ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 112 e 135 del
 d.P.R.  30  giugno  1965,  n.  1124  (T.U.  delle  disposizioni   per
 l'assicurazione  obbligatoria  contro  gli  infortuni sul lavoro e le
 malattie professionali), promossi con  n.  34  ordinanze  emesse  dal
 Pretore  di Pisa nei procedimenti civili iscritti ai nn. da 570 a 588
 e da 605 a  619  del  registro  ordinanze  1990  e  pubblicati  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  39  prima  serie speciale
 dell'anno 1990;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  Taruffi  Giuseppe, Bonturi
 Giancarlo, Carrani Roberto, Donati Mauro, Balloni  Amulio,  Marconato
 Valentino,  Barsotti  Giancarlo,  Meacci  Luciano, Francione Roberto,
 Franceschi Luigi, Siragusa Bernardo, dell'I.N.A.I.L., nonche'  l'atto
 di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'8  gennaio  1991  il  Giudice
 relatore Aldo Corasaniti;
    Udito  l'avvocato  Salvatore Cabibbo per Taruffi Giuseppe, Bonturi
 Giancarlo, Carrani Roberto, Donati Mauro, Balloni  Amulio,  Marconato
 Valentino,  Barsotti  Giancarlo,  Meacci  Luciano, Francione Roberto,
 Franceschi Luigi, gli avvocati Saverio Muccio e Antonino Catania  per
 l'I.N.A.I.L. e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente
 del Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.   -   Nel   giudizio   promosso   da  Gozzoli  Romano,  per  il
 riconoscimento del diritto alla  rendita  per  inabilita'  permanente
 derivante  da  malattia professionale, il Pretore di Pisa, al fine di
 decidere sulla prescrizione, avendo  accertato,  mediante  consulenza
 tecnica,  che la malattia professionale aveva raggiunto il livello di
 indennizzabilita'in epoca assai precedente rispetto alla  data  della
 visita  medica,  sicche' al momento del deposito del ricorso era gia'
 maturato il termine triennale di prescrizione di  cui  all'art.  112,
 primo  comma,  del  d.P.R.  30  giugno 1965, n. 1124 - decorrente, in
 forza della sentenza n. 116 del 1969 della Corte costituzionale,  dal
 giorno del consolidamento dell'inabilita' nel grado indennizzabile -,
 e ritenendo ormai inapplicabile, per effetto  della  declaratoria  di
 illegittimita' adottata dalla stessa Corte con la sentenza n. 206 del
 1988, l'art. 135, secondo comma, del d.P.R. citato - che  considerava
 verificata  la manifestazione della malattia professionale dal giorno
 della presentazione della denuncia con il  certificato  medico  -  ha
 sollevato, con ordinanza emessa il 27 aprile 1990 (R.O. n. 570/1990),
 questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3
 e 38 della Costituzione, degli artt. 112, primo comma, e 135, secondo
 comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965, nella  parte  in  cui,  nel  loro
 combinato  disposto,  individuano  come  dies a quo per la decorrenza
 della prescrizione il momento in cui la malattia si e'  verificata  o
 consolidata   nel   minimo   indennizzabile  e  non  gia'  quello  di
 presentazione  della  denuncia  di  malattia  od   altro   di   certa
 individuazione  e comunque non ricollegato alla nozione naturalistica
 della verificazione della tecnopatia.
