LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso prodotto da
 Spaengler Hans Max e Hoch  Edeltraut,  elettivamente  domiciliati  in
 Stresa  presso  lo studio del rag. U. Gallo, via Ottolini, 2, avverso
 avviso di ingiunzione emesso dall'ufficio del registro di Verbania;
    Letti gli atti;
    Sentito  il  sig.  Walter Migliarini per l'ufficio del registro di
 Verbania;
    Udito il relatore Mario Piscitello;
                           RITENUTO IN FATTO
    Spaengler  Hans Max e Hoch Edeltraut, elettivamente domiciliati in
 Stresa, via Ottolini, 2, presso lo studio del rag. Umerto Gallo, il 9
 novembre  1989  proponeva  ricorso  contro  l'avviso  di ingiunzione,
 emesso dall'ufficio del registro  di  Verbania  e  notificato  il  19
 ottobre  1989, contenente l'ordine di pagare L. 9.941.000 per imposte
 complementari  Invim,  registro  e  accessori  relativi  all'atto  di
 compravendita, registrato il 23 dicembre 1985 al n. 910, con il quale
 gli  anzidetti  ricorrenti  avevano  acquistato  un  appartamento  in
 Baveno.
    I  ricorrenti  chiedevano  l'annullamento dell'impugnato avviso di
 ingiunzione in quanto fondato su un precedente avviso di liquidazione
 - attualmente all'esame della commissione tributaria di secondo grado
 di Novara - a sua volta fondato  su  un  avviso  di  accertamento  di
 maggior valore, non notificato agli attuali ricorrenti.
    L'ufficio registro di Verbania presentava deduzioni scritte con le
 quali chiedeva il rigetto del ricorso.
    La decisione del ricorso deve essere preceduta, a parere di questo
 collegio, da un giudizio di legittimita' costituzionale.
    L'attivita'  e il funzionamento di molte commissioni tributarie e,
 in particolare, di questa commissione e di questo collegio  dipendono
 da autorita' estranee alla giurisdizione.
    Uno  dei  componenti  di  questo  collegio e', infatti, dipendente
 dello Stato (professore di discipline giuridiche ed economiche presso
 un  istituto  tecnico  commerciale)  e  puo'  svolgere le funzioni di
 giudice tributario se e  quando  viene  autorizzato  da  un  preside,
 quindi da un'autorita' estranea alla giurisdizione.
    I dipendenti dello Stato, componenti di commissione tributaria, in
 base alla nota n. 8017/1z0.0.337 del 31 marzo 1988  della  Presidenza
 del  Consiglio  dei  Ministri, dipartimento per la funzione pubblica,
 debbono essere autorizzati ad assentarsi dal servizio  per  il  tempo
 necessario per l'espletamento del mandato, in quanto per l'art. 8 del
 regio decreto 8 luglio 1937,  n.  1516  -  tuttora  in  vigore  anche
 secondo  la  nota  anzidetta - la carica di componente di commissione
 tributaria costituisce ufficio pubblico ed e' obbligatoria.
    Questa  commissione  ha  gia'  sollevato questione di legittimita'
 costituzionale del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.  636  (Revisione  della
 disciplina  del  contenzioso), modificato dal d.P.R. 3 novembre 1981,
 n. 739, in relazione all'art. 108, secondo comma, della Costituzione,
 in  quanto  la  citata  normativa  non prevede che i dipendenti dello
 Stato, componenti di commissione tributaria, possano  assentarsi  dal
 servizio,   senza   autorizzazione,   per  il  tempo  necessario  per
 l'espletamento del mandato.
    La  Corte  costituzionale,  con  una  pronuncia che avrebbe potuto
 chiudere definitivamente la questione  "autorizzazione-indipendenza",
 se le autorita' amministrative avessero recepito le indicazioni della
 Corte,    ha    ritenuto    la    questione    "infondata"    perche'
 l'"autorizzazione" de qua e' un atto dovuto e, pertanto, non potrebbe
 in alcun modo compromettere il principio di  indipendenza  (ordinanza
 n. 581/1989).
    La  questione  e'  stata  subito  riproposta all'esame della Corte
 perche'  alcune  autorita'  amministrative  -  pur  dopo  la   citata
 pronuncia - ritenevano (e ritengono) di poter determinare e limitare,
 peraltro, senza  alcun  elemento  di  giudizio  (ad  es.  numero  dei
 ricorsi,  difficolta'  delle  questioni  da  decidere  e da motivare,
 adempimenti istruttori etc.), il "tempo necessario per l'espletamento
 del mandato dei giudici tributari".
    La  Corte  costituzionale,  per  la  seconda  volta, ha emesso una
 pronuncia di "manifesta infondatezza" "non essendovi, nelle impugnate
 norme  sul  contenzioso  tributario, alcuna disposizione di legge che
 preveda  la  censurata  'autorizzazione'"  da  parte   di   autorita'
 amministrative  nei  confronti  dei  giudici tributari" (ordinanza n.
