ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 13 del d.P.R.
 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico  delle  norme
 sul  trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello
 Stato), promosso con ordinanza emessa il 26 marzo 1990 dal T.A.R. per
 l'Emilia-Romagna  Sezione  di  Parma  sul  ricorso proposto da Carone
 Michele contro il Provveditore agli Studi di Parma ed altro, iscritta
 al  n.  429  del  registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 27,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 10 ottobre 1990 il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
                           Ritenuto in fatto
    1.   -   Dispensato   dal   servizio  per  invalidita'  permanente
 all'insegnamento, al prof. Michele Carone veniva  negato  il  diritto
 alla  pensione per mancanza del requisito dell'anzianita' minima, non
 potendosi a tal fine valutare la durata legale  del  corso  di  studi
 presso l'Accademia di belle arti.
    Per  ottenere  l'annullamento di tale provvedimento, l'interessato
 instaurava  un  giudizio,  nel  corso  del  quale   il   T.A.R.   per
 l'Emilia-Romagna,  ha  sollevato, con ordinanza in data 26 marzo 1990
 (r.o.  n.  429  del  1990),  e  in  riferimento  all'art.   3   della
 Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 13
 del d.P.R. 29  dicembre  1973,  n.  1092  (applicabile  al  personale
 docente  della scuola artistica in virtu' dell'art. 116 del d.P.R. 31
 maggio 1974, n. 417).
    La norma impugnata prevede il riscatto, ai fini del trattamento di
 quiescenza, degli anni corrispondenti alla  durata  legale  dei  soli
 studi  universitari, e a condizione che il relativo diploma di laurea
 sia necessario per l'ammissione  in  servizio.  La  ratio  sottesa  a
 quest'ultimo  aspetto  -  tendente a non penalizzare i dipendenti che
 hanno dovuto ritardare l'inizio della loro attivita' lavorativa,  per
 acquisire  il  titolo  di  studio superiore necessario all'ammissione
 all'impiego - sussisterebbe, ad avviso del giudice a quo, anche nella
 fattispecie sottoposta al suo esame. Difatti, la normativa secondaria
 che disciplina i concorsi per la docenza di  ruolo  nelle  Accademie,
 prevede  come  titolo necessario all'ammissione - in alternativa alla
 laurea in architettura - il diploma della  Accademia  di  belle  arti
 congiuntamente al diploma di maturita' artistica.
    Ma  la  disposizione  impugnata, limitando la riscattabilita' alla
 sola ipotesi degli studi universitari, impedirebbe di valutare  altri
 periodi  di  studi  superiori e cio' anche quando il relativo diploma
 sia necessariamente richiesto  per  l'ammissione  all'impiego,  cosi'
 determinando,  sul  piano previdenziale, un'ingiustificata disparita'
 di trattamento fra il diploma di laurea e il  diploma  dell'Accademia
 di  belle  arti,  che  il  legislatore avrebbe invece sostanzialmente
 equiparato, sia sotto l'aspetto dell'ammissione  alla  docenza  nelle
 accademie,  sia sotto l'aspetto del conseguente profilo retributivo e
 funzionale (artt. 46 l. 11 luglio 1980 n. 312 e 3 l. 30  luglio  1973
 n. 477).
    Ne', d'altra parte, l'eventuale affermazione dell'equipollenza fra
 i  due  periodi  di  studio  ai  fini  della  loro  valutabilita'  in
 quiescenza, potrebbe comportarne l'equiparazione ad altri fini.
    2.  - Non si e' costituita la parte privata, mentre e' intervenuta
 l'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione  venisse
 dichiarata infondata.
    Riferendosi  all'orientamento espresso, al riguardo, dal Consiglio
 di Stato in sede consultiva, l'interveniente ha sostenuto  che  -  in
 relazione  alle  caratteristiche  del  grado di istruzione impartito,
 alle finalita', all'ordinamento degli studi, allo stato giuridico del
 personale  docente,  alla  frequenza  scolastica  ed agli esami - gli
 studi svolti presso le Accademie di belle arti non possono  in  alcun
 modo  ritenersi  equipollenti  a  quelli universitari e, pertanto, il
 diverso trattamento, a fini  previdenziali,  fra  i  due  periodi  di
 studio  troverebbe  ampia  giustificazione nella discrezionalita' del
 legislatore.
