Ricorso del presidente della giunta regionale del Lazio, in giudizio rappresentato e difeso dall'avv. prof. Giorgio Recchia ed elettivamente domiciliati presso lo studio Recchia in Roma, corso Trieste, n. 88, come da procura in calce nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente pro-tempore avverso la legge 19 novembre 1990, n. 334, dal titolo "Conversione in legge, con modificazioni, del d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, recante misure urgenti per il finanziamento del saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 e disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990" pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 novembre 1990, n. 270, nonche' del d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, dal titolo "Misure urgenti per il finanziamento del saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 e disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990" pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 novembre 1990, n. 220. PREMESSE IN FATTO Il d.-l. 15 settembre 1990, n. 262, dal titolo "Misure urgenti per il finanziamento del saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988 e disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990" pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 novembre 1990, n. 220, concerne sia il finanziamento del saldo della maggiore spesa sanitaria relativa agli anni 1987 e 1988, che disposizioni per il finanziamento della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990. La legge 19 novembre 1990, n. 334, di conversione in legge ha apportato modifiche a tale d.-l. n. 262/1990 aggiungendo la previsione della copertura della maggiore spesa sanitaria per l'anno 1989 (art. 2- bis) e rivedendo - in maniera del tutto incongrua - il sistema di accollo da parte delle regioni della maggiore spesa sanitaria relativa all'anno 1990 (artt. 3, terzo comma, e art. 3bis). In definitiva il sistema delineato dalla legislazione qui impugnata prevede che la maggiore spesa sanitaria corrente di cui all'art. 4 del d.-l. 25 novembre 1989, n. 382, convertito con modificazioni dalla legge 25 gennaio 1990, n. 8 (richiamato nell'art. 1 del d.-l. qui impugnato con la legge di conversione), e non coperta dalle operazioni finanziarie ivi previste, trovi fondi "mediante ulteriori operazioni di mutuo, con onere di ammortamento carico del bilancio dello Stato, entro i limiti del 20 per cento e del 25 per cento da assumere rispettivamente, entro gli anni 1990 e 1991 da parte delle regioni...". E' del tutto evidente la finalita' del legislatore di addossare alle regioni quote della spesa sanitaria in quanto il secondo comma dell'art. 4 el d.-l. n. 382/1989 prevedeva per il ripiano del disavanzo delle unita' sanitarie locali che la maggiore spesa dovesse essere finanziata con onere di ammortamento a carico del bilancio dello Stato nella maggior misura del 35%. Tale quota e' irragionevolmente scesa al 20% per il 1990 ed al 25% per il 1991, con una norma illegittima per la sua irragionevolezza e per la sua retroattivita'. Inoltre nell'art. 2- bis della legge di conversione n. 334/1990 si stabilisce che "le eccedenze di spesa rispetto alle entrate complessive, registrate dalle unita' sanitarie locali e dagli altri enti che erogano assistenza sanitaria per l'esercizio 1989, sono coperte in via prioritaria con i proventi derivanti dall'alienazione totale o parziale dei beni patrimoniali di cui agli artt. 61, 65 e 66 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, non soggetti a vincoli di qualsiasi natura". Sulle attivita' relative a dette alienazioni dovra' vigilare una commissione nominata dalla regione e presieduta da un magistrato delle giurisdizioni amministrative che si avvale delle valutazioni dei locali uffici tecnici erariali. Dato che non e' prevedibile l'ammontare complessivo ricavabile da dette alienazioni l'art. 2- bis aggiunge che i residui disavanzi "sono ripianati dalle regioni mediante operazioni di mutuo da stipulare nel secondo semestre dell'anno 1992". In definitiva per l'esercizio 1989 il legislatore prevede un regime del tutto particolare nel quale emerge la necessita' di individuare il patrimonio alienabile tenendo conto anche della legislazione regionale in materia, della composizione parzialmente vincolata della commisione di vigilanza non chiaramente definita in dette sue funzioni. Nel successivo art. 3 della legge impugnata si stabilisce, per l'esercizio finanziario 1990, che le regioni possono autorizzare le u.s.l. ad assumere spese in eccedenza agli stanziamenti di parte corrente autorizzati con il bilancio di previsione, per provvedere a spese improcastinabili e di assoluta urgenza entro limiti prequantificati dalle regioni stesse (art. 3, primo comma, della legge n. 334/1990). Per tali spese il legislatore stabilisce che le somme effettivamente erogate siano assunte dalle regioni "fino alla concorrenza di L. 90.000 a cittadino residente per ciascuna regione... con oneri di ammortamento a carico dello Stato". In definitiva per l'esercizio 1990 e' evidente la tendenza ad addossare la spesa sanitaria alle regioni con criteri particolarmente lesivi per la regione Lazio dove il riferimento ai cittadini residenti non corrisponde alla realta' rispetto a quanti vivono - soprattutto nell'area di Roma -, ne' tiene conto del fatto che nel Lazio sono ubicate strutture assistenziali molto avanzate in maniera tale che le eccedenze rispetto agli stanziamenti di bilancio possono dipendere anche dal convergere nel Lazio di malati provenienti da altre regioni. Ne consegue che la normativa impugnata non solamente e' estremamente gravosa per la regione Lazio, ma e' costituzionalmente illegittima in quanto lesiva dell'autonomia regionale garantita dalla Costituzione, per le seguenti ragioni in D I R I T T O 1. - L'art. 1, primo comma, della legge n. 34/1990 modifica in maniera irragionevole quanto gia' stabilito nell'art. 4 del d.