IL GIUDICE CONCILIATORE Sciogliendo la riserva di cui sopra e considerato che la decisione della presente causa deve essere preceduta dalla soluzione di una questione di legittimita' costituzionale, ha pronunciato la seguente ordinanza. Con atto di citazione congiuntamente proposto ex art. 103 del c.p.c., gli attori Vito Nicola De Russis e Francesco Spiga chiamavano in giudizio il Ministero della poste e telecomunicazioni, il direttore dell'ufficio postale di Roma, via Collatina n. 78, il titolare del ristorante "Picciotta" di Roma, la u.s.l. RM4, per ottenere la condanna per i danni, quantificati entro la competenza per valore del giudice conciliatore, riportati a seguito dell'esposizione al fumo di sigaretta in taluni locali chiusi ed aperti al pubblico. Ritiene il giudice conciliatore che la normativa in questione dettata dalla legge 11 novembre 1975, n. 584 "Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico" considera come lecita la diffusione di fumo di sigarette nei locali chiusi ed aperti al pubblico ove si e' verificata la situazione dannosa patita dagli attori. Preliminare appare pertanto l'esame della questione sollevata dalle parti attrici di legittimita' costituzionale dell'art. 1, lettere a) e b) della citata legge n. 584/1975, in riferimento agli artt. 3, 4, 32 e 87 della Costituzione che il giudice conciliatore ritiene rilevante e non manifestamente infondata ai fini delle domande risarcitorie oggetto della causa che potranno essere esaminate solo ove la Corte costituzionale accerti o meno l'illegittimita' in parte qua di tali norme. Tanto premesso, appare opportuno distinguere le posizioni dei due attori, i quali lamentano entrambi un pregiudizio alla salute causata dalla permanenza necessitata in locali chiusi ove l'aria era resa gravemente insalubre dal fumo di sigaretta degli altri frequentatori, sulla base della diversa natura degli ambienti e delle situazioni in cui si e' verificata la predetta lesione. 1) Lo Spiga, dipendente dell'ospedale S. Giovanni di Roma, presso l'ufficio del pronto soccorso, chiede il risarcimento del danno subito alla salute a seguito della necessitata convivenza giornaliera protrattasi per anni con colleghi accaniti fumatori. Al medesimo, peraltro gia' affetto da tempo da gravi disturbi respiratori, era stata diagnosticata una "bronchite cronica asmatica con insufficienza respiratoria" riconosciuta come contratta per causa di servizio. Assume lo Spiga che proprio a seguito di tale diagnosi, ritenuto non piu' idoneo al servizio di farmacia precedentemente svolto, era stato distaccato presso il pronto soccorso dell'ospedale S. Giovanni su sua richiesta: si attendeva infatti che l'ambiente ospedaliero fosse nel suo complesso, in ragione della presenza dei malati, protetto dalla diffusione del fumo. Tuttavia, anche nei locali del pronto soccorso non veniva inibito il fumo e cio' provocava un ulteriore peggioramento delle condizioni di salute dello Spiga, per tale danno egli oggi propone la propria domanda risarcitoria. Osserva invero il giudice conciliatore che la nocivita' dell'esposizione al fumo emesso dalle sigarette altrui (c.d. fumo passivo) in locali chiusi e' oggi ampiamente dimostrata ed affermata dai piu' autorevoli organismi scientifico-sanitari di rilevanza mondiale. La lotta al fenomeno del fumo passivo, ritenuto anche maggiormente tossico, in quanto non filtrato, di quello ingerito direttamente dal fumatore, e' stata considerata recentemente di fondamentale urgenza e rilevanza dalla Organizzazione mondiale della sanita' (programma "tabacco o salute" del 15 maggio 1986 - e lavori della assemblea della O.M.S. del 17 maggio 1990). Anche in sede comunitaria si sono avviati interventi in materia e, su proposta di parlamentari italiani in data 12 marzo 1982 (Gazzetta Ufficiale n. 87 del 5 aprile 1982) e' stata approvata dal Parlamento europeo una risoluzione con il dichiarato fine di perseguire una uniforme tutela della salute sugli Stati membri attraverso l'adozione del divieto di fumare in tutti i locali chiusi ed aperti al pubblico. La legge n. 584/1975, che in linea di principio persegue il fine di tutelare la salute dei cittadini (art. 32 della Costituzione) vietando il fumo in determinati ambienti, prende giustamente in considerazione anche l'ambiente ospedaliero (art. 1, lett. a). L'indubbia nocivita' del fumo passivo, infatti, non puo' che rendere necessaria la tutela specialmente per quei soggetti, i malati, i quali gia' presentano stati patologici che ne indeboliscono le difese; per costoro la predisposizione di un ambiente igienico-sanitario salubre costituisce un elemento primario ed irrinunciabile. Tale aspetto e' stato colto, almeno negli intenti iniziali, dal legislatore nel 