Ricorre la regione Campania, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore avv. Ferdinando Clemente di San Luca, autorizzato con delibera della giunta regionale n. 6532 del 27 novembre 1990 rappresentato e difeso dagli avvocati Sergio Ferrari e prof. Michele Scudiero, ed elettivamente domiciliato con gli stessi presso l'ufficio di rappresentanza della regione Campania in Roma, via del Tritone n. 61, come da mandato a margine del presente atto, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 19 novembre 1990, n. 334 "Conversione in legge, con modificazioni, del d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, recante misure urgenti per il finanziamento del saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 e disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990"; per contrasto con gli artt. 117, 118, 119 e 81, quarto comma, della Costituzione. I N F A T T O Il d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, all'art. 3, primo comma, ha consentito alle regioni di autorizzare le unita' sanitarie locali e gli altri enti che gestiscono i servizi sanitari finanziati dalle quote regionali del Fondo sanitario nazionale ad assumere impegni per l'esercizio finanziario 1990 anche in eccedenza agli stanziamenti di parte corrente autorizzati con il bilancio di previsione, per provvedere a spese improcrastinabili e di assoluta urgenza entro limiti prequantificati dalle regioni stesse. Alle regioni e' stato anche consentito di autorizzare le unita' sanitarie locali e gli altri enti che gestiscono i servizi sanitari ad assumere anticipazioni straordinarie di cassa (art. 3, secondo comma). Peraltro, la spesa effettiva conseguente alle previste autorizzazioni e gli oneri derivati dalle anticipazioni straordinarie di cassa - sempre dal decreto-legge citato - erano stati posti interamente a carico delle regioni, indicandovi per il finanziamento i mezzi di bilancio, il ricorso all'alienazione dei beni patrimoniali disponibili e la contrazione di mutui o prestiti con istituti di credito; e per l'ammortamento di mutui o prestiti si prevedeva l'utilizzazione anche delle entrate tributarie previste dall'art. 6 della legge 14 giugno 1990, n. 158. In sede di conversione, verosimilmente anche a seguito delle impugnative per illegittimita' costituzionale proposte da piu' regioni nei confronti del richiamato art. 3 del d.-l. n. 262/1990, il terzo comma di tale articolo e' stato sostituito dal seguente: "La spesa effettivamente sostenuta a fronte delle autorizzazioni concesse ai sensi del primo comma, desunta dai conti consuntivi dei singoli enti e gli oneri derivati dalle anticipazioni straordinarie di cassa di cui al comma 2 sono assunti a carico delle regioni e province autonome e sono finanziati con operazioni di mutuo, fino alla concorrenza di L. 90.000 a cittadino residente per ciascuna regione o provincia autonoma, con oneri di ammortamento a carico dello Stato". Ed e' stato aggiunto il comma 3- bis che ha il seguente tenore: "Alla differenza residua si fa fronte: a) quanto al 25 per cento, con oneri a carico del bilancio delle regioni e province autonome, che vi provvedono o con propri mezzi di bilancio o mediante alienazione di beni disponibili ovvero mediante la contrazione di mutui o prestiti con istituti di credito, da assumere anche in deroga alle limitazioni previste dalle vigenti disposizioni, avvalendosi, per la copertura delle relative rate di ammortamento, anche delle entrate tributarie previste dall'art. 6 della legge 14 giugno 1990, n. 158; b) quanto al restante 75 per cento mediante accensione di mutui con oneri di ammortamento a carico dello Stato". Le modificazioni introdotte dalla legge di conversione pongono, benvero, in larga misura a carico del bilancio dello Stato la spesa sanitaria autorizzata in eccedenza rispetto alle previsioni di bilancio per l'esercizio 1990. Ma pur tuttavia confermano che una quota di tale spesa - come stabilisce il riportato comma 3- bis alla lett. a) - debba gravare sul bilancio della regione e che a tale spesa eccedente questo ente debba far fronte con propri mezzi di bilancio, o alienazione di beni patrimoniali disponibili, ovvero con mutui o prestiti con istituti di credito provvedendo alla copertura delle rate di ammortamento anche mediante le (future e incerte) entrate tributarie ex art. 6 della legge n. 158/1990. La legge 19 novembre 1990, n. 334, ha anche convertito senza emendamenti, e quindi consolidato nel suo dettato, l'art. 1 del decreto-legge laddove prevede, con riferimento al saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli oneri 1987-88, che "non si applicano i limiti per l'assunzione di mutui previsti dalle vigenti disposizioni per le regioni e le province autonome". La legge 19 novembre 1990, n. 334, in quanto ha ribadito - al comma 3- bis aggiunto nell'art. 3 del d.