IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 1463/1986
 proposto da Romagnoli Emilio rappresentato e difeso  dall'avv.  prof.
 Giovanni Cassandro e presso il suo studio, in Roma, via A. Kircher n.
 20, elettivamente domiciliato in virtu'  di  procura  a  margine  del
 ricorso  contro  l'Universita'  degli  studi di Roma "La Sapienza" in
 persona  del  rettore  pro-tempore;  il  Ministero   della   pubblica
 istruzione  in  persona  del  ministro  pro-tempore; il Ministero del
 tesoro in persona del ministro pro-tempore,  rappresentati  e  difesi
 dall'avvocatura   generale   dello   Stato,  per  l'annullamento  del
 provvedimento di data incerta, reso noto al  ricorrente  il  3  marzo
 1986  col  quale la direzione provinciale del tesoro, in applicazione
 del d.m. 7 ottobre 1981 - 7 ottobre 1983 ha accertato un  debito  del
 ricorrente   di  L.  1.503.523  per  maggiori  assegni  di  attivita'
 percepiti e non dovuti dal 1º febbraio 1981 al 30 novembre 1985 e  ne
 ha  disposto  il  recupero  sulla  partita  di  stipendio n. B 258/55
 intestata  al  ricorrente,  nonche'  degli  atti  tutti   presupposti
 connessi  e  conseguenziali  (come il d.m. 7 ottobre 1981 e 7 ottobre
 1983) e per ottenere l'applicazione del trattamento economico di  cui
 all'art.  10  del  d.-l.  6  giugno 1981, n. 283 (e relativa legge di
 conversione);  all'art.  1  del  d.-l.  27  settembre  1982,  n.  681
 (convertito in legge n. 861/1982); all'art. 10 del d.-l. 12 settembre
 1983, n. 463 (convertito in legge n. 638/1983); all'art. 1 del  d.-l.
 21  gennaio 1984, n. 3 (convertito in legge n. 29/1984); all'art. 1 e
 8 primo comma della legge 17 aprile 1984, n. 79; agli artt. 1 e 2  e,
 per  quanto  di ragione, all'art. 3, n. 3, del d.-l. 11 gennaio 1985,
 n. 2 (convertito in legge 8 marzo 1985, n. 72), previa - ove  occorra
 -   rimessione   degli   atti   alla   Corte  costituzionale  per  la
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale di tutte le norme  che
 dovessero   ritenersi   ostative   all'applicazione  del  trattamento
 economico pari a quello del dirigente generale dello Stato di livello
 A  a favore dei professori universitari che anteriormente all'entrata
 in vigore del d.P.R. n. 382/1980, avevano gia'  raggiunto  la  classe
 finale di stipendio, anche in caso di opzione per il tempo definito;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto di costituzione in giudizio dell'avvocatura generale
 dello Stato;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita  alla  pubblica  udienza del 10 giugno 1987 la relazione del
 consigliere Calogero Piscitello e uditi,  altesi',  l'avv.  Cassandro
 per    il   ricorrente   e   l'avv.   dello   Stato   Criscuoli   per
 l'amministrazione resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con  ricorso  notificato  in  data  2  maggio 1986 il prof. Emilio
 Romagnoli ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe  con  il
 quale  la  direzione  provinciale  del  tesoro di Roma ha disposto un
 recupero di credito per somme  indebitamente  erogate,  rivendicando,
 nel   contempo,  l'applicazione  del  trattamento  economico  di  cui
 all'art. 10 del d.-l.  6 giugno 1981, n. 283, convertito in  legge  6
 agosto  1981,  n. 432; all'art. 1 del d.-l. 27 settembre 1982, n. 681
 convertito in legge 20 novembre 1982, n. 869; all'art. 10  del  d.-l.
 12  settembre  1983, n.  463 convertito in legge 11 novembre 1983, n.
 638; all'art. 1 del d.-l. 21 gennaio 1984, n. 3 convertito  in  legge
 20  marzo  1984,  n.  29; all'art. 1 ed all'art. 8, primo comma della
 legge 17 aprile 1984, n.  79; agli artt. 1  e  2  e,  per  quanto  di
 ragione, all'art. 3, n. 3 del d.-l. 11 gennaio 1985, n. 2, convertito
 in legge 8 marzo 1985, n. 72, previa all'occorrenza, rimessione degli
 atti   alla   Corte   costituzionale   per   la  dichiarazione  della
 illegittimita' costituzionale dell'art. 36, ottavo  comma  d.P.R.  n.
 382/80,  degli artt. 11 e 11- ter del d.-l. n. 283/1981 convertito in
 legge n. 432/1981; dell'art. 1, ultimo comma del  d.-l.  n.  681/1982
 convertito  in  legge  n. 869/1982 e successive proroghe (art. 10 del
 d.-l. 12 settembre 1983, n. 463,  convertito  in  legge  11  novembre
 1983,  n.  638; art. 1 del d.-l. 21 gennaio 1984, n. 3, convertito in
 legge 20 marzo 1984, n. 29, art. 1 della legge 17 aprile 1984, n.  79
 e  dell'art.  3,  n.  3 del d.-l. 11 gennaio 1985, n. 2 convertito in
 legge 8 marzo 1985, n. 72, in parte qua, nella ipotesi che  le  dette
 disposizioni  vengano interpretate come ostative all'applicazione del
 trattamento economico pari a  quello  del  dirigente  generale  dello
 Stato  di  livello  A,  a  favore  dei  professori  universitari  che
 anteriormente all'entrata in vigore del d.P.R.  n.  382/1980  avevano
 gia'  raggiunto  la  classe  finale  di  stipendio,  anche in caso di
 opzione per il tempo definito.
    Il ricorrente, professore ordinario di ruolo presso la facolta' di
 scienze politiche dell'Universita' di Roma "La Sapienza", si e' visto
 attribuire,  con  decreto  29  giugno  1978,  n.  1313,  del  rettore
 dell'Universita' di Firenze  (presso  la  quale,  all'epoca  prestava
 servizio),  "lo  stipendio  annuo lordo corrispondente al trattamento
 retributivo per il livello di funzione  A  di  cui  all'art.  47  del
 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748" con decorrenza dal 16 giugno 1978.
    Egli  afferma,  pertanto,  di aver diritto, ai sensi dell'art. 12,
 lett. o), della legge 21 febbraio 1980, n. 28,  al  mantenimento  del
 trattamento economico dell'ultima classe di stipendio (corrispondente
 al livello retributivo di funzione A dei dirigenti dello Stato),  del
 quale  godeva  non  solo  prima  dell'entrata  in  vigore delle norme
 delegate in virtu' del citato art. 12  della  legge  n.  28/1980,  ma
 addirittura  da quasi due anni prima della pubblicazione della stessa
 legge n. 28/1980, contenente la delega.
    Il ricorrente, inoltre, segnala di aver chiesto, in data 19 giugno
 1981, ai sensi dell'art. 103 del d.P.R. 11 luglio 1980,  n.  382,  il
 riconoscimento  dei  servizi  prestati  come professore incaricato di
 materie giuridiche presso l'Ist. Tecn. Govern. L. Da  Vinci  in  Roma
 dal  1º  ottobre  1950  al  30  novembre 1952 per 1/3 come assistente
 volontario presso la cattedra di diritto agrario  della  facolta'  di
 giurisprudenza  dell'Universita'  di  Roma dal 1º novembre 1951 al 31
 ottobre 1958 per 1/3 (limitatamente al primo anno in via  alternativa
 con  il contemporaneo servizio presso l'istituto tecnico L. Da Vinci)
 nonche' il riconoscimento per  2/3  anziche'  per  1/3  del  servizio
 prestato  dal  1º  novembre  1958 al 31 gennaio 1966 quale professore
 incaricato presso la facolta' di giurisprudenza  dell'Universita'  di
 Cagliari.
    Ha infine, chiesto che gli venisse corrisposto l'assegno familiare
 per la figlia Angela,  sospeso  dal  26  marzo  1980  a  seguito  del
 compimento del diciottesimo anno, benche' detta figlia fosse a carico
 in quanto iscritta all'universita',  ma  non  ha  avuto  neppure  una
 comunicazione con riguardo a tale documentata istanza;
    In diritto il ricorrente deduce i seguenti motivi:
      1)  violazione  e falsa applicazione dell'art. 72, secondo comma
 della legge 11 luglio 1980, n. 312; dell'art.  12,  lett.  o,)  della
 legge  21  febbraio 1980, n. 28, dell'art. 36, settimo e ottavo comma
 del d.P.R. 11 luglio 1982, n. 382; degli artt. 10 e 11 e  p.q.o.  11-
 ter,  secondo  comma  del  d.-l. 6 giugno 1981, n. 283, convertito in
 legge 6 agosto 1981, n. 432; degli artt. 1 e 5 del d.-l. 27 settembre
 1981,  n.  869  convertito  in  legge  20  novembre  1982,  n.  869 e
 successive proroghe (art. 10 del d.-l.  12  settembre  1983,  n.  463
 convertito  in  legge  11 novembre 1983, n. 638 e art. 1 del d.-l. 21
 gennaio 1984, n. 3 convertito in legge 20 marzo 1984, n.  29),  degli
 artt.  1  e  8, primo comma della legge 17 aprile 1984, n. 79 e degli
 artt. 1 e 2 e, per quanto di ragione, 3, n. 3 del  d.-l.  11  gennaio
 1985,  n.  2 convertito in legge 8 marzo 1982. Dopo aver ricordato la
 portata del principio enunciato dalla  Corte  costituzionale  con  la
 sentenza 17 luglio 1975, n. 219 (che ha dichiarato costituzionalmente
 illegittimi - per contrasto con l'art. 3  della  Costituzione  -  gli
 artt.  16-  bis  della  legge  18 marzo 1968, n. 249, come modificato
 dalla legge n. 775 del 1970 e 47 del d.P.R.  30  giugno  1972,  nella
 parte  in  cui  non  estendevano  ai professori universitari di ruolo
 aventi diritto all'ultima classe di stipendio, di  cui  al  parametro
 825,  il  trattamento  retributivo stabilito per la qualifica A ed ex
 parametro 825 dei dirigenti dello Stato) nonche' il  contenuto  delle
 norme  di cui all'art. 12, lett. o), della legge 21 febbraio 1980, n.
