Ricorso della regione Liguria, in persona del presidente della giunta pro-tempore rag. Giacomo Gualco, a quanto infra autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 5276, in data 29 novembre 1990, immediatamente eseguibile, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, come da mandato a margine, dal prof. avv. Fausto Cuocolo e dall'avv. Gian Paolo Zanchini e presso lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via Settembre, 1, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del presidente pro-tempore, per la declaratoria dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 19 novembre 1990, n. 334, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 270 - serie generale, del 19 novembre 1990, con la quale e' stato convertito, con modificazioni, il d.-l. 15 settembre 1990, n. 562. F A T T O Con la legge qui parzialmente impugnata, e' stato convertito in legge il d.-l. n. 562/1990, con il quale erano emanate misure urgenti per il finanziamento del saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 nonche' disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990. Con l'art. 3 di tale decreto-legge - e in particolare con il suo terzo comma - venivano posti a carico del bilancio regionale i deficit accumulati dalle unita' sanitarie locali e dagli altri enti del comparto sanitario finanziati con il fondo sanitario nazionale, fermi restando i meccanismi di finanziamento del fondo sanitario nazionale e fermi restando i centri di imputazione delle attivita' decisionali che agiscono sulla spesa sanitaria e che fanno capo allo Stato, con estraneita' delle regioni da qualsiasi effettivo potere di determinazione della spesa. La regione Liguria, assumendo l'illegittimita' costituzionale della disposizione ridetta, la impugnava nanti codesta ecc.ma Corte con ricorso in data 16 ottobre 1990, ritualmente notificato e depositato. Nelle more della discussione di tale discorso, la legge 19 novembre 1990, n. 334, provvedeva alla conversione del decreto n. 262, introducendo modificazioni anche nell'art. 3, ma con disposizioni che appaiono ancora censurabili sotto il profilo della legittimita' costituzionale per i seguenti MOTIVI DI DIRITTO 1. - L'impugnata legge di conversione - che presenta originalita' procedurali non trascurabili - modifica anche, come si e' gia' rilevato, l'art. 3, terzo comma, del d.-l. n. 262/1990, apportandovi variazioni che pero' non sembrano superare le censure di incostituzionalita' gia' proposte contro il testo originario del decreto-legge. La piu' articolata e diffusa indicazione del come fronteggiare gli oneri derivanti alla regione dal finanziamento delle spese delle unita' sanitarie locali e degli altri enti che gestiscono i servizi sanitari finanziati dalle quote regionali del fondo sanitario nazionale non solo non attenua ma semmai aggrava le censure gia' proposte e che qui debbono riprendersi e integrarsi. 2. - Le spese in eccedenza agli stanziamenti di parte corrente autorizzati con il bilancio di previsione dipendono infatti da "spese improcrastinabili e di assoluta urgenza", per usare l'espressione della legge, sicce' le relative autorizzazioni regionali non sono libere o discrezionali, ma vincolate all'assicurazione di livelli di assistenza sanitaria al di sotto dei quali si comprometterebbe quel diritto alla salute dei cittadini che e' bene costituzionalmente tutelato (art. 32). Sarebbe quindi contraddittorio ed irrazionale asserire che la regione ricorrente - come le altre regioni - ha determinato con le sue autorizzazioni quei deficit di bilancio che si intendono ripianare con i meccanismi indicati dalla legge n. 334/1990. Lo sfondamento dei bilanci di parte corrente dipende infatti, come e' fuori di ogni ragionevole dubbio, dal sommarsi di voci di costo previste e disciplinate dalla legislazione statale che operano automaticamente senza possibilita' di intervento regionale, sicche' nessuna responsabilita' di autonoma decisione puo' attribuirsi alla regione per tale sfondamento. Con la conseguenza che il potere apparentemente attribuito alla regione di concedere autorizzazioni, in realta' si configura come dovere, secondo la ben nota figura del dovere da potere, al quale la regione non avrebbe comunque potuto sottrarsi. Questo, pero', come appare evidente, viola l'autonomia finanziaria regionale che, gia' seriamente limitata (o quasi esclusa) sul versante dell'entrata, risulta gravemente limitata e compromessa anche sul versante della spesa. Ne' potrebbe considerarsi rilevante, sotto il profilo della costituzionalita', la riduzione al 25% dell'onere a carico del bilancio della regione, mentre il 75% viene fronteggiato mediante accensione di mutui con oneri di ammortamento a carico dello Stato. Si tratta infatti di una modificazione di fatto che migliora sotto il profilo del quantum la disposizione impugnata, ma che non consente certo di superare le censure per la violazione dell'autonomia finanziaria regionale, costituzionalmente garantita. 