-l. n. 262/1990 - l'accollo al bilancio regionale della spesa sanitaria eccedente autorizzata per il 1990, e in quanto ha consolidato il dettato dell'art. 1, secondo comma, del medesimo decreto di urgenza, e' per piu' versi illegittima e lesiva dell'autonomia della regione Campania per i seguenti motivi di D I R I T T O 1. - Con una giurisprudenza perspicua la Corte costituzionale ha insegnato che violano l'autonomia regionale le leggi dello Stato che, nella materia sanitaria, prevedono maggiori spese a carico del bilancio della regione, senza nel contempo attribuire ad essa alcuna nuova risorsa. Invero, la sanita', benche' sia ricompresa nell'elenco dell'art. 117 della Costituzione, non e' assimilabile agli altri ambiti di competenza regionale, sia per la particolare intensita' dei limiti cui sono sottoposte la legislazione e l'amministrazione delle regioni, sia per le peculiari forme e modalita' di finanziamento della spesa pubblica corrispondente, sia per i tipi di enti operanti nella materia in questione. La spesa sanitaria si forma percio' indipendentemente dalle scelte regionali (e delle stesse deliberazioni degli organi di gestione delle unita' sanitarie locali), ed e' caratterizzata da grande rigidita' essendo prevalentemente legata al soddisfacimento del diritto alla salute, costituzionalmente garantito a tutti i cittadini sull'intero territorio nazionale. Come tale, essa non si presta a venir manovrata se non dagli organi centrali di governo. In forza di queste considerazioni il giudice delle leggi ha annullato per illegittimita' costituzionale l'art. 29, secondo comma della legge n. 730/1983 nella parte in cui prevedeva, per ripianare il disavanzo delle unita' sanitarie locali, le regioni erano tenute a prelevare i fondi dalla quota del fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281/1970 (sentenza 30 ottobre-5 novembre 1984, n. 245); ed ancora ha annullato l'art. 2, primo comma, della legge 10 febbraio 1989, n. 37, nella parte in cui disponeva che eventuali eccedenze di spesa in materia sanitaria non potessero essere poste a carico dello Stato (sentenza 19-27 luglio 1989, n. 452). Ne' varrebbe dire che, peraltro, la legge n. 334/1990 qui impugnata prevede che le regioni non debbano, ma "possono autorizzare" le spese in eccedenza e le anticipazioni straordinarie di cassa. E' invero proprio il legislatore nazionale, nel correlare la prevista autorizzazione regionale per le spese eccedenti al carattere improcrastinabile e di assoluta urgenza delle stesse, ad evidenziare, l'assenza di qualunque margine di scelta per la regione. Ne' occorre insistere molto sul carattere del tutto evanescente, o allo stato puramente ipotetico, e comunque non risolutore delle risorse proprie alle quali la regione, secondo il dettato legislativo qui contestato, dovrebbe far capo per fronteggiare le spese eccedenti autorizzate. L'assoggettamento dunque della regione, che e' priva di potere di governo e di determinazione della spesa sanitaria, al maggior onere derivante da spese non differibili e di somma urgenza delle unita' sanitarie locali e di altri enti del settore senza fornire i mezzi per farvi fronte, lede l'autonomia regionale, rendendo la legge n. 334/1990 incompatibile con gli artt. 117, 118 e 119 nonche' - nel contempo - con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione; quest'ultimo disposto anche con riferimento all'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468, concernente la legge dello Stato con oneri a carico dei bilanci degli enti del settore pubblico allargato. In via tutioristica si prospetta anche l'illegittimita' della legge n. 334/1990 in quanto ha convertito senza modificazioni l'art. 1, secondo comma, del d.-l. n. 262/1990 citato. Se invero la prevista "non applicazione" dei limiti per l'assunzione da parte delle regioni dei mutui a ripiano del disavanzo relativo agli anni 1987 e 1988 comportasse comunque che tali mutui concorrano a colmare il "tetto di indebitamento" stabilito per le regioni stesse, sarebbe, anche sotto tale profilo, lesa l'autonomia finanziaria della ricorrente regione. Invero, tale conseguenza verrebbe ad incidere negativamente sulla capacita' residua di indebitamente della regione. E la legge che viene a consolidare una tale disposizione del decreto legge n. 262/1990, lesiva dell'autonomia regionale, risulterebbe essa stessa inficiata da illegittimita' costituzionale per violazione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione.