ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 154, quarto
 comma,  della  legge  11  luglio  1980,   n.   312   (Nuovo   assetto
 retributivo-funzionale  del personale civile e militare dello Stato),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  30  marzo  1990  dal  Tribunale
 amministrativo  regionale  per  la  Lombardia  -  Sezione staccata di
 Brescia, nei ricorsi riuniti proposti da Venditti Alfonsino contro il
 Ministero  di  grazia  e  giustizia  ed altri, iscritta al n. 536 del
 registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice
 relatore Gabriele Pescatore;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel corso di due giudizi riuniti, promossi da un magistrato
 per ottenere che  l'equo  indennizzo  concessogli  venisse  calcolato
 sulla  base  dello stipendio, gia' conseguito, di magistrato nominato
 alle  funzioni  direttive  superiori,  anziche'  sulla   base   dello
 stipendio  di  magistrato  di cassazione, il Tribunale amministrativo
 regionale per  la  Lombardia  -  Sezione  staccata  di  Brescia,  con
 ordinanza   in   data   30  marzo  1990  ha  sollevato  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 154, quarto comma, della  legge
 11 luglio 1980, n. 312.
    Nell'ordinanza  si  rileva  che l'amministrazione ha rispettato il
 principio secondo il quale l'equo indennizzo non si calcola  in  base
 allo  stipendio  concretamente  spettante  all'interessato  in virtu'
 delle sue personali vicende di carriera e di progressione  economica,
 bensi'  in base allo stipendio virtualmente spettante ad un ipotetico
 impiegato della  medesima  carriera  che  si  trovi  nella  posizione
 iniziale  di  una  determinata  qualifica o livello retributivo. Tale
 posizione, per il personale di magistratura, e' individuata dall'art.
 154,  quarto comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312, in quella del
 magistrato di cassazione.
    Il  giudice  remittente  ha  sollevato dubbi circa la legittimita'
 costituzionale di tale disciplina, deducendo che la norma  in  esame,
 in  combinazione  con  l'art.  49, secondo comma, del d.P.R. 3 maggio
 1957, n. 686, in virtu' del quale "l'indennizzo e' ridotto del 25 per
 cento  se  l'impiegato  ha superato i cinquanta anni di eta' e del 50
 per cento se ha superato il  sessantesimo  anno  di  eta'",  pone  in
 essere  un  meccanismo  irrazionale,  non ponderato adeguatamente dal
 legislatore.  Infatti,  se  si  tiene  conto  che  la  carriera   del
 magistrato  si  puo'  svolgere  sino  a settanta anni e che, inoltre,
 successivamente alla qualifica di  consigliere  di  cassazione,  essa
 puo',  teoricamente,  svilupparsi  su  altre tre qualifiche (funzioni
 direttive  superiori,  Presidente  aggiunto,  Primo  Presidente),  si
 rileva  che a mano a mano che il magistrato di cassazione consegue la
 promozione  alle  qualifiche  superiori  nell'eventualita'  che  egli
 incorra in una delle menomazioni dell'integrita' fisica, riconosciute
 dipendenti da causa di servizio e  che,  quindi,  danno  titolo  alla
 concessione dell'equo indennizzo egli da un lato, vedrebbe arrestarsi
 la  base  di  calcolo  di  quest'ultimo  ad  un  livello  stipendiale
 inferiore  a  quello  in  godimento;  dall'altro  lato,  subirebbe la
 decurtazione, sino alla meta', dell'importo spettantegli, proprio  in
 corrispondenza  di quel periodo della vita (dai cinquanta ai settanta
 anni di eta')  in  cui  e'  piu'  concretamente  possibile  che  egli
 raggiunga le suddette promozioni.
    Siffatta iniqua concomitanza di fattori riduttivi non si verifica,
 al contrario, per gli altri dipendenti  statali,  rispetto  ai  quali
 l'art.  154,  secondo  comma, della legge n. 312 del 1980 fissa quale
 indice di riferimento, per la  determinazione  dell'equo  indennizzo,
 "la  classe  iniziale  di  stipendio della qualifica o del livello di
 appartenenza", senza, quindi, porre limiti in caso  di  conseguimento
 (per promozione, per concorso, per sanatoria o altri titoli idonei al
 passaggio  di  qualifica  o  di  livello)  di  posizioni   funzionali
 superiori.
    Sussistono  quindi  dubbi - ad avviso del Tribunale amministrativo
 regionale - di contrasto dell'art. 154, quarto comma, della legge  n.
 312 del 1980, con l'art. 3 della Costituzione, in quanto, da un lato,
 esso introduce un'ingiustificata disparita'  di  trattamento  di  una
 categoria  di  personale  rispetto  alla  generalita'  dei dipendenti
 statali; dall'altro  lato,  la  norma  realizza  un  irragionevole  e
 perverso  congegno  di  riduzione  del  beneficio in parola, in senso
 inversamente  proporzionale  alla  progressione   di   carriera   del
 magistrato.