3. - Sul punto, a conferma della fondatezza delle tesi sostenute nel presente ricorso, possono ancora ricordarsi le decisioni di codesta ecc.ma Corte n. 245 in data 30 ottobre-5 novembre 1984 e n. 452 in data 19-27 luglio 1989. Con la prima (rel. Paladin) veniva dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 29, secondo comma, n. 1, della legge n. 730/1983, nella parte in cui prevedeva che, per ripianare il disavanzo delle u.s.l., le regioni fossero tenute, anziche' facoltizzate, a prelevare i fondi necessari dalla quota del fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281/1970, quanto alle regioni a statuto ordinario. E cio' perche' (punto 11 della motivazione in diritto) la gran parte della spesa sanitaria si forma indipendentemente dalle scelte regionali, e la relativa spesa e' prevalentemente rigida e non si presta a venire manovrata, in qualche misura, se non dagli organi centrali di Governo. Con la seconda (red. Baldassarre) si dichiarava l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 1 febbraio 1989, n. 37 (Contenimento della spesa sanitaria) nella parte in cui disponeva che eventuali eccedenze di spesa non potessero essere poste a carico dello Stato. Tale disposizione, infatti, era da ritenersi, ad avviso del giudice costituzione, contrastante con i principi costituzionali che regolano la materia. Sin dalla sentenza n. 245/1984 - ribadiva la Corte - questa Corte ha tenuto a sottolineare che la sanita', sebbene sia ricompresa nell'elenco predisposto dall'art. 117 della Costituzionale, "non si risolve in una materia pienamente assimilabile agli altri settori di competenza regionale, sia per la particolare intensita' dei limiti cui sono in tal campo sottoposte la legislazione e l'amministrazione delle regioni, sia per le peculiari forme e modalita' di finanziamento della relativa spesa pubblica, sia, soprattutto, per i tipici rapporti che l'ordinamento vigente stabilisce fra le varie specie di enti ed organismi cooperanti ed interagenti nella materia medesima". Su questa base, dopo aver affermato che non si puo' presupporre "che le amministrazioni regionali portino (..) l'effettiva responsabilita' degli eventuali disavanzi delle u.s.l.", in quanto gran parte della spesa sanitaria e, fra questa, gli oneri derivanti dalle prescrizioni mediche, si formano indipendentemente dalle scelte regionali (e dalle deliberazioni degli organi di gestione delle unita' sanitarie locali), essendo prevalentemente legati al soddisfacimento di diritti costituzionalmente garantiti e, quindi, essenzialmente a scelte di ordine generale degli organi centrali di Governo dettate dall'esigenza di assicurare parita' di trattamento fra i cittadini, la stessa Corte ha concluso che doveva considerarsi costituzionalmente illegittima una norma che imponeva comunque alle regioni il ripiano del disavanzo delle unita' sanitarie locali a prescindere dai fattori che l'avessero prodotto. La disciplina legislativa intervenuta successivamente alle norme di legge giudicate con la sentenza appena ricordata - proseguiva la Corte - non ha certo spostato a favore delle regioni la responsabilita' della spesa sanitaria, ivi compresa quella per le spese derivanti dalle prescrizioni mediche. In particolare, il legislatore statale, al fine di tentare di far fronte a un considerevole aumento delle spese per prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento esterno in seguito all'abolizione (a partire dal 1 gennaio 1987) dei ticket, ha provveduto, per un verso, a reintrodurre questi ultimi e, per altro verso, ad affidare al Ministro della sanita' nuovi poteri finalizzati al contenimento della predetta spesa, fra i quali l'adozione di varie misure dirette ad eliminare gli oneri derivanti dalla prescrizione incongrua di prestazioni diagnostiche (art. 2, secondo comma) e il potere di vigilare sulla gestione delle unita' sanitarie locali utilizzando anche il mezzo delle ispezioni amministrative (art. 4, secondo comma). In breve, la legge n. 37/1989 conferma che, anche nella specifica materia sulla quale insistono le norme oggetto della contestazione ora in esame, si e' in presenza di un complesso di responsabilita' in ordine alle decisioni pubbliche incidenti sulla spesa che coinvolge tanto gli organi centrali di Governo e, in particolare, il Ministro della sanita', quanto le Regioni e le unita' sanitarie locali. "Pertanto, in base ai princi'pi gia' affermati dalla Corte, la previsione contenuta nell'art. 2, primo comma, della legge n. 37/1989, la quale espressamente esclude di porre comunque a carico dello Stato le spese eventualmente eccedenti il tetto fissato dallo stesso articolo di legge, e' irragionevolmente lesiva dell'autonomia finanziaria delle regioni e delle province autonome. La garanzia di tale autonomia, infatti, comporta che non possano essere addossati al bilancio regionale (o provinciale) gli oneri derivanti da decisioni non imputabili alla regione stessa (o alla provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dalla esigenza di tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali dei cittadini, la cui cura e' affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e non certo quella essenziale - alla Regione". E' appena il caso di osservare che tali argomentazioni potrebbero puntualmente ripetersi in relazione alle disposizioni impugnate con il presente ricorso.