ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma terzo, ultima parte, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), promosso con ordinanza emessa il 22 maggio 1990 dal Consiglio di Stato Sezione IV giurisdizionale sul ricorso proposto dal Ministero delle Finanze ed altra contro Tacchini Ubaldo, iscritta al n. 508 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1990; Visto l'atto di costituzione di Tacchini Ubaldo; Udito nell'udienza pubblica del 27 novembre 1990 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; Uditi gli avvocati Gregorio Leone e Vittorio Nuzzaci per Tacchini Ubaldo; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio incidentale concernente la sospensione dell'esecuzione di una sentenza di primo grado, il Consiglio di Stato, con ordinanza in data 22 maggio 1990, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, comma 1, e 35, comma 1, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 3, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, nella parte in cui non prevede che la sospensione di diritto dalle attivita' di spedizioniere doganale, disposta a seguito di mandato di cattura, cessi con la concessione della liberta' provvisoria. Ad avviso del giudice a quo, la norma impugnata impone il mantenimento della sospensione obbligatoria anche nell'ipotesi in cui venga concessa la liberta' provvisoria, istituto ormai venuto meno, nonche' nei casi di rimessione in liberta' di cui all'art. 299 dell'attuale codice di procedura penale. Nello stesso senso, infatti, sono state interpretate da questa Corte e dalla giurisprudenza della Cassazione due disposizioni analoghe, nella ratio e nella lettera, a quella censurata, e cioe' rispettivamente: l'art. 39, comma 1, lett. c), e comma 4, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, concernente la professione di dottore commercialista (sentenza n. 766 del 1988), e l'art. 139 n. 1 legge 16 febbraio 1913, n. 89, concernente la professione di notaio (giurisprudenza della Cassazione). Tale interpretazione risulterebbe ulteriormente avvalorata dal combinato disposto degli artt. 53, comma 1, lett. b), comma 2 e 3, e 54 del citato d.P.R. n. 43 del 1973, secondo il quale la sospensione di diritto per emissione di mandato o ordine di cattura cessa soltanto con la sentenza, anche non definitiva, di proscioglimento, di assoluzione o di condanna alla pena della reclusione per un periodo inferiore all'anno. In punto di rilevanza, il giudice remittente disattende la tesi sostenuta nella pronuncia di primo grado, secondo la quale, per effetto della sentenza n. 766 del 1988 che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 39, comma 1, lett. c), e comma 4, d.P.R. 27 ottobre 1953, n.1067 (ordinamento della professione di dottore commercialista), nella parte in cui non prevedeva che la sospensione di diritto avesse a cessare quando veniva concessa la liberta' provvisoria, deve ora considerarsi, analogicamente, venuta meno anche la disposizione impugnata nella stessa parte in cui non consente il riesame della posizione dello spedizioniere doganale sospeso a seguito di ordine o mandato di cattura, una volta che l'interessato sia stato rimesso in liberta'. Ad avviso del giudice a quo l'art. 53 del d.P.R. n. 43 del 1973, sul quale si fonda la propria pronuncia cautelare, deve invece ritenersi vigente finche' non ne venga espressamente dichiarata l'incostituzionalita' diretta o derivata. La rigidita' della misura amministrativa, che rimane ferma nonostante la concessione della liberta' provvisoria, determinerebbe - secondo quanto gia' affermato nella citata sentenza di questa Corte n. 766 del 1988 - un'ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alla disciplina prevista per l'equivalente misura cautelare dell'interdizione provvisoria dalla professione o dal pubblico ufficio disposta, durante l'istruttoria, ai sensi degli artt. 140 codice penale e 290 codice di procedura penale, per la quale e' comunque stabilito un limite massimo di durata. La predetta rigidita', inoltre, escludendo l'adattamento del provvedimento amministrativo di sospensione alle circostanze concrete, risulterebbe in se' irragionevole e, potendo comportare il sacrificio ingiustificato del diritto al lavoro del professionista, si porrebbe in contrasto, oltre che con l'art. 3, anche con gli artt. 4, comma 1, e 35, comma 1, della Costituzione. 2. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si e' costituita la parte appellata, che ha preliminarmente rilevato la completa equiparabilita' tra le categorie professionali del commercialista e dello spedizioniere doganale (entrambi tenuti a superare un esame per entrare in carriera), con la conseguente possibilita' di ritenere che l'illegittimita' costituzionale affermata nella sentenza n. 766 del 1988 in relazione alla prima categoria professionale sussista anche nei confronti della legge che disciplina la seconda. Ne' un elemento di differenziazione fra le due professioni potrebbe rinvenirsi nel requisito della "fiducia dell'amministrazione", richiesto dall'art. 48 del d.P.R. n. 43 del 1973 per la nomina a spedizioniere doganale; tale requisito, infatti, non consisterebbe in altro che nell'assenza di precedenti condanne penali del candidato, le quali, se intervenute successivamente alla nomina, danno invece luogo alla revoca della stessa, analogamente a quanto dispone l'ultimo comma dell'art. 31 del d.P.R. n. 1067 del 1953, regolante l'ordinamento della professione di commercialista. Nel ribadire la validita' delle argomentazioni svolte con l'ordinanza di rimessione, la parte privata ha infine rilevato l'ingiustificata disparita' di trattamento che, in relazione alla stessa misura cautelare amministrativa, si viene a determinare nei confronti degli altri professionisti e dei pubblici dipendenti. Considerato in diritto 1. - E' sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 3, ultimo periodo (rectius degli artt. 53, commi 1, lett. b), 2 e 3, e 54, comma 2, ultimo periodo) del d.P.R. 27 ottobre 1953, n.1067, nella parte in cui non prevede che la sospensione di diritto dalle attivita' di spedizioniere doganale, disposta a seguito di ordine o mandato di cattura, cessi con il riacquisto della liberta' da parte dell'imputato. Ad avviso del giudice a quo, tale mancata previsione profila un contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto la rigidita' della misura amministrativa che ne esclude l'adattamento alle circostanze concrete, quale la sopravvenuta rimessione in liberta' dell'interessato, oltre che apparire irragionevole in se', determina una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alla disciplina prevista per l'equivalente misura cautelare dell'interdizione provvisoria dalla professione o dal pubblico ufficio disposta, "durante l'istruttoria", ai sensi degli "articoli 140 codice penale e 290 codice di procedura penale", per la quale e' comunque stabilito un limite massimo di durata. Altro contrasto viene ravvisato in riferimento agli artt. 4, comma 1, e 35, comma 1, della Costituzione, in quanto la predetta rigidita' della misura amministrativa comporta un ingiustificato sacrificio del diritto al lavoro del professionista. 2. - La questione, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, e' fondata. In proposito va ricordato che la Corte ha dichiarato (sentenza n. 766 del 1988) l'illegittimita' costituzionale dell'art. 39, comma 1, lett. c),e comma 4, del d.P.R. n. 1067 del 1953, perche' dal loro combinato disposto derivava la permanenza della sospensione cautelare dalla professione di dottore commercialista, conseguente ad emissione del mandato di cattura anche dopo la concessione della liberta' provvisoria. L'illegittimita' costituzionale delle predette norme fu dichiarata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, e cioe' sulla constatata irragionevolezza della persistenza della sospensione di diritto, una volta ripristinata la situazione di liberta' e sulla ingiustificata situazione deteriore del professionista sospeso de jure, in base ad un provvedimento amministrativo emanato in conseguenza di un mandato di cattura, rispetto alla situazione del professionista sospeso, ex art. 140 codice penale, con un provvedimento del giudice soggetto invece a garanzia di durata. Situazione non dissimile e' quella che si produce per effetto della disciplina oggetto della questione di legittimita' costituzionale sollevata con l'ordinanza in esame, in quanto detta norma concerne la sospensione obbligatoria dell'attivita' di spedizioniere doganale per effetto di un ordine o mandato di cattura dell'imputato esercente tale professione, senza che sia prevista la cessazione della sospensione a seguito del riacquisto dello stato di liberta'. Difatti il terzo comma, ultimo