    La  norma  si  porrebbe  inoltre  in conflitto con l'art. 32 della
 Costituzione, sulla  tutela  della  salute,  intesa  non  quale  bene
 astratto, indifferenziato e fine a se stesso, quanto, piuttosto, come
 reale attitudine psico-fisica che  permette  all'individuo  di  agire
 utilmente nei rapporti sociali e di lavoro.
    Infine,  sarebbe  dubbia la conformita' dell'impugnato art. 154 al
 dettato dell'art. 38 della Costituzione,  che  garantisce  la  tutela
 della  salute  e  l'incolumita'  dei  lavoratori,  anche  mediante la
 predisposizione di misure e rimedi successivi, in caso di malattia  e
 di infortuni non totalmente invalidanti.
    2.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, secondo il quale il legislatore, con l'art. 154, quarto comma,
 della legge n. 312 del 1980, ha dettato una disciplina  unitaria,  ai
 fini  della  misura  dell'equo  indennizzo,  per  il  personale della
 magistratura,  riconoscendo  a  tutti  i   magistrati   un   identico
 trattamento  (con l'attribuzione dell'indennizzo in misura pari a due
 volte lo stipendio del magistrato di  cassazione),  indipendentemente
 dalle funzioni esercitate dal singolo.
    Detto  trattamento  (che,  se  puo'  pregiudicare i magistrati che
 esercitano funzioni superiori a quelle di magistrato  di  cassazione,
 avvantaggia   coloro   che   svolgano  funzioni  inferiori),  secondo
 l'Avvocatura generale dello Stato, e' il frutto  di  una  scelta  del
 legislatore  che  non  appare irragionevole rispetto alla generalita'
 dei pubblici dipendenti (per i quali il calcolo dell'equo  indennizzo
 si  basa  sullo  stipendio  della qualifica di appartenenza). Sono da
 tener presenti, infatti, il particolare status  che  la  Costituzione
 riserva ai magistrati (rispetto ai quali possono operarsi distinzioni
 soltanto in relazione alle  funzioni),  nonche'  i  maggiori  livelli
 retributivi  del  personale  della magistratura rispetto alle diverse
 categorie di pubblici dipendenti.
    La   questione   sarebbe   manifestamente   infondata   anche  con
 riferimento agli artt. 32 e 38 della Costituzione, dato che la natura
 indennitaria  del compenso di cui al citato art. 154, riferito ad una
 menomazione verificatasi, non puo' avere  alcuna  attinenza,  proprio
 per  la  sua funzione riparatoria, con la tutela da parte dello Stato
 del  diritto  dei  singoli   alla   salute   (art.   32),   ne'   con
 l'assicurazione di mezzi adeguati per la garanzia di esigenze di vita
 in caso di malattia, infortunio o invalidita' (art. 38): diritti  per
 la  salvaguardia  dei  quali l'ordinamento appresta sistemi specifici
 come quello dell'assistenza sanitaria e della previdenza.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Ad  avviso  del  Tribunale  amministrativo regionale per la
 Lombardia - Sezione staccata di Brescia, l'art.  154,  quarto  comma,
 della  legge  11 luglio 1980, n. 312 - nella parte in cui prevede che
 l'equo indennizzo riconosciuto al magistrato che fruisce di stipendio
 superiore a quello di consigliere di cassazione venga calcolato sulla
 base dello stipendio iniziale del magistrato di cassazione,  anziche'
 sulla  base  del  piu'  elevato  stipendio percepito al momento della
 liquidazione - si pone in contrasto con gli artt. 3, 32  e  38  della
 Costituzione.
    2.  - La questione deve ritenersi infondata in riferimento a tutti
 i parametri costituzionali invocati.
    La  violazione  dell'art. 3 della Costituzione viene sostenuta con
 riguardo a due  aspetti.  La  mancata  previsione  di  un  incremento
 dell'indennizzo,   rapportato   al  crescere  della  retribuzione  in
 conseguenza  degli  avanzamenti  nella  carriera,  comporterebbe  una
 ingiustificata disparita' di trattamento del magistrato rispetto alla
 generalita' dei dipendenti statali, per i quali nella  determinazione
 dell'equo  indennizzo  si  fa riferimento al trattamento economico da
 considerare nell'ambito della  qualifica  funzionale  o  del  livello
 retributivo   di   appartenenza   del   dipendente   al   momento  di
 presentazione della domanda.
    Il  secondo  motivo di censura concerne l'irragionevole meccanismo
 di  riduzione  del  beneficio,  che  agisce  in  senso  inverso  alla
 progressione di carriera del magistrato.
    L'art.  49,  secondo  comma,  del  d.P.R.  3  maggio 1957, n. 686,
 dispone infatti che l'indennizzo e'  ridotto  del  25  per  cento  se
 l'impiegato  ha  superato i cinquanta anni di eta' e del 50 per cento
 se  ha  superato  il  sessantesimo  anno  di  eta'.  Tali  riduzioni,
 collegate con l'agganciamento fisso dell'indennizzo alla retribuzione
 del consigliere di cassazione, comportano - osserva il giudice a  quo
 - una accentuata decurtazione del beneficio proprio negli anni in cui
 e' piu' probabile l'avanzamento del magistrato nelle qualifiche.
