Ricorso della provincia autonoma di Bolzano, in persona del presidente della giunta pro-tempore dott. Luis Durnwalder, giusta deliberazione della giunta provinciale n. 7904/90 del 10 dicembre 1990, rappresentata e difesa - in virtu' di procura speciale dell'11 dicembre 1990 rogata dall'avv. Giovanni Salghetti Drioli, ufficiale rogante della giunta (rep. n. 15993) - dagli avv.ti prof. Sergio Panunzio e Roland Riz, e presso il primo di essi elettivamente domiciliata in Roma, piazza Borghese n. 3 (studio legale Guarino), contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica per la dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 2-bis, primo comma, ultimo periodo e dell'art. 3, comma 3-bis, lett. a), del d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, convertito in legge 19 novembre 1990, n. 334. F A T T O E' ben noto che l'autonomia delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano trova il suo essenziale supporto nella loro autonomia finanziaria. Onde - come e' stato affermato da codesta ecc.ma Corte fin dalla sentenza n. 21/1956 - le regioni e provincie autonome hanno un "diritto costituzionalmente garantito" a disporre dei mezzi finanziari occorrenti per le spese necessarie ad adempiere alle loro normali funzioni. Un diritto che, nel caso della provincia autonoma ricorrente, trova il suo fondamento (oltre che nell'art. 119 della Costituzione) nello statuto speciale della regione T.-A.A. (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), spec. artt. 69 e segg. (titolo sesto) - come di recente modificati ed integrati dalla legge 30 novembre 1989, n. 386 - anche in relazione agli artt. 8-10 st., e nelle relative norme d'attuazione. Se poi si considera come anche per le regioni ad autonomia speciale e per le due province autonome di Trento e Bolzano, la massima parte delle loro risorse finanziarie sia costituita da una finanza "derivata", e cioe' consistente nei periodici trasferimenti di risorse da parte dello Stato, ben si comprende come non solo la quantita', ma anche la regolalita', la tempestivita' e, in una parola, la affidabilita' di tali trasferimenti sia essenziale per garantire alle regioni e province autonome una effettiva autonomia nell'esercizio delle loro funzioni, il buon andamento delle loro amministrazioni e dei servizi pubblici di loro competenza, la programmabilita' della loro azione. E' esemplare a questo riguardo, il caso delle attivita' regionali e provinciali in materia di sanita', la cui spesa e' alimentata essenzialmente dai trasferimenti annuali provenienti dal fondo sanitario nazionale. Proprio in relazione a tale settore codesta ecc.ma Corte ha piu' volte sottolineato la necessita' (derivante dal rispetto dei principi costituzionali) che gli interventi dello Stato, ivi compresi quelli finanziari, siano improntati ad organicita' e stabilita'. In particolare nella sentenza n. 307/83 essa ha rilevato come "il susseguirsi di anno in anno di provvedimenti a carattere contingente, in deroga alla disciplina ordinaria renda quanto mai disorganico e provvisorio il quadro attuale della finanza regionale"; e poi nella sentenza n. 245/84 - a proposito delle disposizioni in materia sanitaria contenute nella legge finanziaria 1984 - osservava come per dare una disciplina organica e per assicurare efficienza al servizio sanitario nazionale "non servono allo scopo le leggi finanziarie, ne' gli altri provvedimenti di carattere urgente o comunque contingente: la' dove sono in gioco funzioni e diritti costituzionalmente previsti e garantiti, e' infatti indispensabile superare la prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica, per assicurare la certezza del diritto ed il buon andamento delle pubbliche amministrazioni, mediante discipline coerenti e destinate a durare nel tempo". Ma sono ammonimenti, questi, ai quali lo Stato e' stato sino ad oggi sordo. In particolare per quanto riguarda il servizio e la spesa sanitaria lo Stato ha infatti continuato ad emanare tentativi di riforme peraltro abortite (i decreti-legge 25 marzo 1989, n. 111, e 29 maggio 1989, n. 189, non convertiti dal Parlamento) ed interventi "tampone" di vario genere, ma per lo piu' adottati con lo strumento improprio del decreto-legge (nonostante i moniti che, anche a proposito del cattivo uso di tale strumento, sono stati fatti da codesta ecc.ma Corte - sentenza n. 245/1984 - e nonostante la rigorosa disciplina oggi stabilita dalla legge n. 400/1988). Un ultimo esempio in questo senso e' dato dal d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, recante "Misure urgenti per il finanziamento del saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 e disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990", convertito con modificazioni in legge 19 novembre 1990, n. 334. Ai fini del presente ricorso, del suddetto atto legislativo vengono in evidenza soprattutto due disposizioni, entrambe