 28 (che ha delegato il Governo  a  "stabilire...  una  disciplina  di
 attuazione   e   transitoria  per  il  mantenimento  del  trattamento
 economico dell'ultima classe di stipendio  da  parte  dei  professori
 universitari che ne usufruiscano alla data di entrata in vigore delle
 norme delegate") della legge 11 luglio 1980, n. 312, (che nel secondo
 comma  dell'art.  72  ribadisce:  "La  classe finale di stipendio dei
 professori universitari di ruolo, che si consegue al  compimento  del
 sedicesimo   anno   di   servizio,   da  intendersi  comprensivo  del
 riconoscimento spettante per i servizi pre-ruolo ai sensi delle norme
 vigenti,  e'  integrata  fino  a conseguire l'equiparazione economica
 allo stipendio del dirigente generale di livello A  dello  Stato,  in
 applicazione  dei  principi  derivanti  dalle  norme sulle carriere e
 retribuzioni dei dirigenti statali) e del d.P.R. 11 luglio  1980,  n.
 382  (il  quale,  all'art.  36,  ottavo  comma,  cosi'  dispone:  "Il
 professore ordinario che alla data dell'inquadramento  giuridico  nel
 ruolo  godeva  del  trattamento  economico corrispondente alla classe
 finale di stipendio conserva, qualora  piu'  favorevole,  il  diritto
 all'equiparazione  economica alla retribuzione del dirigente generale
 di livello A dello Stato,  in  applicazione  dei  principi  derivanti
 dalle  norme sulla carriera e retribuzioni dei dirigenti statali. Nel
 caso in cui lo stesso abbia optato per il regime di impegno  a  tempo
 definito,  la differenza tra la misura dello stipendio in godimento e
 quello che gli  compete  in  applicazione  del  presente  decreto  e'
 conservata   a   titolo   di   assegno  ad  personam  pensionabile  e
 riassorbibile  con  i  miglioramenti  economici  di   carriera",   il
 ricorrente  fa  altresi'  presente che di fronte alla tendenza di una
 parte dell'Amministrazione ad interpretare detto comma del d.P.R.  n.
 382/1980  nel  senso  che  determinasse  "una  cristallizzazione  del
 collegamento stipendiale tra professore a tempo definito e  dirigente
 generale A", la Corte dei conti, Sez. contr. Stato, 26 febbraio 1981,
 n. 1131, argomentando dall'art. 12, lett. o)  della  legge  delegante
 (n.  28/1980)  e  dall'art. 72 della legge n. 312/1980, si pronuncio'
 nel senso che la riassorbibilita' dell'assegno  ad  personam  di  cui
 all'art.  36,  ottavo  comma del d.P.R. n. 382/1980 "e' riferita alla
 progressione economica da professore a tempo definito, ma non esclude
 affatto  la  rideterminazione  di  detto  assegno  ogni  qualvolta si
 verifichi  un  aumento,  anche  per  solo   scatto   periodico,   del
 trattamento  economico dirigenziale", poiche' "si verte in ipotesi di
 assegno personale  incrementabile  per  conservare  dinamicamente  la
 equiparazione  riconosciuta  come  diritto  e  per  evitare  che  gli
 interessati godano contemporaneamente di due progressioni  economiche
 distinte".  In  altre  parole,  dovrebbe  comunque  essere  salvo  il
 principio della corte costituzionale, che raggiunto il vertice  della
 carriera prima dell'entrata in vigore della riforma universitaria, il
 professore universitario di ruolo debba conservare il trattamento del
 dirigente  dello  Stato  di  livello  A,  e che il riferimento non e'
 cristallizzato ad un  dato  momento,  ma  e'  "dinamico",  mentre  il
 riassorbimento  e'  previsto  soltanto  per evitare che il professore
 giunto al massimo livello retributivo possa cumulare i  miglioramenti
 della  carriera  dei  dirigenti  dello  Stato di livello A con quelli
 della nuova carriera accademica, che gia' al  momento  della  riforma
 attestava  il  massimo livello dello stipendio dei professori a pieno
 tempo al di sopra di quello dei dirigenti statali a livello  A  nella
 misura  dello  0,69%  e  che  in  futuro  era destinata a raggiungere
 livelli stipendiali ancor piu' favorevoli rispetto a quelli dei detti
 dirigenti.
    L'interpretazione  suddetta  dell'ottavo  comma  dell'art.  36 del
 d.P.R. 382/1980 - afferma il ricorrente - appare  l'unica  rispettosa
 dell'insegnamento  della  Corte  costituzionale  e  del dettato della
 legge delega. Ed a  favore  di  tale  interpretazione  milita,  senza
 dubbio,  anche  la  contestualita'  della  emanazione  della legge n.
 318/1980 e del d.P.R. n. 382/1980.
    Al professore universitario che abbia raggiunto prima dell'entrata
 in vigore del d.P.R.  n.  382/1980  la  classe  finale  di  stipendio
 compete, dunque, dinamicamente il trattamento economico del dirigente
 statale del livello A, nel senso che  il  suo  trattamento  economico
 segue  quello  di  detti  dirigenti  in ogni vicenda. Alla menzionata
 categoria di professori (cui il ricorrente  apparteneva,  al  momento
 della  riforma  universitaria,  sin  dal  1º giugno 1978, ed oggi con
 decorrenza notevolmente anteriore in virtu'  del  nuovo  computo  dei
 servizi pre-ruolo), dunque, dovevano e devono essere attribuiti tutti
 i miglioramenti del trattamento economico dei dirigenti  dello  Stato
 di livello A.