    Quest'ultima  argomentazione,  per  la  parte  che  puo' rilevare,
 coincide in realta' con la prima.
    La  riduzione dell'indennizzo in rapporto al crescere dell'eta' e'
 comune a tutti i possibili beneficiari, siano o non magistrati.  Essa
 trova   comprensibile  fondamento  nel  rilievo  che  la  menomazione
 comporta  tanto  piu'   danno   quanto   piu'   giovane   e'   l'eta'
 dell'interessato,   e  viceversa;  non  puo'  dunque  non  essere  di
 applicazione  generale.  Indubbiamente,  la  riduzione   percentuale,
 collegata  con  la  mancata  crescita  della  base  di  calcolo, puo'
 comportare effetti relativamente piu'  sensibili  nei  confronti  del
 magistrato.  Ma  e'  evidente  che si ha qui riguardo ad uno solo dei
 diversi effetti del particolare meccanismo indennitario, il quale  va
 invece  considerato  nel  suo  complesso  e  non limitatamente a quel
 segmento che trova applicazione nel singolo caso.
    Il  quesito  da  porsi  e'  dunque soltanto se sia censurabile, in
 riferimento al principio di eguaglianza, la previsione che impone  di
 rapportare   sempre   l'entita'   dell'indennizzo  da  liquidarsi  al
 magistrato a due volte l'importo dello stipendio  del  magistrato  di
 corte di cassazione.
    Invero,  il  quinto  comma  dell'art.  154 contempla la disciplina
 relativa  al  personale  dirigente  dello  Stato  e  agli   ufficiali
 superiori  (colonnelli  e  generali delle Forze armate e dei Corpi di
 polizia). Per tutti costoro, in modo analogo a quanto disposto per  i
 magistrati, l'equo indennizzo e' sempre pari a due volte lo stipendio
 del dirigente generale.
    Se  si  ha  riguardo  anche  a tale previsione, risulta ancor piu'
 evidente lo scopo che si e' perseguito con la particolare disciplina.
 Si  e'  inteso  cioe'  assicurare  un  trattamento  nel suo complesso
 privilegiato rispetto all'esterno e uniforme  invece  all'interno  di
 categorie caratterizzate per un verso da una posizione di particolare
 rilievo nell'organizzazione statuale e per l'altro dall'elevato grado
 di   omogeneita'   e   quindi  dalla  pari  dignita'  dei  rispettivi
 appartenenti.
    Detti   criteri  risultano  attagliarsi  in  modo  particolare  ai
 magistrati, i quali, secondo il dettato dell'art. 107,  terzo  comma,
 della  Costituzione,  si distinguono fra loro soltanto per diversita'
 di funzioni.
    Nell'ambito  di  tali  valutazioni, non si presta quindi a censure
 una normativa che dispone  un  trattamento  nel  suo  complesso  piu'
 vantaggioso,  sulla base della particolare posizione e dello speciale
 statuto  riconosciuti  alla  magistratura;  che  non   distingue   il
 trattamento  tra  i diversi componenti in ragione della pari dignita'
 di tutti gli appartenenti all'ordine giudiziario; che trova  peraltro
 puntuali   corrispondenze   nella   disciplina   prevista  per  corpi
 professionali provvisti anch'essi, come  i  magistrati,  di  un  loro
 statuto particolare.
    Del   resto,  la  norma  in  esame  ha  gia'  superato  il  vaglio
 dell'applicazione da parte  della  giurisdizione  amministrativa,  la
 quale  si  e'  limitata  a statuire che l'equo indennizzo concesso ai
 magistrati deve essere determinato sulla  base  dello  stipendio  del
 consigliere  di  cassazione,  quale  risulta  dall'applicazione della
 legge 6 agosto 1984, n. 425, e quindi con il computo  dell'anzianita'
 pregressa  minima,  necessaria e sufficiente per l'accesso alla detta
 posizione (Cons. Stato, Sez. IV, 20 maggio 1987).
    3.  -  Il richiamo agli artt. 32 e 38 della Costituzione risulta a
 sua volta di scarsa pertinenza.
    Come  osserva puntualmente l'Avvocatura generale dello Stato, alla
 tutela  del  diritto  dei   singoli   alla   salute   (art.   32)   e
 all'assicurazione  di mezzi adeguati alle esigenze di vita in casi di
 infortunio, malattia o invalidita' (art. 38)  l'ordinamento  provvede
 con   gli   appositi   sistemi   dell'assistenza  sanitaria  e  della
 previdenza. Il beneficio previsto dall'impugnato art. 154  ha  invece
 natura  indennitaria e risponde ad una funzione soltanto riparatoria.
    Come  in  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,  cosi' in
 relazione agli artt. 32  e  38,  la  sollevata  questione  va  dunque
 dichiarata non fondata.