    Osserva  il  giudice  a  quo  che la caducazione del secondo comma
 dell'art. 135 non consente piu' di individuare con precisione il dies
 a  quo  del  termine  prescrizionale,  poiche',  in  mancanza  di una
 definizione  legislativa,  non  puo'  che  ricorrersi  alla   nozione
 naturalistica  di  verificazione e manifestazione della malattia, che
 presenta inevitabilmente aspetti di incertezza e di  opinabilita',  o
 quantomeno  finisce  per  riposare  su  affermazioni tecniche di mera
 probabilita'. E  cio'  rende  estremamente  gravoso  l'esercizio  del
 diritto  alla  prestazione  assicurativa,  costringendo l'assicurato,
 pena la prescrizione del  diritto,  a  richiedere  giudizialmente  il
 riconoscimento  della  malattia entro un termine breve, decorrente da
 un momento di difficile individuazione; ed  e'  anche  irragionevole,
 perche' in concreto finirebbe per sollecitare l'esercizio dell'azione
 giudiziaria ai primi  sintomi  della  malattia,  magari  per  vedersi
 reiteratamente  respingere  la  richiesta di rendita per non avere la
 malattia raggiunto il minimo indennizzabile e quindi per  la  carenza
 del diritto o dell'interesse all'azione di accertamento.
    2.  -  Con  altre  33  ordinanze,  emesse il 27 aprile 1990, il 30
 aprile 1990 ed il 24 maggio 1990 (R.O. nn. 571-588, 605-619/1990), il
 Pretore   di  Pisa,  con  riferimento  ad  analoghe  fattispecie,  ha
 sollevato eguale questione di legittimita' costituzionale.
    3.  -  In  tutti  i giudizi avanti a questa Corte si e' costituito
 l'I.N.A.I.L., contestando  l'ammissibilita'  e  la  fondatezza  della
 questione.
    4.  -  Si  sono  altresi'  costituite  le  parti  private  Taruffi
 Giuseppe, Bonturi Giancarlo, Carrani Roberto, Donati  Mauro,  Balloni
 Amulio,  Marconato  Valentino,  Barsotti  Giancarlo,  Meacci Luciano,
 Francione Roberto e Franceschi  Luigi  (rispettivamente  nei  giudizi
 relativi  alle  ordinanze  n. 571, 573, 574, 581, 587, 607, 611, 612,
 618  e  619/1990),  rappresentate  dall'avv.  Salvatore  Cabibbo,   e
 Siragusa  Roberto  (nel giudizio relativo all'ordinanza n. 578/1990),
 rappresentato   dall'avv.   Anna    Cannizzaro,    concludendo    per
 l'accoglimento della questione.
    5. - E' intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio
 dei Ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura  dello  Stato,  che  ha
 dedotto  l'inammissibilita'  della  questione:  cio'  in quanto, come
 risulta dalla stessa ordinanza di remissione, la Corte costituzionale
 dovrebbe  individuare  il  dies a quo della prescrizione operando una
 scelta tra piu' soluzioni possibili, riservata alla  discrezionalita'
 del legislatore.
    La questione - ad avviso dell'Avvocatura dello Stato - e' comunque
 manifestamente infondata.
    A seguito della decisione della Corte n. 206 del 1988, la denunzia
 di malattia, come non puo' rilevare  ai  fini  della  decorrenza  del
 termine  di  cui alla tabella allegato 4 del d.P.R. n. 1124 del 1965,
 cosi' anche non puo' fungere da dies  a  quo  per  il  decorso  della
 prescrizione,   in   quanto  il  concetto  di  "manifestazione  della
 malattia" deve essere unitario e  non  puo'  essere  diversificato  a
 seconda  delle  varie  ipotesi.  Altro  e' il problema di definire un
 concetto di "manifestazione" della malattia  professionale,  ai  fini
 della  prescrizione, che non renda meramente teorico e eccessivamente
 disagevole l'esercizio  del  diritto:  ma  trattasi  di  un  problema
 interpretativo la cui soluzione spetta al giudice rimettente.
    6.  -  Hanno depositato memorie l'I.N.A.I.L. e l'avv. Cabibbo, per
 le parti  private  da  lui  rappresentate,  ribadendo  le  rispettive
 posizioni.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  questione  sollevata con tutte le ordinanze in epigrafe
 riguarda la legittimita', in riferimento agli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione, degli artt. 112, primo comma, e 135, secondo comma, del
 d.P.R.  30  giugno  1965,  n.  1124  (T.U.  delle  disposizioni   per
 l'assicurazione  obbligatoria  contro  gli  infortuni sul lavoro e le
 malattie professionali), nella  parte  in  cui,  nel  loro  combinato
 disposto,  alla  stregua delle decisioni n. 116 del 1969 e n. 206 del
 1988 della Corte costituzionale, individuano come dies a quo  per  la
 decorrenza  della  prescrizione dell'azione per conseguire la rendita
 per inabilita' permanente derivante  da  malattia  professionale,  il
 momento   in   cui   la   malattia   si  e'  consolidata  nel  minimo
 indennizzabile, e non piu' quello di presentazione della denuncia  di
 malattia.