    Tali miglioramenti consistono:
       a)  nell'aumento  del 23% dello stipendio disposto dall'art. 10
 del d.-l. 6 giugno 1981, n. 283, convertito in legge 6  agosto  1981,
 n.  432,  nonche'  dell'acconto del 15% sugli aumenti futuri disposto
 dall'art.  11  della  stessa  legge  (salvo  riassorbimento,  per   i
 professori,  dell'assegno aggiuntivo non pensionabile di cui all'art.
 39 d.P.R. n. 382/1980);
       b)  nell'ulteriore aumento del 12,2% disposto dal secondo comma
 dell'art. 1 del d.-l. 27  settembre  1982,  convertito  in  legge  20
 novembre  1982 n. 869, (con soppressione dell'acconto di cui all'art.
 11 del d.P.R. n. 283/1981 convertito in legge n.  432/1981),  nonche'
 nella progressione economica del nuovo stipendio dirigenziale in otto
 classi biennali dell'otto per cento (ridotto al 6%  dalla  successiva
 legge  n. 79/1984) computato sullo stipendio iniziale di qualifica ed
 i succesivi aumenti biennali del 2,50% computati  sull'ultima  classe
 di stipendio disposti dal quarto comma dello stesso art. 1;
       c)  nelle  proroghe  del  trattamento  di  cui  sopra  disposte
 dall'art. 25 n. 10 del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463 convertito  in
 legge  11  novembre  1983,  n.  638 e dall'art. 1 del d.-l. 3 gennaio
 1984, n. 3, convertito in legge 22 marzo 1984, n. 29;
       d)  nell'ulteriore  proroga al 31 dicembre 1984 del trattamento
 di cui sopra indicato dall'art. 1, primo comma, della legge 17 aprile
 1984,  n.  79,  nell'ulteriore  aumento  del 13% disposto dal secondo
 comma dello stesso  art.  1  e  nella  progressione  in  otto  classi
 biennali  del  6%  (in  luogo  dell'8%  di cui al precedente d.-l. n.
 681/1982 convertito in legge n. 869/1982) computato  sullo  stipendio
 iniziale di qualifica ed in successivi aumenti periodici biennali del
 2,50% computati sull'ultima classe di stipendio;
       e)  nell'aumento  del 4,50% disposto dal d.-l. 11 gennaio 1985,
 n. 2, convertito in legge 8 marzo 1985, n. 72.
    A   cio'   deve  aggiungersi  l'assegno  integratore  ripristinato
 dall'art. 3, n. 3 del d.-l. 11 gennaio  1985,  n.  2,  convertito  in
 legge  8 marzo 1985, n. 72 o quanto meno la meta' di tale assegno per
 le ragioni esposte nel secondo motivo del ricorso;
      2)  stessa  violazione  di legge di cui al precedente motivo, da
 accertarsi  a  seguito  di   remissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale  per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale
 dell'art. 36, ottavo comma, d.P.R. n. 382/1980; degli art. 11  e  11-
 ter, del d.-l. 283/1981, convertito in legge n. 869/1982 e successive
 proroghe (art. 10 del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito  in
 legge  11 novembre 1983, n. 638; art. 1 del d.-l. 21 gennaio 1984, n.
 3 convertito in legge 20 marzo 1984, n. 29); art. 1  della  legge  17
 aprile 1984, n. 79; art. 3 del d.-l. 11 gennaio 1985, n. 2, covertito
 in legge 8 marzo 1985, n. 72, in parte qua nell'ipotesi che le  dette
 disposizioni  vengano interpretate come ostative all'applicazione del
 trattamento economico pari a  quello  del  dirigente  generale  dello
 Stato,   livello   A,   a  favore  dei  professori  universitari  che
 anteriormente all'entrata in vigore del d.P.R.  n.  382/1980  avevano
 gia'  raggiunto  la  classe  finale  di  stipendio,  anche in caso di
 opzione per il tempo definito, per contrasto con gli artt. 76, 3, 4 e
 36  della  Costituzione  e  dei  principi affermati dalla sentenza 17
 luglio 1975, n. 219 della Corte costituzionale.
    Qualora  la  normativa  in  materia  di  trattamento economico dei
 professori universitari che anteriormente all'entrata in  vigore  del
 d.P.R.  n.  382, del 1980, avevano gia' raggiunto la classe finale di
 stipendio dovesse interpretarsi nel senso che, per i  professori  che
 hanno  optato  per il tempo definito, tale trattamento si concretasse
 in un assegno ad personam non dinamico, ma  paralizzato  alle  misure
 del  momento  di applicazione del d.P.R. n. 382/1980 o al 1º novembre
 1981 (date ricavabili dall'art. 36 del d.P.R. n. 382/1980 e dall'art.
 11  ter  del  d.P.R. n. 283/1981 convertito in legge n.  432/1981) ed
 insensibile,  sino  al  compiuto  riassorbimento,  nei  miglioramenti
 futuri,  tutte  le  disposizioni  in tale senso sarebbero sicuramente
 incostituzionali.
    Un'interpretazione siffatta dell'art. 36, ottavo comma, del d.P.R.
 n. 382/1980 "violerebbe i limiti della delega, dato che  dai  criteri
 direttivi posti dalla legge di delegazione 2 febbraio 1980, n. 28, si
 puo'  ricavare  (art.  11,  lettera  o),  l'obbligo  del  legislatore
 delegato   di   mantenere   l'equiparazione  della  retribuzione  dei
 professori all'ultima classe di  stipendio  -  senza  distinzione  da
 professore  a  tempo  pieno  e  professore  a  tempo  definito  - del
 trattamento retributivo della dirigenza al  livello  dirigenziale  A.
 del   che   v'e'   conferma  chiara  ed  inequivocabile,  appunto  il
 riferimento  allo  stipendio  dei  professori  all'ultima  classe  di
 stipendio, nell'art. 72, secondo comma della legge 11 luglio 1980, n.
 312. Sicche' - e' il secondo motivo di incostituzionalita'  si  salda
 cosi'  col  primo - quando il legislatore delegato avesse distinto lo
 stipendio dei professori a tempo definito in stipendio e  in  assegno
 personale,   avrebbe   agito  arbitrartiamente,  espropriando  questi
 professori di un  diritto  che  era  stato  loro  riconosciuto  dalla
 pronunzia della Corte costituzionale e creando un privilegium odiosum
 e una disparita' di trattamento a loro danno.
    Vero  e'  che  il  legislatore  ha  distinto  i  professori in due
 categorie, a tempo pieno ed a  tempo  definito,  'privilegiando'  gli
 appartenenti  alla prima, ma codesto 'privilegio' non puo' comportare
 una reformatio in peius dello status  economico  di  quelli  a  tempo
 definito.
    I   professori   delle   due  categorie,  che  il  legislatore  ha
 individuato,  non  cessano  di  essere  professori  optimo  iure.  Le
 prestazioni che sono proprie dei professori universitari, prestazioni
 didattiche e scientifiche, sono richieste cosi' agli  uni  come  agli
 altri;  il  che  comporta  che  agli  uni  ed  agli altri deve essere
 riconosciuto, come e' riconosciuto, il medesimo status  giuridico  ed
 economico.  Ai  professori  a  tempo  pieno  non si chiede un plus di
 attivita' scientifica e didattica, ma si chiede di dedicare un  certo
 numero  di ore all'anno ad istruire gli studenti sui piani di studio,
 sui modi come devono essere compilati e via numerando. E  per  questo
 non  e'  corrisposto  loro uno stipendio diverso, ma un aumento dello
 stipendio del 40%  e  un  assegno  superiore  all'altro  concesso  ai
 professori  a tempo definito e, a differenza di questo, riassorbibile
 soltanto in parte. E che non sia  possibile  altra  ricostruzione  di
 queste  due  categorie  di professori, e' confermato dal fatto che il
 legislatore consente ai professori di optare per l'uno o per  l'altro
 'tempo'  soltanto  per  un  biennio  e  tornare  poi  all'un  'tempo'
 all'altro.
   In  conseguenza  e'  in  contrasto con l'art. 3, e in maniere assai
 piu' evidente, anche l'art. 11 ter sub 1 della legge  432/1981  terzo
 comma,  che  expressis  verbis fissa una volta per tutte l'assegno ad
 personam alla misura in cui era alla data del 1º novembre 1981  e  ne
 dispone   la  graduale  riduzione  mediante  riassorbimento.  Che  le
 questioni di costituzionalita' ora  elencate  siano,  oltre  che  non
 manifestamente  infondate,  anche rilevanti nel presente giudizio, e'
 di tutta evidenza.
    Senonche'  la legge di conversione ha aggiunto all'art. 1, in fine
 un comma contenente una norma, che si puo' qualificare di esclusione,
 giusta  la  quale ai professori universitari straordinari ordinari ed
 associati lo stipendio  maggiorato  del  12,20%  compete  secondo  le
 proporzioni  fissate  dall'art. 36 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382,
 il  quale  scandisce  la  progressione   economica   dei   professori
 universitari  in  sei  classi  biennali  di  stipendio, pari ciascuna
 all'8% della classe attribuita ai medesimi all'atto della  nomina  ad
 ordinario ovvero del giudizio di conferma.
    Questa norma non puo' avere come destinatari i professori ordinari
 equiparati sotto questo aspetto ai dirigenti di livello A. Se  questa
 interpretazione   non  fosse  accolta  si  solleva  la  questione  di
 legittimita' di  questo  comma  per  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione,  nell'ampia  interpretazione  che  ne  ha dato la Corte
 costituzionale. Si deve tenere presente che in seguito alla  sentenza
 della  Corte  costituzionale  i  professori gia' pervenuti all'ultima
 classe di stipendio al  1º  agosto  1980  costituiscono,  nell'ambito
 della  categoria  dei professori ordinari, una sorta di sub-categoria
 che ha titolo al trattamento economico dei dirigenti di livello A, ai
 quali  sotto  questo  profilo sono equiparati e con i quali, dunque -
 sempre  sotto  il  profilo  della  retribuzione  stipendiale   -   si
 identificano. Le norme pertanto che regolano il trattamento economico
 dei dirigenti si devono applicare  anche  adesso,  senza  bisogno  di
 specifiche   determinazioni,   se  non  si  vuole  incorrere  in  una
 violazione dell'art. 3 per irrazionalita' manifesta delle norme e per
 disparita'  di  trattamento  di  situazioni  giuridiche soggettive ed
 oggettive identiche".
