ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 5, terzo
 comma, della legge 21 febbraio 1980 n. 28 (Delega al Governo  per  il
 riordinamento  della  docenza  universitaria  e  relativa  fascia  di
 formazione e per la sperimentazione organizzativa e didattica), e  50
 del  d.P.R.  11  luglio  1980,  n.  382  (Riordinamento della docenza
 universitaria, relativa fascia di formazione nonche'  sperimentazione
 organizzativa  e  didattica),  promosso  con  ordinanza  emessa il 31
 gennaio 1990 dal T.A.R. per la Campania sui ricorsi riuniti  proposti
 da  Pennarola  Raffaele  ed  altri contro il Ministero della pubblica
 istruzione,  iscritta  al  n.  474  del  registro  ordinanze  1990  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 33, prima
 serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  costituzione  di  Pennarola  Raffaele ed altri,
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  27  novembre  1990  il Giudice
 relatore Giuseppe Borzellino;
    Udito  l'avv.  Paolo  Tesauro  per  Pennarola  Raffaele ed altri e
 l'Avv. dello Stato Luigi Siconolfi per il  Presidente  del  Consiglio
 dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  emessa  il  31  gennaio  1990 dal Tribunale
 amministrativo regionale per la Campania sui ricorsi riuniti proposti
 da  Pennarola  Raffaele  ed  altri contro il Ministero della pubblica
 istruzione (reg. ord. n. 474/90)  e'  stata  sollevata  questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli artt. 5, terzo comma, della legge
 21 febbraio 1980, n. 28, e 50 del d.P.R.  11  luglio  1980,  n.  382,
 "nella  parte  in cui non contemplano, tra i soggetti da ammettere ai
 giudizi di idoneita' a professore universitario associato,  i  medici
 interni  universitari incaricati con compiti assistenziali, che siano
 anche liberi docenti e che entro l'anno  accademico  1979-80  abbiano
 svolto,  per  un  triennio, attivita' didattica e scientifica, questa
 ultima comprovata da  pubblicazioni  edite  documentate  dal  preside
 della  facolta'  in  base ad atti risalenti al periodo di svolgimento
 delle attivita' medesime", in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.
    Oggetto  del  giudizio  de  quo  e'  l'impugnazione,  da parte dei
 ricorrenti  ("liberi  docenti  che  avevano  svolto  l'attivita'  per
 incarico di medico interno universitario con compiti assistenziali"),
 dei provvedimenti, al tempo, del Ministero della pubblica  istruzione
 con  i  quali  gli  stessi  sono  stati  esclusi dalla II tornata dei
 giudizi di idoneita' a  professore  universitario  di  ruolo,  fascia
 degli associati.
    Le  norme  impugnate,  secondo  il  Collegio  remittente,  tra  le
 indicate categorie di soggetti non  contemplano  infatti  quella  cui
 appartengono  i  ricorrenti.  Da  cio'  la questione sollevata per il
 "diverso trattamento riservato dalle  norme  sopraindicate  (ai  fini
 dell'ammissione  ai  giudizi  di idoneita' a professore associato) ai
 liberi docenti (in possesso di tutti gli  altri  requisiti  richiesti
 dalle norme universitarie) che hanno svolto attivita' per incarico di
 medico interno universitario  con  compiti  assistenziali  e  che  si
 trovavano, pertanto, nelle medesime condizioni di altri soggetti, per
 avere svolto identiche mansioni ed acquisito  lo  stesso  livello  di
 professionalita'".
    Richiamate le sentenze n. 46 del 1985, n. 89 del 1988 e n. 397 del
 1989, il Collegio remittente osserva che nel caso di specie la  nuova
 categoria  che  favorevolmente  emerge  al  fine de quo e' quella dei
 medici interni universitari incaricati con compiti assistenziali, che
 siano  anche  liberi  docenti,  avendo  superato le relative prove di
 esame, oltre possedere i titoli didattici e scientifici occorrenti.
    E  infatti,  violato  il principio costituzionale della parita' di
 trattamento (art. 3), vi sarebbero  "conseguenti  riflessi  sul  buon
 andamento e l'imparzialita' dell'Amministrazione" (art. 97 Cost.).
    2.  -  Si  sono  costituiti in giudizio i ricorrenti i quali hanno
 messo  in  evidenza  la  ingiustificata  disparita'  di   trattamento
 riservata  dalle  norme  impugnate  alla categoria dei liberi docenti
 rispetto  ai  medici  interni  vincitori  di  concorso  e  ai  medici
 contrattisti.
    Anche   i  liberi  docenti  rientrerebbero,  quindi,  nel  "filone
 individuato dalla Corte",  avendo  gli  stessi  superato  una  prova,
 l'esame  di  docenza  (oltre  che  aver svolto piu' di un triennio di
 attivita' didattica).
    E'  intervenuto  in  giudizio  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  che,  ponendo  in evidenza il carattere non concorsuale degli
 esami  per  l'abilitazione  alla  libera  docenza,  ha  concluso  per
 l'inammissibilita' ovvero l'infondatezza della questione.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  questione prospettata importa lo stabilire se l'art. 5,
 terzo comma, della legge 21 febbraio 1980, n. 28 (Delega  al  Governo
 per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di
 formazione e per la sperimentazione  organizzativa  e  didattica),  e
 l'art.50  del  d.P.R.  11  luglio  1980,  n. 382 (Riordinamento della
 docenza  universitaria,  relativa  fascia   di   formazione   nonche'
 sperimentazione  organizzativa e didattica),contrastino con gli artt.
