, classe 1927, per non dipendenza da causa di servizio della denunciata infermita'. Avverso tale provvedimento, notificato all'interessato in data 16 giugno 1958, il prenominato ha presentato ricorso ventitre anni dopo, in data 29 luglio 1981, col patrocinio dell'avv. Antonio Fonzi, motivandolo con l'addotta generica lesione dei suoi diritti e interessi. Con il conseguente atto conclusionale il vice procuratore generale ha eccepito, in via principale, l'inammissibilita' del ricorso, per l'assoluta carenza dei motivi di doglianza, con riferimento al disposto degli artt. 1 e 3 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, ed incidentalmente ha eccepito la intempestivita' del ricorso medesimo, in quanto presentato ventitre anni dopo la notifica del decreto impugnato; nel merito ha rilevato la infondatezza del proposto gravame per cui ne ha chiesto la reiezione. Ha contro dedotto l'avv. Fonzi con una breve nota, per sostenere nel merito la dipendenza da causa di servizio della dedotta infermita', senza nulla opporre alle pregiudiziali eccezioni sollevate dal vice procuratore generale. All'udienza ordierna l'avv. Fonzi premesso che da un decreto ministeriale generico, redatto su di un modulo a stampa, e' stato replicato con un ricorso generico, si e' quindi richiamato alle argomentazioni successivamente esposte nella depositata nota defensionale per richiedere l'accoglimento del ricorso e, in subordine, l'acquisizione della valutazione peritale del collegio medico legale. A sua volta il pubblico ministero, nel confermare l'atto subordinata defensionale. DIRITTO Dall'esame delle eccezioni pregiudiziali sollevate dal vice procuratore generale, relative all'ammissibilita' del proposto ricorso, la sezione ritiene superabile quella attinente al difetto di motivazione, sia per effetto della benevola e consolidata giurisprudenza della Corte in materia, alla quale si e' richiamato lo stesso organo requirente, sia per il fatto che, una volta presa visione del fascicolo amministrativo, il difensore ha provveduto a sciogliere l'esplicita riserva formulata col proposto gravame depositando atti idonei a documentare i motivi dell'avanzata doglianza; non ritiene invece superabile l'eccezione attinente alla tempestivita' del ricorso, che ne preclude l'esame di merito. Al riguardo risulta provato in atti, e non contestato dalla difesa di parte, che tra la rituale notifica del decreto impugnato, avvenuta in data 16 giugno 1958, ed il deposito del conseguente ricorso, avvenuto in data 29 luglio 1981, sono trascorsi ventitre anni, per cui alla prolungata inerzia dell'interessato non puo' ragionevolmente attribuirsi altro significato che quello di una implicita acquiescenza a quanto dispoto con il predetto decreto e pertanto incopatibile con la volonta' d'impugnare il decreto medesimo, volonta' manifestata allorche' era trascorso non solo lo specifico termine di decadenza di novanta giorni, stabilito in materia dall'art. 63 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, ma anche l'ordinario termine di prescrizione di dieci anni, previsto dall'art. 2946 del c.c. Non ignora la sezione che la Corte costituzionale, con sentenza 14 gennaio 1976, n. 8, ha dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 63 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, ma al riguardo, come emerge dalla motivazione della predetta sentenza, non risulta che abbia con cio' inteso dichiarare anche la illegittimita' costituzionale di qualsiasi termine per la proposizione dei ricorsi avanti alla Corte dei conti in materia di pensione. In vero, nel rilevare che gli analoghi ricorsi avanti ai tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato possono essere proposti entro il termine decennale di prescrizione, anziche' entro il piu' breve termine di decadenza, la Corte costituzionale ha manifestamente inteso eliminare l'accertata dispatita' di trattamento, stante l'insussistenza di alcuna ragione per differenziare la tutela dei diritti patrimoniali che attengono al trattamento di quiescenza dei pubblici dipendenti, a seconda che la relativa giurisdizione sia attribuita ai tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato ovvero alla Corte dei conti. Pertanto, nel censurare la rilevata disparita' di trattamento, la Corte costituzionale ha inteso porre tutti i ricorrenti nella medesima condizione di poter fruire dal termine di prescrizione di dieci anni, in luogo