                         Considerato in diritto
   1.  -  E'  sottoposto a verifica di costituzionalita' l'art. 13 del
 d.P.R. 20 dicembre 1973, n. 1092, della cui legittimita' il giudice a
 quo  dubita,  in  riferimento  all'art. 3 della Costituzione, perche'
 esso  prevede  il  riscatto  a  fini   di   quiescenza   degli   anni
 corrispondenti alla durata legale dei soli studi universitari, quando
 il relativo diploma sia  richiesto  come  condizione  necessaria  per
 l'ammissione  in  servizio,  mentre  non  lo prevede per i periodi di
 studio corrispondenti alla durata legale del corso dell'Accademia  di
 belle  arti  quando  il relativo diploma sia anch'esso richiesto come
 condizione necessaria per l'accesso all'impiego.
    2. - La questione e' fondata.
    Questa  Corte ha avuto piu' volte occasione di sottolineare che la
 legislazione in tema di riscatto sta evolvendosi nel  suo  complesso,
 nel  senso  di attribuire la dovuta considerazione al tempo impiegato
 anteriormente all'ammissione in servizio per acquisire la  necessaria
 preparazione  professionale, per cui, pur riconoscendo al legislatore
 un certo ambito di discrezionalita' quanto  alla  individuazione  dei
 periodi  e  dei  servizi  da  ammettere  a  riscatto,  ha  dichiarato
 illegittime (sent. n. 128 del 1981; nn. 44, 765 e 1016 del 1988; ord.
 n.  163  del 1989) norme irrazionalmente discriminatorie e divergenti
 dalla anzidetta  tendenza  evolutiva,  sottolineando  anche  piu'  di
 recente  (sent.  n.  426 del 1990) come cio' sia inammissibile quando
 l'acquisizione di quel determinato titolo, conseguito dopo il diploma
 di   scuola  secondaria,  sia  indispensabile  ai  fini  dell'accesso
 all'impiego.
    E' questo il caso del diploma dell'Accademia di belle arti che, se
 posseduto  congiuntamente  al  diploma  di  maturita'  artistica,  e'
 alternativo,  come  risulta  dalle  tabelle  delle classi di concorsi
 succedutesi nel tempo, rispetto alla laurea in architettura  ai  fini
 dell'ammissione  ai  concorsi per la docenza di ruolo nelle Accademie
 di belle arti.
    Al    riguardo    appare    ininfluente    l'argomento   sostenuto
 dall'Avvocatura generale dello Stato circa la non equipollenza  degli
 studi  svolti  presso  un'Accademia di belle arti rispetto agli studi
 universitari. Difatti, anche se da un  punto  di  vista  didattico  e
 scientifico  dovesse  negarsi  tale  equipollenza, devesi considerare
 che, ai fini dell'ammissione al concorso, e' espressamente  richiesto
 dall'ordinamentovigente,   come   si   e'   gia'  rilevato,  che,  in
 alternativa alla laurea in architettura, l'aspirante possa essere  in
 possesso  di  uno dei diplomi dell'Accademia di belle arti ottenuto a
 conclusione di un corso di studi ivi frequentato,  purche'  posseduto
 congiuntamente al diploma di scuola secondaria. Sia la laurea che uno
 dei   diplomi   conseguiti   presso   l'Accademia   di   belle   arti
 costituiscono,  percio',  alternativamente, condizione indispensabile
 per l'accesso  allo  stesso  impiego  per  cui  e'  irragionevolmente
 discriminatoria  la previsione della facolta' di riscatto solo per il
 corso legale degli studi  universitari  e  non  anche  per  gli  anni
 corrispondenti  alla  durata  legale  del  corso di studi seguito per
 ottenere uno dei diplomi dell'Accademia di  belle  arti,  alternativo
 alla laurea in architettura.