1975. Tuttavia, l'elencazione riportata sub art. 1, lett. a) (ritenuta tassativa con corretta interpretazione del C.d.S. con il parere n. 540/1976) vale a vietare il fumo unicamente nelle corsie degli ospedali. Ne consegue che al di fuori delle corsie e quindi di tutti gli altri ambiti degli ospedali, corridoi, sale di aspetto, pronto soccorso, ambulatori medici, locali destinati al disbrigo delle pratiche amministrative come il pagamento del ticket, ecc., tutti luoghi comunque necessariamente frequentati dai malati, il fumo e' oggi lecito. Il legislatore, quindi, seppure perseguiva l'intento di salvaguardare la salute dei soggetti costretti a ricorrere alle strutture sanitarie vietando la diffusione di effluvi tossici del fumo di tabacco, ha poi introdotto con la specificazione letterale "corsie degli" una irragionevole differenziazione tra locali caratterizzati da identica necessita' di protezione, discriminando in tale modo i soggetti che per necessita' di cure o per motivi di lavoro sono costretti a permanere nei diversi ambiti vanificando dunque il suo stesso fine che, si ripete, consiste nella piu' incisiva tutela di chi sia gia' malato. Tale finalita' puo' effettivamente conseguirsi solamente attraverso l'imposizione del divieto di fumo esteso a tutti gli spazi propri della struttura sanitaria. Per quanto sino ad ora osservato, la legge n. 584/1975 e' chiaramente contraria al principio della ragionevolezza in base al quale il legislatore e' tenuto a trattare in maniera uniforme situazioni uguali, in relazione alla tutela differenziata introdotta tra i frequentatori dei diversi ambiti delle strutture sanitarie (e cio' in contrasto con l'art. 3 della Costituzione). Risulta inoltre una palese contraddittorieta' rilevabile nella assoluta mancanza di correlazione tra il fine primario della legge (tutela della salute ex art. 32 della Costituzione) e le differenziazioni normative concrete rispetto alla finalita' positivamente individuabile quest'ultima, concretamente, dunque, realizzabile solamente attraverso l'eliminazione dell'espressione limitativa "corsie degli" dell'art. 1, lett. a), della legge n. 584/1975. 2) Il De Russis ha invece adito il giudice conciliatore per i danni riportati dall'esposizione al fumo di tabacco avvenuta in due distinte circostanze, nei locali di un ufficio postale e nella sala di un ristorante. Quanto alla prima situazione, osserva il giudice conciliatore che il risarcimento per al situazione dannosa lamentata e' allo stato precluso dall'art. 1, lett. a), della legge n. 584/1975. L'art. 1 di tale legge impone il divieto di fumo, indipendentemente dall'essere chiusi o meno nei locali presi in considerazione, individuando invece quelli in cui vengono erogati tra servizi pubblici irrinunciabili, di rilievo costituzionale - sanita' (art. 32), istruzione (artt. 9, 32 e 34), trasporti e mobilita' (artt. 2 e 16) - per i quali i cittadini vedono garantito il diritto a fruirne in condizioni di salubrita'. Il legislatore ha inteso quindi tutelare gli utenti di tali servizi proprio in relazione alla irrinunciabilita' ed al rilievo che gli stessi rivestono per la societa' e per l'uomo. Risultano oggi esclusi dalla tutela gli utenti del servizio postale sia pure di pari rilevanza costituzionale (in relazione quanto meno agli artt. 15, 27 e 47 della Costituzione), di grande importanza sociale e gestito in regime di monopolio dello Stato (e cio' esclude ogni possibilita' di scelta dell'utente, che e' obbligato a fruirne per tutte le diverse esigenze di corrispondenza, comunicazione, pagamento da questo assolte). La legge in oggetto ha quindi introdotto immotivatamente una protezione differenziata che tutela esclusivamente la salute degli stessi utenti di taluni servizi pubblici, consentendo invece la presenza di fumo in locali ove si erogano servizi pubblici di pari dignita' costituzionale e sociale. Tale immotivata discriminazione si configura in contrasto con il principio di cui all'art. 3 della Costituzione nonche' con l'art. 32 della Costituzione che tutela il bene della salute umana come diritto primario e fondamentale, per di piu' inidoneo ad imporre una esaustiva tutela da parte dell'ordinamento (sent. Corte cost. nn. 892/1988, 184/1986 e 559/1987). Ritiene pertanto il giudice conciliatore rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzione dell'art. 1, lett. a), legge n. 584/1975 nella parte in cui vieta il fumo nei locali destinati all'istruzione e nei vari luoghi destinati agli utenti dei diversi servizi del trasporto, consentendo invece la diffusione di effluvi nocivi alla salute negli ambienti, nei quali si eroga il servizio pubblico postale. 