del piu' breve termine di decadenza di novanta giorni, ritenuto privo di giustificazione sul piano della razionalita'. Ma, per il richiamo effettuato dalla stessa Corte costituzionale nella predetta sentenza all'art. 5 del sopravvenuto d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, che ha stabilito che "il diritto al trattamento di quiescenza diretto o di reversibilita' non si perde per prescrizione", alla Corte dei conti si e' affermato un indirizzo giurisprudenziale per effetto del quale e' stata conseguentemente ritenuta la insussistenza di alcun termine per la proposizione dei ricorsi in materia di pensione ordinaria. Cio' stante, il dubbio sollevato dall'orano requirente circa l'ammissibilita' del ricorso in esame, siccome proposto dopo ventitre anni dalla notifica del dereto impugnato, viene condiviso dalla sezione, considerata al riguardo la sostanziale differenza esistente tra il diritto al trattamento di quiescenza normale (art. 42 e segg. del d.P.R. n. 1092/1973), rispetto al diritto al trattamento privilegiato ed a quello spettante ai soldati di leva in particolare, quale rivendicato dal ricorrente nel caso di specie (art. 64 e segg. del d.P.R. n. 1092/1973) che, in quanto tabellare, non ha natura retributiva ma risarcitoria, per cui il relativo provvedimento amministrativo non e' di carattere paritetico ma autoritativo. Infatti, mentre nel primo caso il riconoscimento del diritto consegue necessariamente al raggiungimento di una prestabilita anzianita' di servizio, nel secondo caso il riconoscimento del diritto consegue occasionalmente al verificarsi di fatti lesivi, derivanti dall'adempimento di obblighi di servizio, che abbiano reso inabile il dipendente per infermita' o lesioni ascrivibili a categoria, il che comporta una particolare procedura di accertamento medico legale/c.d. una conseguente valutazione atoritativa da parte dell'amministrazione, che puo' concludersi sia col riconoscimento che con il disconoscimento del diritto, per cui, mentre nel primo caso appare pertinente il riferimento alla imprescrittibilita' del diritto, allorche' sia venuto ad esistenza, non altrettanto appare nel secondo caso, allorche' sia stata negata la esistenza del diritto. Ma il predetto motivo di dubbio risulta rafforzato anche dalla considerazione che, per quanto attiene la stessa materia che interessa tutti gli altri lavoratori le cui prestazioni pensionistiche sono affidate all'Istituto nazionale della previdenza sociale, le decisioni al riguardo adottate dal predetto Istituto possono essere impugnate in sede giudiziarie entro il termine di dieci anni, a norma dell'art. 58 della legge 30 aprile 1969, n. 153, confermato dall'art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639. Ne consegue l'anomala condizione giuridica per cui, mentre da un lato, il diritto a pensione dei lavoratori pubblici dipendenti risulta imprescrittibile ed i relativi provvedimenti amministrativi sono percio' ritenuti impugnabili avanti alla Corte dei conti senza limiti di tempo, d'altro lato, lo stesso diritto di tutti gli altri lavoratori risulta invece prescrittibile ed i relativi provvedimeti amministrativi sono percio' impugnabili in sede giudiziaria contro il termine di dieci anni. Quanto sopra esposto evidenzia una disparita' di trattamento che non appare conforme al disposto degli artt. 3 e 38 della Costituzione che, nello stabilire il diritto dei lavoratori ad un adeguato trattamento pensionistico, in particolare nei casi di vecchiaia (pensione ordinaria) e di invalidita' (pensione privilegiata), in condizioni di eguaglianza davanti alla legge, ragionevolmente non consentono la sussistenza della rilevata disparita' che non risultando riferibile ad una motivata scelta discrezionale del legislatore appare conseguente soltanto ad un difetto di coordinamento della normativa vigente in materia. Poiche', ai fini del decidere, l'eccezione al riguardo sollevata dal vice procuratore generale risulta rilevante, atteso che qualora la Corte costituzionale riconoscesse la illegittimita' costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, dovrebbe dichiararsi la inammissibilita' del ricorso in esame, e risulta anche non manifestamente infondata, stante la ritenuta non conformita' al disposto artt. 3 e 38 della Costituzione dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, in relazione agli artt. 58 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639.