    Il  t.a.r. per l'Emilia-Romagna, ricorda il ricorrente, in un caso
 analogo, pur se non ha ritenuto di  interpretare  l'art.  36,  ottavo
 comma,  del  d.P.R.  n.  382  del  1980  e le disposizioni dei d.P.R.
 convertiti nelle leggi n. 432/1981 e 869/1982 in senso conforme  alla
 legge-delega,  alla  legge  n. 312/1980 ed ai principi espressi dalla
 Corte costituzionale nella sentenza n. 219/1975  proprio  perche'  ha
 interpretato le dette disposizioni nel senso criticato le ha ritenute
 costituzionalmente illegittime conordinanze n. 3 del 26 ottobre  1984
 e n. 2 dell'8 giugno 1985.
    Ovviamente, gli stessi motivi di illegittimita' costituzionale che
 viziano tali leggi viziano anche quelle succesive se interpretate nel
 senso criticato. L'assegno ad personam, poi, inteso a consolidare una
 posizione economica nel tempo, e' irrazionale in tempi di  inflazione
 se non e' previsto un meccanismo di adeguamento.
    Non    soltanto,    dunque,    per   i   motivi   suesposti   sono
 costituzionalmente illegittimi l'art. 11-ter, terzo comma  del  d.-l.
 283/1981  convertito  in  legge n. 432/1981, che prevede la riduzione
 dell'"assegno ad personam" di  cui  all'art.  36,  ottavo  comma  del
 d.P.R.  n.  382/1980,  la  mancata  estensione  alla categoria di cui
 trattasi, della progressione di  carriera  per  i  dirigenti  di  cui
 all'art. 1, quarto comma del d.-l. n. 681/1982 convertito in legge n.
 869/1982; la conferma di dette posizioni ad opera dell'art. 25, n. 10
 del  d.-l. n. 463/1983 convertito in legge n. 638/1983 e del d.-l. n.
 3/1984 convertito in legge n. 29/1984, la mancata corresponsione  dei
 miglioramenti  contemplati dall'art. 1 della legge 17 aprile 1984, n.
 89, con particolare riguardo alla proroga  di  cui  al  primo  comma,
 all'aumento  del  13% di cui al secondo comma ed alla progressione in
 otto scatti biennali del 6% e successivi scatti biennali del 2,5%  di
 cui  al terzo comma (la questione di illegittimita' costituzionale e'
 sollevata con particolare riferimento all'art.  8,  quinto  comma  (e
 implicitamente  primo  comma),  ed  alla mancata corresponsione degli
 aumenti di cui al d.-l. n. 2/1985 convertito  in  legge  n.  72/1985,
 art. 1.
    Incostituzionale  appare, anche, la mancata corresponsione, almeno
 in misura pari al 50% della misura stabilita dall'art.  8  del  d.-l.
 ult.  cit., dell'assegno aggiuntivo a suo tempo disposto dall'art. 39
 del d.P.R. n. 382/1980.
    In particolare l'abrogazione del terzultimo comma di detto art. 39
 viene a costituire un'ulteriore inammissibile reformatio in peius del
 trattamento  del  professore a tempo definito, sia che si trovi nelle
 condizioni di cui all'ottavo comma dell'art. 36 del  d.P.R.  n.  382,
 sia che non vi si trovi;
      3) l'illegittimita' costituzionale del sistema.
    Il  ricorrente  si  trova  in una particolare situazione, che deve
 ricevere particolare tutela  in  base  ai  principi  enunciati  dalla
 sentenza  n.  219/1975 della Corte costituzionale, dall'art. 12 lett.
 o) della legge n. 28/1980 e dall'art. 72 della legge n. 312/1980.
    Piu'    gravi   illegittimita'   costituzionali,   invertirebbero,
 peraltro, intero sistema.
    E'  gia'  illogico  stabilire  non  un  premio  a  chi  si dedichi
 esclusivamente all'attivita' di ricerca (quale  l'assegno  aggiuntivo
 di cui all'art. 39 del d.P.R. n. 382/1980 ed ora all'art. 8 del d.-l.
 n. 2/1985 convertito in legge n. 72/1985) ma  un  maggiore  stipendio
 base.  Ancora  piu'  illogico  e' non stabilire il maggiore stipendio
 prendendo a base lo  stipendio  pieno  del  professore  universitario
 prima  della  riforma, ma artificiosamente ricavando lo stipendio del
 professore  a  tempo  definito  mediante   riduzione   dell'ordinario
 stipendio  base,  per  poi  tornare  per  il  tempo  pieno al vecchio
 stipendio base, maggiorando del 40% lo stipendio del  tempo  definito
 (operazione  che,  sostanzialmente, e' stata compiuta con la legge n.