-l. n. 382/1989 per il ripiano del disavanzo delle unita' sanitarie locali in uanto l'ammortamento a carico del bilancio dallo Stato passa dalla misura del 35% di cui al d.-l. n. 382/1989 al 20% per il 1990 ed al 25% per il 1991. Tale incremento della spesa a carico della regione appare in contrasto con le decisioni di questa ecc.ma Corte (sentenze nn. 452/1989 e 245/1984) che mettono in evidenza l'illegittimita' della disciplina legislativa che ponga a carico delle regoni "l'effettiva responsabilita' degli eventuali disavanzi delle u.s.l.". Infatti le regioni non hanno poteri prevalenti in materia sanitaria, dato che sono gli organi statali a formare le proprie scelte nel settore della spesa sanitaria in materia del tutto indipendente rispetto a quelle regionali. Ne consegue che gli stessi motivi che hanno portato ad invalidare la legge n. 37/1989 devono essere fatti valere per dichiarare l'illegittimita' dell'art. 1, primo comma, sia per l'irragionevolezza dei parametri che per la loro retroattivita'. Infati la quota a carico dello Stato improvvisamente - dal 35% al 20% per l'anno 1990 ed al 25% per l'anno 1991. Di qui la violazione dell'autonomia finanziaria regionale tutela nell'art. 119 che nel corso dell'esercizio finanziario 1990 si vede accollare una spesa nuova e di notevole entita'. 2. - L'art. 2-bis, concernente l'esercizio 1989, viola l'art. 117 ella Costituzione sia sotto il profilo della materia "assistenza sanitaria ed ospedaliera", sia sotto il profilo dell'autonomia organizzativa (ordinamento degli uffici). La legge 23 dicembre 1978, n. 833, agli artt. 61, 65 e 66 (richiamati nell'articolo impugnato) affidava alle leggi regionali lo svincolo di destinazione dei beni patrimoniali individuati dal legislatore, il reimpiego ed il reinvestimento di capitali ricavati dalla loro alienazione; beni ora messi in vendita direttamente dallo Stato. In merito alla disciplina di questi beni si ricorda, per la regione Lazio, la legge regionale dell'8 settembre 1983, n. 58, su "Disposizioni in materia di finanziamento, programmazione, gestione e controllo delle attivita' delle unita' sanitarie locali", dove nel titolo sesto, su "disposizioni in materia del patrimonio del servizio sanitario regionale" vengono stabilite specifiche norme per la gestione. Ne consegue una illegittima limitazione all'autonomia legislativa regionale. Di qui la necessita' di verificare la legittimita' costituzionale di quanto disposto dall'art. 2- bis dato che viene ad incidere su competenze gia' esercitate dalle regioni nell'ambito della loro autonomia. Inoltre la normativa impugnata prevede che su tali atti di alienazione debba "vigilare" una commissione regionale presieduta da un magistrato amministrativo. Sul punto si osserva l'illegittimita' dell'art. 2- bis in quanto se la competenza e' regionale saranno le regioni stesse a dover prevedere l'eventuale istituzione, composizione e funzione. 3. - Sull'art. 3 della legge n. 334/1990 occorre egualmente ricordare i principi gia' affermati nelle sentenze n. 452/1989 e n. 245/1984 di questa ecc.ma Corte in relazione all'illegittimita' di leggi che facciano gravare sulle regioni quote crescenti della spesa sanitaria. Pertanto tali principi costituzionali - per il loro carattere generale - vanno applicati anche alle spese "improcrastinabili e di assoluta urgenza" di cui all'art. 3, primo comma; spese per le quali la regione ben difficilmente puo' negarne l'erogazione stante la loro particolare qualificazione, cosi' che non sussiste alcun potere per cosi' dire "autorizzatorio" in capo ad organi regionali nell'effettuazione di queste spese. Parimenti non hanno effettivo rilievo i "limiti prequantificati dalle regioni stesse per ciascun ente" indicati nell'art. 3, primo comma, poiche' trattasi di spese "improcrastinabili e di assoluta urgenza". Ne consegue che l'art. 3 concerne spese per le quali non sussite alcun reale potere di scelta da parte delle regioni. Pur in presenza di queste caratteristiche per l'esercizio 1990 l'onere posto a carico delle regioni risulta pari al 25% degli oneri di ammortamento per le spese in eccedenza a L. 90.000 a cittadino residente. In altri termini, anche accettando l'interpretazione del testo legislativo qui prospettata per la quale le spese in eccedenza a L. 90.000 a cittadino residente sono a carico dello Stato, non e' possibile che per queste spese "improcrastinabili e di assoluta urgenza" le regioni debbano sopportare oneri. Infatti non basta che la quota a carico dello Stato sia di L. 90.000 a cittadino residente in quanto la "salute" deve essere egualmente salvaguardata sull'intero territorio nazionale cosi' che l'indicazione di quote per cittadino residente appare priva di ogni ragionevole motivazione con riferimento a spese non correnti, ma "improcrastinabili e di assoluta urgenza".