3) In relazione alla seconda domanda del De Russis riguardante il danno riportato per il fumo inspirato nella sala del ristorante convenuto, il risarcimento e' allo stato precluso dalla lett. b) della legge n. 584/1975. Anche in tale caso la norma individua taluni locali che, indipendente mente dalla natura pubblica o privata, presentano invece tutti la caratteristica dell'essere chiusi ed aperti al pubblico. Al di la' della destinazione dei luoghi presi in considerazione (pubbliche riunioni, svago, finalita' culturali di vario tipo, gioco anche d'azzardo, svago, ecc.) l'elemento costante e' rappresentato dalla permanenza di piu' persone in ambiti chiusi. Trapela pertanto la finalita' di tutelare il cittadino che per varie ragioni si trova ad accedere e a permanere in luoghi chiusi, assicurando in tale modo condizioni igieniche qualitativamente idonee. Ratio evidente risulta essere la protezione e la valorizzazione delle attivita' di svago, riunione, socializzazione, cultura, nell'ambito delle possibili formazioni nelle quali si sviluppa la personalita' umana. Anche in questo caso, tuttavia, nell'esternazione del dato normativo il legislatore ha introdotto l'espressione limitativa "che siano adibiti a pubblica riunione" che ne ha fortemente svuotato la portata. Il C.d.S. (nel ricordato parere n. 540/1976) ha correttamente restrittivamente escluso che locali chiusi adibiti a pubblica riunione possano riferirsi ad ogni tipo di locale nel quale confluiscano contemporaneamente piu' persone, riportandosi al concetto recato dalle norme del t.u. di pubblica sicurezza ed, in particolare, escludendo il riferimento a bar, ristoranti, sale da the, ove la permanenza e' di per se' occasionale e precaria. Risulta evidente la discriminazione che viene a verificarsi, condividendosi tale interpretazione, per la immotivata disparita' di trattamento e tutela riservata ai frequentatori di sale da ballo sale-corse (tutelati dal fumo passivo) rispetto a coloro che si recano al ristorante (fuori da qualsiasi tutela). Non e' dato di scorgere alcuna valida ragione che possa sostenere la legittimita' della deroga introdotta dal legislatore che ha consentito la liceita' della diffusione del fumo nei ristoranti, nei bar, nelle sale da the, la cui frequentazione oltre che diretta al soddisfacimento di esigenze di nutrimento, di svago, di socializzazione, riveste nel nostro costume sociale pari, se non superiore, rilevanza rispetto alle altre attivita' maggiormente tutelate dalla norma in esame. Ritiene il g.c. di ravvisare nella norma un evidente contrasto con l'art. 3 della Costituzione per l'introduzione di un regime giuridico particolare in alcun modo giustificato dalla diversita' delle ipotesi disciplinate, ed una violazione dell'art. 32 della Costituzione nella parte in cui, introducendo nel testo dell'art. 1, lett. b), l'espressione "che siano adibiti a pubblica riunione", si e' limitata gravemente la portata della norma. Se infatti si accoglie l'interpretazione data Consiglio di Stato, il divieto di fumo puo' applicarsi, oltre alle ipotesi espressamente considerate dal legislatore solamente nei casi in cui si ha un incontro di piu' persone in un luogo pubblico, per un tempo ed un fine definiti, con evidente violazione dei principi costituzionali ricordati e, non degli artt. 2 e 3, ultimo comma, della Costituzione che garantisce la realizzazione dell'individuo anche in aggregati sociali quali sono tutti i luoghi di svago e riposo dei cittadini e lavoratori. 4) In difetto di esplicita istanza del difensore di parte attrice, viene sollevata d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, lett. b), della legge n. 584/1975 in relazione agli artt. 3, 17 e 32 della Costituzione. Oltre ai profili gia' evidenziati, infatti, a parere del g.c., il disposto dell'art. 1, lett. b), che limita la portata del divieto di fumare ai soli casi di riunione che si tengono in luogo pubblico ed aventi finalita' e durata definiti (ed e' questo il concetto di "pubblica riunione" che si desume dal t.u.p.s.) e' in contrasto, oltre che per gli aspetti gia' considerati, con gli art. 17 della Costituzione. Sulla base di tale articolo deve riconoscersi a tutti i cittadini l'identico diritto di riunirsi pacificamente anche attraverso la predisposizione del medesimo regime giuridico per tutte le possibili forme attraverso le quali tale diritto si realizza. Medesima protezione deve pertanto prevedersi, ad avviso del g.c., sia ai partecipanti a pubbliche riunioni nel senso indicato del t.u.p.s., sia a coloro che si riuniscono per altre finalita', anche ricreative, in locali che al pari presentino la caratteristica di esser chiusi ed aperti al pubblico. In conclusione, deve dunque rimettersi la decisione delle questioni sollevate alla Corte costituzionale, sospendendosi il presente giudizio.