IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Nel  procedimento  n.  119/90  r.g., sull'opposizione proposta dal
 p.m. alla sentenza G.U.P. 4 aprile 1990 di proscioglimento di Galassi
 Massimo e Savini Ivan per irrilevanza del fatto;
    Viste  le  eccezioni di incostituzionalita' sollevate dal pubblico
 ministero;
                             O S S E R V A
    La  prima  di  esse,  relativa all'art. 50-bis, secondo comma, del
 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, appare manifestamente infondata.
    La  previsione  di un giudice collegiale di tre membri, di cui due
 onorari, per l'udienza preliminare minorile, deve, infatti, ritenersi
 compresa  fra  i  poteri  che gli artt. 3 e 5 della legge 16 febbraio
 1987,  n.  81,  conferirono  al  legislatore   delegato   in   ordine
 all'adeguamento  alle  particolari condizioni psicologiche dei minori
 delle norme del processo  penale  nei  loro  confronti  e  di  quelle
 sull'ordinamento giudiziario.
    Nel processo minorile, pertanto, la separazione fra giudice per le
 indagini  preliminari  (monocratico),   e   giudice   per   l'udienza
 preliminare  (collegiale),  nonche'  la maggioranza numerica data nel
 collegio  per  l'udienza  preliminare  ai  componenti   privati,   si
 collegano  a  scelte  di natura latamente politica che il legislatore
 delegato aveva il potere di compiere. E  non  puo'  opinarsi  che  la
 prevalenza  numerica  dei  membri  non  togati  nel collegio minorile
 attenti alla indipendenza della magistratura,  posto  che  essi  pure
 appartengono all'ordine giudiziario.
    Non   manifestamente   infondata  appare,  la  seconda  eccezione,
 concernente l'art. 27 del d.P.R. 22 settembre 1988, n.  448,  e  cio'
 per i seguenti motivi:
      1)  il  proscioglimento  per  "irrilevanza  del  fatto", sebbene
 nominalmente profilato come  formula  di  carattere  processuale,  ha
 chiaro  contenuto  sostanziale,  in  quanto  implicante  un  giudizio
 sull'evento ("tenuita' del fatto") e sulla condotta  ("occasionalita'
 del  comportamento").  Si  tratta,  cioe',  di una fattispecie di non
 punibilita' del fatto, introdotta  al  fine  di  perseguire  per  via
 giudiziaria  una  decriminalizzazione  dei  minori ricorrendo anche a
 elementi desumibili  da  un  giudizio  di  opportunita'  in  concreto
 ("quando  l'ulteriore  corso  del procedimento pregiudica le esigenze
 educative").  Onde  e'  chiaro  che  si  richiede   un'attivita'   di
 cognizione e una valutazione discretiva.
    Sembra,   di   conseguenza,   ecceduta  la  sfera  di  delegazione
 legislativa al Governo, giacche' i ricordati  poteri  di  adeguare  i
 principi  fissati  dalla  delega  stessa  alle esigenze evolutive dei
 minori  ineriscono  alla  materia  processuale   e   non   a   quella
 sostanziale.
    Certamente  la  legge di delegazione non conteneva "determinazione
 di principi  e  criteri  direttivi"  esprimenti  scelte  di  politica
 criminale.  Per  cui  potrebbe  essere  stato violato l'art. 76 della
 Costituzione;
      2)  la  formula  di  proscioglimento contemplata nell'art. 27 in
 oggetto rivela il conferimento al pubblico  ministero  di  un  potere
 dispositivo sull'azione penale.
    Il  fatto  che  il  legislatore  abbia  optato  (dopo ripensamenti
 documentati dai lavori preparatori) per una "sentenza", anziche'  per
 una "archiviazione", non cancella questo aspetto della questione.
    Nel  sistema del nuovo processo l'esercizio dell'azione penale non
 e' piu' una richiesta di decisione fatta dal  pubblico  ministero  al
 giudice, ma una richiesta di punizione. La richiesta di archiviazione
 ne  rappresenta  l'alternativa.   E,   nella   specie,   sia   l'iter
 processuale,  sia  i  poteri  riservati al giudice nel detto art. 27,
 presentano significativa analogia con quelli  previsti  nell'istituto
 dell'archiviazione.
    Anche in questo caso, insomma, il pubblico ministero decide di non
 richiedere la punizione, ma lo fa non gia' in forza di considerazioni
 attinenti   alla   prova   della   responsabilita'   penale,  sibbene
 all'opportunita' della  persecuzione  penale.  Per  cui  puo'  essere
 vilato l'art. 112 della Costituzione;
      3)  avere introdotta la categoria della "irrilevanza del fatto",
 ancorandola a valutazioni oggettive  assolutamente  generiche,  oltre
 che  a  stime  prognostiche  di  ordine  psico-pedagogico,  e  averla
 finalizzata al proscioglimento (e non alla  sola  determinazione  del
 trattamento conseguente al reato), sembra sacrificare il principio di
 uguaglianza a  un  favor  minoris  privo  di  garanzie  di  paritaria
 applicazione,     siccome     realizzato    rinviando    a    criteri
 decriminalizzanti  tanto  suscettibili  di  disomogenea  adozione  da
 approssimarsi  al  "diritto  libero".  Nell'ambito dei singoli uffici
 giudiziari si e' posta, infatti, l'esigenza (piu'  politico-normativa
 che  interpretativa)  di darsi criteri di applicazione della norma in
 ordine a specifiche tipologie di reati. Sicche'  potrebbe  sussistere
 anche violazione all'art. 3, primo comma, della Costituzione.
    La  rilevanza del dubbio di costituzionalita' e' influente perche'
 del suo scioglimento puo'  dipendere  direttamente  il  tenore  della
 pronuncia.