ha pronunciato la seguente ORDINANZA nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale dell'art. 129, comma secondo, del codice di procedura penale, promossi con due ordinanze emesse il 31 maggio 1990 dal Tribunale militare di Palermo in due distinti procedimenti penali a carico di Sciortino Ciro, iscritte rispettivamente ai nn. 554 e 565 del registro ordinanze 1990 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica dell'anno 1990; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo; Ritenuto che il Tribunale militare di Palermo, con due distinte ordinanze datate 31 maggio 1990, relative a due procedimenti penali contro lo stesso imputato, solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 129, secondo comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione; che soltanto la seconda ordinanza, pero', porta motivazione, sicche' ad essa sara' fatto riferimento; che nella detta ordinanza si lamenta come, in presenza di una sopravvenuta causa di estinzione del reato (ipotesi concernente il caso di specie), il giudice del dibattimento, in limine litis, non sarebbe in grado di decidere se si debba far luogo senz'altro all'applicazione della causa estintiva, oppure all'assoluzione o al proscioglimento per le altre cause elencate nell'art. 129, secondo comma, del codice di procedura penale, in quanto "a causa della disposizione dell'art. 431 del codice di procedura penale, il giudice non e' in possesso di alcun atto che gli consenta un qualsiasi esame circa l'eventuale assoluta infondatezza della notitia criminis"; che cio' determina - secondo l'ordinanza - disparita' di trattamento rispetto alla situazione che si verifica nell'udienza preliminare, nella quale il "G.I.P.", essendo in possesso del fascicolo depositato dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 416 del codice di procedura penale, e' a conoscenza di tutti gli atti d'indagine fino a quel momento compiuti, ed e' percio' in grado di valutare se gia' risultino evidenti le situazioni di cui al secondo comma dell'art. 129 del codice di procedura penale; che, in conseguenza di tale disparita', anche i princip/' di cui agli artt. 24 e 27 della Costituzione vengono lesi, dato che la difesa non e' in grado di conseguire al dibattimento un proscioglimento piu' ampio, e la presunzione d'innocenza ne resterebbe compressa; che e' intervenuto innanzi a questa Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato, che ha chiesto innanzitutto l'inammissibilita' della questione in quanto la causa di estinzione sussisteva gia' nel predibattimento e, se il Tribunale non l'ha applicata, cio' starebbe a significare che ha implicitamente ritenuto l'esistenza di un'opposizione delle parti, "decidendo percio' di procedere al dibattimento"; che cio' comporterebbe l'impossibilita' di ogni ulteriore applicazione dell'art. 129, comma secondo, del codice di procedura penale, se non nell'ipotesi di sopravvenienza della causa d'estinzione al dibattimento; che, comunque, nel merito i due stadi processuali tra i quali l'ordinanza instaura il confronto sarebbero invece per natura incomparabili. Considerato che le due ordinanze prospettano identica questione, sicche' i giudizi possono venire riuniti per essere decisi con unica sentenza; che la seconda ordinanza di rimessione e' incorsa in una manifesta aberratio ictus, in quanto - come si e' rilevato - nella stessa motivazione si riconosce che la difficolta' di valutazione per carenza di atti e' "causata" dalla disposizione di cui all'art. 431 del codice di procedura penale, e non quindi da quella impugnata di cui all'art. 129, comma secondo, del codice di procedura penale, che si limita a dettare le condizioni in presenza delle quali il giudice puo' pronunziare sul merito nonostante la sopravvenienza della causa estintiva: sicche', oltre all'irrilevanza della questione, si verifica altresi' contraddittorieta' della motivazione; che, peraltro, risulta chiaramente dal verbale di dibattimento che il difensore (il quale aveva pur esaminato nell'udienza preliminare il fascicolo del pubblico ministero) non ha rivendicato l'evidenza della situazione di cui al secondo comma dell'art. 129 del codice di procedura penale, ma si e' limitato a chiedere che il Tribunale procedesse oltre nel dibattimento per assumere le prove testimoniali che egli presentava, senza dichiarare l'estinzione del reato per amnistia alla quale l'imputato non intendeva rinunziare; che, a parte l'improponibilita' della richiesta in quanto il Tribunale poteva ammettere ed assumere i testi solo in presenza di rinunzia all'amnistia, cio' dimostra chiaramente che la situazione di specie era estranea a quella di cui al secondo comma dell'art. 129 del codice di procedura penale sicche', anche per questo aspetto, la questione sarebbe stata comunque inammissibile; che resta cosi' assorbita la peraltro inaccoglibile causa d'inammissibilita' prospettata dall'Avvocatura Generale, perche' non vi puo' essere opposizione "implicita" all'applicazione dell'amnistia, dato che le parti, se si oppongono, devono dichiarare se intendono rinunziare all'amnistia o se ritengono la sussistenza delle condizioni di cui al secondo comma dell'art. 129 del codice di procedura penale, e il giudice deve decidere in conseguenza; cosi' come, nemmeno e' esatto che il giudice del dibattimento non possa piu' applicare la causa d'estinzione quando questa sia intervenuta gia' nel corso degli atti preliminari (art. 469 del codice di procedura penale), dato che l'art. 129 del codice di procedura penale fa obbligo al giudice, il quale riconosca che il reato e' estinto, di dichiararlo d'ufficio con sentenza "in ogni stato e grado del processo", e percio' tanto piu' se in una fase precedente la declaratoria sia stata erroneamente omessa.