introdotte in sede di conversione: l'art. 2-bis, primo comma; e l'art. 3, comma 3-bis, lett. a). L'art. 2, primo comma, dopo avere stabilito che "la eccedenza di spesa rispetto alle entrate complessive, registrate dalle unita' sanitarie locali e dagli altri enti che erogano assistenza sanitaria per l'esrcizio 1989, sono coperte in via prioritaria con i proventi derivanti dall'alienazione totale o parziale dei beni patrimoniali di cui agli artt. 61, 65 e 66 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, non soggetti a vincoli di qualsiasi natura" (e che i disavanzi e le eccedenze che non possono essere coperti con tali alienazioni debbono essere ripianati dalle regioni mediante operazioni di mutuo, con oneri di ammortamento a carico del Fondo sanitario nazionale), stabilisce poi - nel suo ultimo periodo - che "sugli atti di alienazione vigila una commissione nominata dalla regione o provincia autonoma e presieduta da un magistrato delle giurisdizioni amministrative che si avvale delle valutazioni dei locali uffici tecnici erariali". Quanto poi all'art. 3, esso stabilisce che le regioni possono autorizzare le u.s.l. e gli altri enti che gestiscono i servizi sanitari finanziati dalle quote regionali del Fondo sanitario nazionale "ad assumere impegni per l'esercizio finanziario 1990 anche in eccedenza agli stanziamenti di parte corrente autorizzati con il bilancio di previsione, per provvedere a spese improcrastinabili e di assoluta urgenza entro i limiti prequantificati dalle regioni stesse per ciascun ente" (primo comma). Sempre l'art. 3, al terzo comma, prevede poi che la spesa effettivamente sostenuta a fronte delle suddette autorizzazioni, come pure gli oneri derivanti dalle anticipazioni straordinarie di cassa di cui al secondo comma, siano assunti a carico delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano e siano finanziati con operazioni di mutuo "fino alla concorrenza di lire 90.000 a cittadino residente per ciascuna regione o provincia autonoma, con oneri di ammortamento a carico dello Stato". Ma per quanto riguarda la differenza residua il successivo comma 3- bis dell'art. 3 stabilisce che, mentre per il 75 per cento si provvede mediante accensione di mutui con oneri di ammortamento sempre a carico dello Stato (lett. b), viceversa per quanto riguarda il restante 25 per cento (lett. a) si fa fronte "con oneri a carico del bilancio delle regioni e province autonome, che vi provvedono o con propri mezzi di bilancio o mediante alienazione di beni disponibili ovvero mediante la contrazione di mutui o prestiti con istituti di credito, da assumere anche in deroga alle limitazioni previste dalle vigenti disposizioni, avvalendosi, per la copertura delle relative rate di ammortamento, anche delle entrate tributarie previste dall'art. 6 della legge 14 giugno 1990, n. 158". Vero e' che il quarto comma dell'art. 3 del d.-l. n. 262/1990 (gia' contenuto nel testo originario) stabilisce che "le disposizioni del presente decreto sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti". Sta pero' di fatto che proprio le surriferite disposizioni contenute negli artt. 2-bis, ultimo periodo, e 3, comma 3-bis, lett. a), del decreto-legge in questione (introdotte in sede di conversione) espressamente assumono di essere applicabili anche alle province autonome di Trento e Bolzano. Ma poiche' esse sono lesive delle competenze e dell'autonomia costituzionalmente garantite alla provincia autonoma di Bolzano questa le impugna per i seguenti motivi di D I R I T T O 1. - Violazione, da parte dell'art. 3, comma 3-bis, lett. a), del decreto-legge impugnato delle attribuzioni provinciali di cui agli artt. 8, 9, 10 e 16, degli artt. 69 e segg. (titolo sesto, come modificato ed integrato dalla legge 30 novembre 1989, n. 386) dello statuto speciale T.-A.A. e delle relative norme d'attuazione (spec. d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474), nonche' degli artt. 3, 81 e 119 della Costituzione. Come si e' visto, la lett. a) del comma 3- bis dell'art. 3 del decreto-legge impugnato addossa alla provincia ricorrente l'onere di provvedere con propri mezzi finanziari a coprire una parte delle spese "improcrastinabili e di assoluta urgenza" sostenute dalle unita' sanitarie locali e da altri enti operanti nell'ambito del servizio sanitario nazionale, anziche' addossare tale spese al Fondo sanitario nazionale o comunque allo Stato. Con tale disciplina, dunque, lo Stato accolla alla provincia ricorrente delle prestazioni di servizi e correlative spese che sono in sostanza obbligatorie per la provincia stessa: prestazioni e spese che sono infatti "rigide" nella loro entita' e non dipendenti da autonome scelte provinciali, oltretutto trattandosi appunto di spese (come dice la legge) improcrastinabili e di assoluta urgenza. Vero e' che la disciplina in questione riguarda una spesa che e' in eccedenza rispetto agli stanziamenti