 28/1980 e il d.P.R. 82/1980).
    Asncor  piu'  arbitraria  e'  l'artificiosa  giustificazione della
 differenza attribuendosi al professore a tempo pieno  un  obbligo  di
 350  ore  in luogo delle 250 per il professore a tempo definito. Cio'
 significa ridurre, contro ogni logica universitaria, l'attivita'  del
 docente  alla  presenza dell'Universita', senza tener conto del tempo
 che occorre per preparare le lezioni (ben piu' di  quel  che  occorre
 per  tenerli),  del  tempo  per  la  ricerca scientifica (enormemente
 superiore a quello  della  presenza  materiale  all'universita'),  di
 quello   per  la  partecipazione  alla  vita  della  universita'  dei
 dipertimenti e degli istituti.
    La  riforma universitaria contro ogni logica e contro il principio
 della remunerazione proporzionale all'impegno,  consacrato  dall'art.
 46  della Costituzione, ha ridotto la proporzione tra la retribuzione
 del professore a tempo pieno e quella del professore a tempo definito
 ad  una  rozza  proporzione  di  frequenza.  Essa  ha,  inoltre, reso
 estremamente difficile l'esercizio di  attivita'  professionali,  che
 tradizionalmente  costituiscono  un ottimo complemento dell'attivita'
 scientifica  delle  materie  professionali,   in   luogo   di   porre
 ragionevoli   limitazioni   confacenti  alla  dignita'  della  doppia
 professione, ed ha penalizzato, sotto questo profilo,  il  professore
 universitario  rispetto  al  professore  di  scuola  media  che  puo'
 esercitare le  professioni  liberali.  Tutto  cio'  appare  anche  in
 contrasto con l'art. 4 della Costituzione.
    Dalla  costante  erosione  che  interpretazioni (o leggi) punitive
 hanno operato ai danni dei professori a tempo definito, ivi  compresi
 quelli  che  (come  il  ricorrente) all'epoca della entrata in vigore
 della riforma avevano da tempo raggiunto l'ultima classe di stipendio
 consegue  un'iniqua  disparita'  di  trattamento  in  presenza di una
 sostanziale parita' di prestazioni che si esprime (come da  prospetto
 che  si  produce) nella corresponsione, al vertice della carriera, di
 uno stipendio complessivo netto di L. 3.629.334 al professore a tempo
 pieno e L. 1.996.000 al professore a tempo definito;
      4)  eccesso  di potere per manifesta ingiustizia, illogicita' ed
 erronei presupposti.
    E'  fuori  dubbio che il ricorrente ha percepito piu' che in buona
 fede cio' che gli e' stato corrisposto, in ossequio, oltre tutto,  al
 giudizio  piu'  volte  citato  dalla  Corte  dei  conti. Inoltre, nel
 prevedere il "recupero" non si e' tenuto neppure  conto  dei  crediti
 del  ricorrente  per  rivalutazione  dei servizi pre-ruolo ed assegni
 familiari per la figlia Angela non corrisposti, in  cio'  si  ravvisa
 l'evidente eccesso di potere di cui in rubrica.
    Si  e' costituita in giudizio l'Amministrazione resistente che con
 memoria dell'avvocatura generale dello Stato in data 3 aprile 1987  -
 ha   sostenuto   la   piena   legittimita'   del  proprio  operato  e
 l'infondatezza delle censure proposte dal ricorrente.
                             D I R I T T O
    Il  ricorrente,  nel contestare un provvedimento di recupero di un
 credito vantato nei suoi confronti  dall'amministrazione  provinciale
 del  tesoro  per  somme  indebitamente  erogategli, rivendica - quale
 professore universitario di  ruolo  pervenuto  all'ultima  classe  di
 stipendio  prima dell'entrata in vigore della riforma universitaria -
 l'applicazione del trattamento economico pari a quello dei  dirigenti
 generali  dello  Stato  di  livello  A  (trattamento economico di cui
 all'art. 10 del d.-l. 6 giugno  1981  n.  283  convertito  inlegge  6
 agosto 1981, n. 423; all'art. 1 del d.-l.  27 settembre 1982, n. 681,
 convertito in legge 20 novembre 1982, n.  869; all'art. 10 del  d.-l.
 12  settembre  1983, n. 463, convertito in legge 11 novembre 1983, n.
 638; all'art. 1 del d.-l. 21 gennaio 1984, n. 3, convertito in  legge
 20  marzo  1984,  n. 29; all'art. 1 ed all'art. 8, primo comma, della
 legge 17 aprile 1984, n. 79; agli  artt.  1  e  2  e  per  quanto  di
 ragione,  all'art. 3, n. 3 del d.-l. 11 gennaio 1985, n. 2 convertito
 in legge 8 marzo 1985 n. 72), sostenendo che  tale  trattamento  deve
 essere  mantenuto  anche nel caso (che lo riguarda) di opzione per il
 tempo definito,  e  denunciando  l'illegittimita'  costituzionale  di
 tutto  il  complesso  normativo  (di cui all'art. 36 ottavo comma del
 d.P.R. n. 382/1980; degli artt. 11 e 11-ter  del  d.-l.  n.  283/1981
 convertito  in legge n. 432/1981; dell'art. 1 ultimo comma, del d.-l.
 n. 681/1982 convertito in legge n. 869/1982 e successive  proroghe  -
 art.  10  del d.-l. 12 settembre 1983, n. 461, convertito in legge 11
 novembre 1983, n. 638; art. 1 d.-l. 21 gennaio 1984 n.  3  convertito
 in  legge  20 marzo 1984, n. 29, art. 1 legge 17 aprile 1984, n. 79 e
 art. 3 n. 3 del d.-l. 11 gennaio 1985 n.  2  convertito  in  legge  8
 marzo  1985,  n.  72 in parte qua) ove interpretato in senso ostativo
 alla pretesa dell'interessato.
