IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    All'esito della udienza preliminare;
    Valutate le risultanze processuali;
                              R I L E V A
    La  legge  26  aprile  1990,  n.  86,  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale n. 97 del 27 aprile 1990, intitolata "Modifiche in tema dei
 delitti  dei  pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione",
 in particolare con l'art. 13, ha sostituito il  testo  dell'art.  323
 cel  c.p.  introducendo una nuova e complessa fattispecie di abuso di
 ufficio, e, con l'art. 20, ha espressamente abrogato l'art.  324  del
 c.p. che disciplinava la fattispecie di "interesse privato in atti di
 ufficio".
    La  combinata valutazione del nuovo regime introduce, nel passato,
 una chiara disparita' di trattamento tra gli autori  di  un  semplice
 abuso  (punibile  ex  art.  323 del c.p.) e gli autori del piu' grave
 delitto di interesse privato (gia' punibili ex art. 324 del c.p.).
    Al fine di chiarire l'enunciato, nucleo di un ravvisato eccesso di
 potere legislativo, pare  evidente,  innanzitutto  precisare  che  la
 "nuova"  fattispecie  di  abuso  di  ufficio, applicabile per i fatti
 commessi  dopo  la  vigenza  della  legge  in  esame,   si   incentra
 sull'elemento oggettivo, dell'abuso dell'ufficio, nel che consiste la
 condotta,  e  sul  qualificante  elemento  soggettivo,  del  fine  di
 procurare  a  se' o ad altri un ingiusto vantaggio non patrimoniale o
 di arrecare ad altri un danno ingiusto (primo comma), oppure del fine
 di  procurare  a  se'  o  ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale
 (secondo comma).
    Tale  fattispecie  e', sia in astratto che in concreto, senz'altro
 piu' sfavorevole, nel trattamento sanzionatorio, rispetto al  vecchio
 "abuso  innominato  di  ufficio",  perche'  ha,  gia'  nella versione
 minore, escluso l'alternativa della pena, mentre, rispetto al vecchio
 "interesse  privato  in  atti  di  ufficio", ha introdotto un duplice
 raffronto, di maggior favore, rispetto alla "presa di interesse"  non
 patrimoniale  (reclusione  fino  a  due  anni)  e di maggior sfavore,
 rispetto alla "presa di interesse" patrimoniale (reclusione da due  a
 cinque anni).
    Ma, a parte l'evidenziato raffronto sanzionatorio, non puo' essere
 affatto trascurato il raccordo  diacronico  tra  i  momenti  fattuali
 delle fattispecie.
    Sotto  tale  profilo,  vi  e' certamente omogeneita' di evoluzione
 normativa tra il vecchio e il nuovo disposto dell'art. 323,  perche',
 a  parte la estenzione di punibilita' soggettiva (per l'aggiunta, tra
 i soggetti agenti, dell'incaricato di pubblico  servizio),  il  nuovo
 delitto  continua  ad essere imputato a titolo di dolo specifico (con
 una magiore specificita' antigiuridica, mediante  l'introduzione  del
 requisito  dell'ingiustizia del vantaggio o del danno preso di mira e
 con la  graduatoria  del  profilo  del  vantaggio,  se  di  contenuto
 patrimoniale  o  non)  e  si  fonda su un elemento materiale soltanto
 meglio  formulato,  non  piu'  in  modo  dinamico  ed   equivocamente
 strumentale,  tra  abuso  e  atto  di ufficio, ma in modo semplice ed
 univocamente fattuale, di commissione di un atto di ufficio  abusivo.
    Analoga  omogeneita' non sussiste, per la parte che interessa, tra
 il vecchio  art.  324  e  il  nuovo  art.  323,  perche',  nonostante
 l'intendimento   legislativo,  di  formulazione  di  una  fattispecie
 unificante, l'art. 324 non  richiedeva  la  sussistenza  di  un  atto
 amministrativo  oggettivamente illegittimo o abusivo, anzi, la sicura
 configurazione  di  offensivita'  potenziale  della  fattispecie  (di
 pericolo  e  non  di  danno)  si  raccordava,  sul piano di tipicita'
 materiale, ad  una  presa  di  interesse  convergente  e  sovrapposto
 rispetto  all'interesse  pubblico, senza che ne fosse necessariamente
 deviata la "causa" dell'atto.
    La  disomogeneita'  oggettiva  di  condotta  e'  accentuata  dalla
 proclamata abrogazione della vecchia norma,  sicche',  laddove,  come
 nel  caso  in  esame,  la  contestazione  configuri  la  presa  di un
 interesse di contenuto patrimoniale,  non  e'  applicabile  la  nuova
 norma,  in  quanto  vi  osta il divieto di irretroattivita', e non e'
 applicabile la vecchia, perche' espressamente abrogata.
    Tale  risultato,  cui  si  perviene  applicando gli ormai pacifici
 orientamenti dottrinari in materia di successione di norme penali nel
 tempo  (richiedenti  una  continuita'  di  illecito  per  progressiva
 specificazione o continenza di  fatti),  e'  palesemente  iniquo,  in
 questa fase di regime transitorio, dunque di convergenza conflittuale
 di discipline diverse nel tempo, tra il momento del fatto incriminato
 (quello  di citazione della condotta) e il momento del giudizio su di
 esso.
    La  iniquita' sta nella (persistita) punibilita' di fattispecie di
 abuso innominato, ad offensivita' penale meno  grave,  rispetto  alla
 (sopravvenuta)   liceita'   di  fattispecie  di  presa  di  interesse
 patrimoniale, sicuramente ad antigiuridicita' di tasso piu'  elevato.
    L'effetto,  espressamente  abrogativo, porta a soluzioni perverse,
 imponendo la improcedibilita' (o, nelle fasi a piena giurisdizione di
 merito,  la  assoluzione)  "perche'  il  fatto non e' preveduto dalla
 legge come reato", piuttosto che la emissione del decreto  ordinativo
 del  giudizio  (o,  parallelamente, di condanna) per il delitto, come
 contestato.
    Per   le  esposte  considerazioni  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale del combinato disposto degli artt. 13 e 20 della legge
 26  aprile  1990,  n.  86, in relazione al trattamento punitivo delle
 fattispecie gia' qualificate come di "interesse privato  in  atti  di
 ufficio",  e'  rilevante;  e  non appare manifestamente infondata, in
 relazione  all'art.   3   della   Costituzione,   per   l'evidenziato
 trattamento  decisamente  piu'  favorevole (di impunita') riservato a
 fattispecie di piu' grave rilevanza penale rispetto ad altre di abuso
 generico  di ufficio, con concreto stravolgimento di valori, tutelati
 anche a livello costituzionale, di buon andamento e di  imparzialita'
 dell'amministrazione.