gia' autorizzati con il bilancio di previsione, e che essa dovrebbe iscriversi in un indirizzo legislativo mirante al contenimento della spesa sanitaria complessiva. Ma e' ben noto come le ragioni e le province autonome siano in realta' prive di effettivi strumenti di controllo e di contenimento di tale spesa. In altri termini, con la disciplina impugnata si pone a carico della provincia una ulteriore spesa sanitaria senza pero' fornirgli i relativi mezzi finanziari e senza che essa abbia gli strumenti per controllare o ridurre la spesa complessiva; e quindi si costringe la provincia a coprire il deficit destinando a tali spese ulteriori le risorse finziarie "proprie", che debbono quindi essere distolte dai loro impieghi, cosi' riducedo altri tipi di interventi provinciali, ostacolando l'esercizio delle normali funzioni della provincia, impedendole una razionale programmazione degli interventi, sconvolgendo le stesse previsioni di bilancio. Che la provincia non abbia effettivi poteri di controllo sulla spesa sanitaria e' cosa sin troppo nota per indugiare qui ad analitiche dimostrazioni. Salvo ritornare sul punto in ulteriori scritti difensivi, basti per ora richiamare alcuni esempi. Per quanto riguarda le funzioni ospedaliere, sia i livelli retributivi che in genere il trattamento del personale non dipendono dalla provincia (ma sono regolati da accordi stipulati a livello nazionale); anche le spese per acquisti di beni e servizi dipendono essenzialmente da necessita' obiettive e dal livello dei prezzi. Per quanto riguarda l'assistenza farmaceutica spetta allo Stato il controllo sui prezzi dei prodotti farmaceutici, l'inserimento nel prontuario terapeutico, la disciplina dei tiket. Anche per quanto riguarda l'assistenza specialistica e la medicina di base, e' a livello statale che vengono prediposte le convenzioni con i medici privati. Cosi' come, in genere, e' sempre a livello statale che vengono stabiliti gli standards dei servizi sanitari. Tutto cio', del resto, e' ben noto a codesta ecc.ma Corte, la quale gia' in passato (sentenza n. 245/1984, e poi n. 452/1989) ha rilevato come "non si puo' presupporre 'che le amministrazioni regionali portino (...) l'effettiva responsabilita' degli eventuali disavanzi delle u.s.l.", in quanto gran parte della spesa sanitaria e, fra questa, gli oneri derivanti dalle prescrizioni mediche, si formano indipendentemente dalle scelte regionali (e dalle stesse deliberazioni degli organi di gestione delle unita' sanitarie locali), essendo prevalentemente legati al soddisfacimento di diritti costituzionalmente garantiti e, quindi, essenzialmente a scelte di ordine generale degli organi centrali di governo dettate dall'esigenza di assicurare parita' di trattamento fra i cittadini". Ed ha poi ribadito (sentenza n. 452/1989) che la garanzia della autonomia delle regioni (e delle province autonome) "comporta che non possano essere addossati al bilancio regionale (o provinciale) gli oneri derivanti da decisioni non imputabili alla regione stessa (o alla provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dall'esigenza di tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali dei cittadini, la cui cura e' affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e non certo quella essenziale - alla regione". Con la disciplina impugnata, dunque, lo Stato, anziche' procedere ad un risanamento del deficit della spesa sanitaria (iniziando a riformare in modo organico - come e' di sua competenza - le strutture, i servizi, gli standards, la disciplina del personale del servizio sanitario, il tutto in modo da ridurre la spesa sanitaria globale), ma lasciando invece immutata la regolamentazione del servizio, accolla sulla provincia ricorrente una ulteriore spesa. Una siffatta disciplina, che attribuisce alla provincia ricorrente la responsabilita' per una ulteriore spesa sanitaria, relativa ad un servizio volto a soddisfare un diritto costituzionale dei cittadini, senza fornirle pero' i mezzi finanziari necessari, ne' strumenti rilevanti per il controllo ed il governo della spesa stessa, viola dunque, ad un tempo, il principio costituzionale di ragionevolezza e quello di autonomia finanziaria della provincia, specie (ma non solo) in materia di sanita' (art. 9, n. 10, 16, e titolo sesto dello statuto); ed al tempo stesso viola il principio di copertura finanziaria stabilito dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione. Un principio, quest'ultimo, che si estende anche alle spese accollate dallo Stato agli enti del c.d. settore pubblico allargato, e del quale e' puntuale espressione l'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468, secondo cui "Le leggi che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico dei bilanci degli enti di cui al precedente art. 25 devono contenere la previsione dell'onere stesso nonche' l'indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci annuali e pluriennali". La fondatezza di tali censure trova sostegno, invero, nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che in piu' occasioni (ma spec. con le gia' citate sentenze n. 245/1984 e n. 452/1989), proprio facendo leva sul necessario raccordo tra il governo del settore e la responsabilita' della relativa spesa, ha dichiarato la incostituzionalita' di norme legislative statali con le quali si veniva a far gravare sui bilanci delle regioni e delle province autonome (senza disporre i corrispondenti trasferimenti di risorse finanziarie) spese necessarie per il funzionamento del servizio sanitario nazionale derivanti da decisioni non imputabili peraltro a tali enti, o comunque da essi non controllabili: cosi' costringendo le regioni stesse (e le province autonome) a prelevare le risorse necessarie a colmare il deficit o dal fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281/1980 (per le regioni a statuto ordinario) o dalle corrispondenti entrate di parte corrente previste dai rispettivi ordinamenti (per le altre regioni a statuto speciale e le province autonome) o comunque dalla finanza "propria". Riassumendo, la disciplina stabilita dall'art. 3, comma 3-bis, lett. a), del decreto-legge impugnato e' dunque incostituzionale, in primo luogo, perche' essa viola il principio della copertura della spesa stabilita dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione, come esplicitato ed attuato anche dall'art. 27 della legge n. 468/1978, in quanto essa accolla alla provincia ricorrente nuove spese senza prevedere e fornirle i mezzi finanziari per farvi fronte. Cosi' facendo la disciplina impugnata viola, al tempo stesso, oltre che il principio di ragionevolezza, anche l'autonomia finanziaria della provincia in materia - in primo luogo - di sanita' (artt. 9, n. 10, e titolo sesto dello statuto, nonche' art. 119 della Costituzione), ma anche nelle altre materie di competenza propria (artt. 8-10 dello statuto). Cio' in quanto tale disciplina scarica sul bilancio della provincia spese di cui essa non ha il governo, e che non possono da essa essere sostenute altro che stornando proprie risorse finanziarie destinate ad altri settori; e, quindi, riducendo le capacita' di spesa e di intervento della provincia anche nelle altre materie di propria competenza. 2. - Violazione, da parte dell'art. 2-bis, primo comma, ultimo periodo, del decreto-legge impugnato, degli artt. 8, n. 1; 9, n. 10; 16; 54, primo comma, n. 3, dello statuto speciale T.-A.A., e delle relative norme d'attuazione. Com'e' noto, la provincia ricorrente ha competenze, legislative ed amministrative, di tipo esclusivo per cio' che concerne l'ordinamento degli uffici provinciali e relativo personale (artt. 8, n. 1 e 16 dello statuto). Inoltre l'art. 54, primo comma, n. 3, dello statuto T.-A.A. stabilisce che spetta alla giunta provinciale "l'attivita' amministrativa riguardante gli affari di interesse provinciale". Fra questi sono ovviamente ricomprese le attivita' relative allo svolgimento del servizio sanitario provinciale, il cui esercizio spetta alla provincia in virtu' della competenza concorrente in materia di igiene e sanita' attribuitale dall'art. 9, n. 10 (e dall'art. 16 dello statuto), salva la facolta' di delega ai comuni associati nella gestione delle unita' sanitarie locali. Orbene, la gia' ricordata disposizione contenuta nell'ultimo periodo del primo comma dell'art. 2- bis del decreto-legge impugnato risulta lesiva, sotto vari aspetti, delle competenze provinciali sancite dalle suddette norme statutarie. Cio' in primo luogo perche', dovendosi procedere all'alienazione di beni delle unita' sanitarie locali della provincia di Bolzano, e' alla provincia stessa - e non alla legge dello Stato - che spetta di disciplinare forme e controlli relativi a tale alienazione, trattandosi di "affari di interesse provinciale", ricadenti nella materia di cui all'art. 9, n. 10, dello statuto T.-A.A. In secondo luogo perche' la legge statale non puo' (se non violando anche l'art. 8, n. 1, dello statuto T.-A.A.) disporre l'istituzione di un ufficio provinciale, quale e' quello previsto dalla norma legislativa impugnata: una commissione i cui membri, infatti, sono nominati dalla provincia. Ne' puo' essere la legge dello stato a stabilire come una siffatta commissione provinciale debba essere composta, e tanto meno la legge statale puo' attribuirne la presidenza ad un soggetto estraneo alla organizzazione della provincia e dipendente invece dello Stato (un magistrato amministrativo). Infine, la disposizione legislativa impugnata e' incostituzionale e lesiva delle suddette competenze provinciali anche perche' essa pretende di imporre alla suddetta commissione (che si e' detto essere un organo amministrativo provinciale) di avvalersi delle valutazioni tecniche di uffici statali (uffici tecnici erariali), anziche' dei competenti uffici provinciali.