periodo, dell'art. 53 del d.P.R. n. 43 del 1973 prevede che e' sempre disposta la sospensione dello spedizioniere doganale quando per qualsiasi reato sia stato emesso nei suoi confronti mandato o ordine di cattura e, secondo quanto ritiene il giudice a quo, dal collegamento di tale previsione con il primo comma, lett. b), e con il secondo comma dello stesso art. 53, nonche' con il secondo comma, ultimo periodo, dell'art. 54, deriva che la sospensione di diritto per emissione del mandato o ordine di cattura venga meno soltanto con la sentenza, anche non definitiva, di proscioglimento, di assoluzione o di condanna alla pena della reclusione per un periodo non superiore ad un anno. Orbene, pur potendosi condividere il risultato dell'interpretazione sistematica formulata dal giudice a quo sulla base del collegamento fra loro delle disposizioni richiamate, non puo' invece seguirsi l'impostazione che esso propone, quando, sia pure in termini problematici, sembra auspicare una pronuncia della Corte che tenga in qualche modo conto del regime relativo alla custodia cautelare, quale previsto dal nuovo codice di procedura penale del 1988. Come risulta, difatti, dalla stessa ordinanza di rinvio, il giudizio amministrativo, nel quale e' stata sollevata la questione in esame, ha per oggetto una vicenda maturatasi sotto il regime dell'abrogato codice di procedura penale, in quanto l'interessato era stato destinatario di un ordine di cattura seguito da un provvedimento di liberta' provvisoria. Ne', dall'ordinanza di rimessione, risulta che, con il sopravvenire del nuovo codice di procedura penale del 1988, siano state adottate nuove misure cautelari limitative della liberta' personale, o che sia stato modificato, alla stregua del nuovo regime, il titolo del precedente provvedimento di liberta' provvisoria, per cui non si vede quale rilevanza potrebbe avere nel giudizio amministrativo a quo una pronuncia che tenesse conto della nuova disciplina del processo penale. Il thema decidendum puo' riguardare percio' le norme impugnate solo in relazione al regime delle misure limitatrici della liberta' personale e delle loro cause di cessazione quali previste nel codice di procedura penale precedente, perche' il provvedimento impugnato dinanzi al giudice amministrativo e' quello con cui e' stato disposta la sospensione a tempo indeterminato a seguito dell'ordine di cattura emesso nei confronti del ricorrente, nonostante la gia' intervenuta scarcerazione per effetto di un provvedimento di liberta' provvisoria. Cosi' circoscritta la questione sotto l'aspetto della rilevanza, e' necessario altresi' precisare che, pur invocandosi nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione una dichiarazione di illegittimita' costituzionale riguardante esclusivamente l'art. 53, comma 3, ultimo periodo, del d.P.R. n. 43 del 1973, tuttavia deve tenersi conto che e' lo stesso giudice a quo che, come si e' gia' rilevato, nella motivazione dell'ordinanza sottopone a scrutinio di legittimita' costituzionale la disciplina risultante dal combinato disposto dell'art. 53, commi 1, lett. b), 2 e 3, e dell'art. 54, comma 2, ultimo periodo, perche' e' in particolare quest'ultima disposizione che, nel prevedere l'ipotesi di cessazione della sospensione di diritto, non contempla la riacquisizione dello stato di liberta'. E' percio' per effetto del combinato disposto dei commi richiamati che, a detta dello stesso giudice a quo, si determina una situazione identica a quella che, nella gia' richiamata sentenza n. 766 del 1988, aveva dato luogo alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale di un analogo complesso normativo riguardante un'altra categoria di professionisti. Ed e' dunque in relazione a tale combinato disposto che i principi affermati in detta sentenza pongono in evidenza, come si deduce nella ordinanza di rinvio, analoghi profili di incostituzionalita', perche' non appare razionale che un provvedimento amministrativo, quale quello della sospensione obbligatoria, che ha la stessa natura e si basa sulle stesse situazioni per le quali e' previsto un provvedimento giudiziario, come quello ex art. 140 codice penale, non offra al cittadino analoghe garanzie di durata. 3. - L'accoglimento della questione in riferimento all'art. 3 della Costituzione, assorbe i profili che fanno riferimento agli altri parametri costituzionali invocati.