    Attesa  l'infondatezza  della  tesi  del  ricorrente,  volta a far
 rientrare  automaticamente  la  propria  posizione   (ai   fini   del
 trattamento  economico)  nella  disciplina  legislativa dettata per i
 dirigenti generali dello Stato di livello A, devono essere  esaminate
 le sollevate questioni di legittimita' costituzionale.
    Che  i  professori  universitari  pervenuti  all'ultima  classe di
 stipendio (ex par. 825) abbiano diritto, in base alla  sola  sentenza
 della  Corte  costituzionale 8-17 luglio 1975, n. 219, al trattamento
 economico  dei  dirigenti  generali  dello  Stato   di   livello   A,
 considerato   nella   sua   dinamica,   e  -  invero  -  affermazione
 costantemente respinta dalla giurisprudenza  (v.  per  tutte,  t.a.r.
 Emilia-Romagna  8  giugno 1985, n. 294 e t.a.r. Lazio I sez. 19 marzo
 1985, n. 386), la quale ha, invece, messo in luce  come  la  predetta
 sentenza  della  Corte  costituzionale  abbia  riconosciuto  alle due
 categorie non una identita' costante di attribuzione  (o  addirittura
 una  retribuzione  unica) ma solo un criterio retributivo globalmente
 assimilato  che  consenta  ai  predetti   docenti   universitari   di
 raggiungere,  pur  nelle  differenziazioni  connesse  al  particolare
 regime giuridico del loro rapporto, un uguale tetto retributivo.
    Conformemente  a  quanto  gia'  ritenuto  dal  t.a.r. per l'Emilia
 Romagna (ordinanza 4 aprile 1984 e 25 febbraio 1985)  e  dalla  sesta
 sezione  del  Consiglio  di  Stato (ordinanza 9 agosto 1986, n. 628),
 deve considerarsi  non  manifestamente  infondata  (alla  luce  delle
 osservazioni  e  dei  principi  contenuti nella citata sentenza della
 Corte costituzionale, n. 219/1975, in ordine  alla  lunga  tradizione
 legislativa   di   equiparazione,  per  cio'  che  attiene  al  tetto
 retributivo, delle categorie dei professori universitari di  ruolo  e
 dei  dirigenti  generali dello Stato) ed in riferimento agli artt. 3,
 36  e  97  della   Costituzione,   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art. 36, ottavo comma del d.P.R. 11 luglio 1980,
 n. 382, nonche' delle successive norme (art. 11- ter d.-l.  6  giugno
 1981,  n.  283  convertito  nella legge 6 agosto 1981, n. 432; art. 1
 della legge 22 gennaio 1982, n. 6; art. 1 del d.-l. 27 settembre 1982
 n.  681  convertito  nella legge 20 novembre 1982, n. 869, e relative
 leggi di proroga sopracitate) che si sono  discostate  dal  principio
 dell'equiparazione.   Dal   combinato  disposto  di  tali  norme,  in
 particolare,  risutlano  violati  sia  il   principio   dell'identica
 potenzialita'   di   sviluppo   di  carriera  e  del  medesimo  tetto
 retributivo dei docenti  universitari  e  dei  dirigenti  statali  di
 livello  A,  sia  l'obbligo,  derivante  per  il legislatore delegato
 dall'art. 12 lett. o) legge 21 febbraio 1980,  n.  28,  di  mantenere
 l'equiparazione   della   retribuzione   fra  dette  categorie  senza
 discriminazione tra professori a tempo pieno  e  professori  a  tempo
 definito.
    Deve, pero', confermarsi l'orientamento negativo gia' espresso dal
 Consiglio di Stato (sesta sezione 12 aprile 1986, n. 321 e  9  agosto
 1986   n.   628)   in   ordine   alla   questione  di  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 11 del d.-l. 6 giugno 1981 n. 283, nel testo
 introdotto  dalla legge di conversione 6 agosto 1981, n. 432, (che ha
 attribuito ai soli dirigenti dello Stato un emolumento  di  carattere
 provvisorio  non  destinato  ad  entrare nel trattamento economico di
 regime della categoria).
    Per  le  considerazioni sopra esposte, si ravvisa la necessita' di
 sospendere il giudizio e di ordinare la trasmissione degli atti  alla
 Corte  costituzionale  ai  sensi  dell'art.  134  della  Costituzione
 dell'art. 1 della  legge  costituzionale  9  febbraio  1948  n.  1  e
 dell'art.  23  della  legge  11  marzo  1953  n.  87,  ai  fini della
 definizione delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale  sopra
 indicate.