 397/1990).
    Questo  collegio  deve  sommessamente osservare ed evidenziare che
 l'ordinanza  con  la  quale  veniva  riproposta   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale (ordinanza n. 269, Gazzetta Ufficiale n.
 21/1990)  non  lamentava  che  l'impugnato  decreto  sul  contenzioso
 tributario  prevedesse  la  necessita'  di  tale "autorizzazione", ma
 esattamente l'opposto, e cioe' che le citate norme  non  prevedessero
 la possibilita' di assentarsi senza autorizzazione.
    Il  secondo  comma  dell'art.  108  della Costituzione dispone che
 siano  le  leggi  ad  assicurare  l'indipendenza  dei  giudici  delle
 giurisdizioni speciali e, quindi, secondo il modesto parere di questo
 collegio, bisognerebbe esaminare se le leggi vigenti  garantiscono  o
 meno l'indipendenza.
    L'"autorizzazione"  per  i  dipendenti  dello Stato, componenti di
 commissione tributaria non e' prevista da alcuna norma, ma  discende,
 direttamente  ed  implicitamente,  dalle  norme regolanti il pubblico
 impiego.
    Il  dipendente pubblico, infatti, ha precisi doveri e, tra questi,
 il rispetto dell'orario di ufficio (artt.  13  e  14  del  d.P.R.  10
 gennaio  1957,  n.  3).  Da  tale  dovere  discnde  la  necessita' di
 giustificare le assenze imprevedibili (malattie etc.) e di richiedere
 preventivamente  l'autorizzazione  ad assentarsi dall'ufficio per uno
 dei possibili motivi specificamente previsti  (aspettative,  congedi,
 permessi  etc.),  fra  i  quali, pero', non e' compreso l'adempimento
 delle funzioni di giudice tributario.
    Questo collegio, con queste nuove argomentazioni, ritiene di dover
 sollevare per la terza volta la  stessa  questione  di  legittimita',
 memore  della questione concernente la pubblicita' delle udienze che,
 in  seguito  ad  un'ordinanza  di  questa   commissione,   e'   stata
 positivamente  risolta  dopo due pronunce di "manifesta infondatezza"
 (sentenza n. 50/1989).
    La  Corte  costituzionale,  nella  sua  ordinanza n. 397 del 12/31
 luglio 1990, ha affermato, lasciando  chiaramente  intendere  il  suo
 orientamento,  che "ove sussistono... possibili comportamenti diversi
 (e cioe' comportamenti di autorita' amministrative che  ritengono  di
 poter  determinare  il  'tempo  necessario' all'attivita' dei giudici
 tributari) non  spetta  a  questa  Corte  censurarli,  se  non  venga
 denunciata  l'illegittimita'  costituzionale  delle  altre  norme  di
 legge,  sulle  quali  i  provvedimenti  relativi  possano   risultare
 eventualmente fondati".
    Questo  collegio,  constatata  non  senza  soddisfazione la chiara
 indicazione della Corte costituzionale, solleva quindi  questione  di
 legittimita' costituzionale anche dell'art. 8 del r.d. 8 luglio 1937,
 n.  1516,  sul  quale  le   autorita'   amministrative   fondano   le
 autorizzazioni   per   i   dipendenti   dello  Stato,  componenti  di
 commissione tributarie (ved. Nota della Presidenza del Consiglio  dei
 Ministri,  dipartimento  per la funzione pubblica, del 31 marzo 1988,
 n. 8017/10.0.337),per violazione dell'art. 108, secondo comma,  della
 Costituzione, in quanto il citato art. 8 non prevede che i dipendenti
 dello Stato, componenti di commissione tributaria, possano assentarsi
 dal  servizio,  senza  autorizzazione,  per  il  tempo  necessario  -
 determinato  dal   presidente   del   collegio   giudicante   -   per
 l'espletamento del mandato.
    Nel  caso  in  esame, la presente questione di legittimita' assume
 concreta rilevanza in quanto questo collegio, in considerazione della
 complessita'  della  controversia,  ritiene  di non poter decidere il
 ricorso "subito dopo la discussione", ma di  dover,  in  applicazione
 dell'art.  20,  terzo  comma,  del  d.P.R.  26  ottobre 1972, n. 636,
 modificato dal d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 "rinviare la  decisione
 di  non  oltre  trenta giorni" e quindi di fissare ad altro giorno la
 prosecuzione della camera di consiglio, il  cui  svolgimento,  pero',
 potrebbe  essere impedito da un'autorita' estranea alla giurisdizione
 e, comunque, non dovrebbe dipendere  da  un'autorita'  estranea  alla
 giurisdizione.
    Le  suddette questioni, per le argomentazioni esposte, a parere di
 questo  collegio,  sono  "non  manifestamente  infondate"  ed   anche
 "rilevanti"  ai fini della decisione del ricorso in quanto concernono
 la composizione dell'organo giudicante e la prosecuzione della camera
 di consiglio.