 3 e 97 della Costituzione:  infatti,  non  sono  contemplate  tra  le
 categorie  da  ammettere  al  giudizio  di  idoneita'  per professore
 associato  i  medici  interni  universitari  incaricati  con  compiti
 assistenziali  che  siano  in  possesso dell'abilitazione alla libera
 docenza, in evidente disparita' di trattamento - assume  il  Collegio
 remittente  -  rispetto alle altre categorie previste nella normativa
 impugnata; cio' avrebbe  negativo  riflesso  poi,  con  l'inserimento
 parziale  dei  soggetti interessati, sul buon andamento organizzativo
 dell'amministrazione.
    2.   -   L'Avvocatura   dello   Stato  eccepisce  che  l'ordinanza
 sembrerebbe incidere sulle sentenze della Corte in materia,  indicate
 in narrativa, piuttosto che direttamente sui parametri costituzionali
 invocati (3 e  97),  cosi'  palesandosi  una  inammissibilita'  della
 questione:  ma  la  censura  non  ha  pregio, risultando evidente dal
 contesto come i remittenti abbiano inteso  prospettare  in  causa  la
 giurisprudenza  costituzionale  in  chiave di lettura di quelle norme
 ordinarie che si argomentano in violazione di ben precisi  parametri.
    3.1 - La questione non e' fondata.
    Proprio  richiamando la giurisprudenza cui si e' fatto cenno e' da
 ricordare, intanto, che la figura dei medici interni universitari con
 compiti  assistenziali  venne ricostruita, nelle sue origini, con una
 prima sentenza (n. 46 del 1985), ivi rilevandosi come,  anteriormente
 alle  leggi  di  riordino  della  docenza universitaria, la posizione
 giuridica in discorso difettasse di una disciplina specifica, sicche'
 le  modalita'  di  reclutamento  erano  rimaste  affidate,  al tempo,
 all'autodeterminazione delle singole Universita': ovviamente, in tali
 condizioni,  non potevano non esser posti su di un identico piano sia
 i soggetti assunti con deliberazione dei  Consigli  d'amministrazione
 degli Atenei che quelli chiamati ad assolvere i propri compiti previa
 semplice delibera di Facolta'.
    3.2  -  Successivamente, dall'esame dei lavori che precedettero il
 riordinamento  universitario  veniva  ad  emergere  e  a   delinearsi
 l'equiparazione  della  qualifica  del  medico interno con quella del
 preesistente assistente universitario: cio' per un'evidente razionale
 identita' di presupposto, quando cioe' fosse risultata espletata, per
 la rispettiva nomina, la procedura  concorsuale  pubblica  "sia  come
 prova  d'esame, sia come composizione delle commissioni" (Atto Camera
 dei deputati  n.  870,  VIII  legislatura,  pag.  6265):  da  qui  la
 illegittimita'  di  diniego, in tal ben precisa ipotesi, del giudizio
 speciale  per  professore  associato,  consentito   agli   assistenti
 universitari  e non anche ai medici interni, quando al pari dei primi
 assoggettati in apice ad una identica prova concorsuale (sent. n.  89
 del  1986);  e  a  rendere  definitivamente omogenea la normativa, in
 eguale  situazione  si  riconobbe  versassero,  per  l'identita'   di
 posizione di stato ex art. 5 del decreto-legge 1 ottobre 1973, n. 580
 (Misure  urgenti  per  l'Universita'),  convertito  nella  legge   30
 novembre  1973,  n.  766,  con  modificazioni,  i  medici titolari di
 contratto,  svolgenti  pure  attivita'  di  assistenza   e   nominati
 anch'essi in base a concorso (sent. n. 397 del 1989).
    3.3  -  Conclusivamente,  da  quanto  sin  qui  precisato  risulta
 delineato  con  coerenza  il  sistema  nel  senso  della  sufficiente
 omogenizzazione della categoria di cui trattasi - medici interni - ai
 fini di loro ammissione  al  giudizio  di  idoneita'  al  pari  degli
 assistenti  universitari,  con  tali soggetti avendo in comune, per i
 fini della relativa nomina, una prova  selettiva  concorsuale  (oltre
 l'aver   esplicato,   nell'arco   di  tempo  apprezzabile,  attivita'
 didattica e di ricerca).
    4.   -   Consegue   dalla   ricostruzione   sulla   quale   si  e'
 necessariamente indugiato per gli scopi di causa - sono gli enunciati
 stessi dell'ordinanza di remissione ad esigerlo - come, difettando il
 presupposto comune del concorso, nessun altro titolo puo'  ravvisarsi
 valido nei soggetti in discorso per la loro ammissione ai giudizi, la
 cui normativa e' oggetto dell'odierno esame:  diversamente  operando,
 lungi  dall'omogeneizzarlo,  si renderebbe assolutamente disuguale il
 sistema tracciato con altrettanta negativa incidenza sui principi  di
 organizzazione delle strutture amministrative.
    Orbene,  i liberi docenti assunti per incarico, di cui all'odierna
 fattispecie, non risultano aver superato,  per  la  nomina  a  medico
 interno,  alcuna  prova  concorsuale,  ne'  a  questa puo' ravvisarsi
 equiparabile  il  conseguimento  della  libera  docenza,  cosi'  come
 sostenuto,  invece,  dai  ricorrenti:  ai  sensi  delle  norme che la
 sorreggevano, questa infatti  non  si  prospetta  prova  concorsuale,
 dischiudente  cioe' la successiva assunzione a medico interno, bensi'
 mero esame di abilitazione. Ed esame comunque  avulso,  nell'indicato
 sistema, dalla nomina, per concorso ripetesi, a medico interno.
    Se  cosi'  non  fosse,  gli  interessati avrebbero senz'altro gia'
 usufruito di quanto disposto con la sentenza  n.  89  (ved.  al  par.
 3.2).
    Pertanto   la   questione,   non  risultando  violati  i  precetti
 costituzionali indicati, va dichiarata non fondata.