    Secondo  il  giudice  a  quo,  la  caducazione  del  secondo comma
 dell'art. 135 non consente piu' di individuare con esattezza il  dies
 a  quo  del  termine  prescrizionale,  poiche',  in  mancanza  di una
 definizione  legislativa,  non  puo'  che  ricorrersi  alla   nozione
 naturalistica di manifestazione della malattia, che presenta notevoli
 aspetti di opinabilita'.  Tale  risultato  renderebbe  assai  gravoso
 l'esercizio  del  diritto, per essere l'assicurato costretto, pena la
 prescrizione, a richiedere il riconoscimento della malattia entro  un
 termine  breve, decorrente da un momento di difficile individuazione.
 E sarebbe anche irragionevole, per  essere  l'assicurato  indotto  ad
 esperire  l'azione  ai  primi  sintomi della malattia, col rischio di
 vedersi reiteratamente respingere  la  domanda  a  causa  di  mancato
 raggiungimento,   da   parte   della   malattia,   del  grado  minimo
 indennizzabile.
    Attesa  l'identita'  della  questione,  i  giudizi  possono essere
 riuniti per la definizione con unica sentenza.
    2.  - Con la recente sentenza n. 544 del 1990 (sia pure al fine di
 decidere  sulla   decorrenza   della   prescrizione   nella   ipotesi
 particolare  di  una  malattia professionale non diagnosticabile ante
 mortem), questa Corte ha gia' avuto modo di chiarire la portata della
 propria  sentenza  n.  116  del  1969,  e  di  porre in evidenza come
 ingiustificatamente la giurisprudenza l'abbia intesa nel senso che la
 prescrizione  in  argomento decorre dalla data del consolidamento del
 grado minimo di indennizzabilita' della malattia professionale, anche
 quando cio' si verifichi in epoca anteriore alla prima manifestazione
 della malattia ed alla sua  denuncia  (assunto  dal  quale  muove  il
 giudice  a quo, sulla base di un indirizzo della Corte di cassazione,
 dal quale diverge, peraltro,  la  sentenza  n.  124  del  1990  della
 predetta Corte).
    Al  riguardo  questa Corte ha osservato che la sentenza n. 116 del
 1969 si e'  limitata  a  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  112,  primo  comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965, in quanto
 consentiva il decorso del termine  prescrizionale  dal  giorno  della
 manifestazione    della    malattia   professionale,   anche   quando
 quest'ultima - considerata come situazione patologica ingravescente -
 avesse    raggiunto    il   livello   minimo   di   indennizzabilita'
 successivamente alla detta manifestazione: la  sentenza  n.  116  del
 1969  ha  quindi  lasciato ferma la decorrenza della prescrizione dal
 giorno della manifestazione della malattia  nell'ipotesi  in  cui  il
 grado  di  indennizzabilita'  sia  stato raggiunto anteriormente alla
 manifestazione stessa.
    Ha altresi' rilevato questa Corte che siffatta interpretazione non
 resta superata dalla dichiarazione di illegittimita'  costituzionale,
 ad  opera  della  sentenza  n.  206  del 1988, dell'art. 135, secondo
 comma, del d.P.R. n. 1224 del 1965, secondo il quale, ove la malattia
 non   determini   astensione   dal   lavoro   ovvero   si   manifesti
 successivamente  alla  cessazione  dalla  prestazione  d'opera  nella
 lavorazione morbigena), la manifestazione si considera verificata nel
 giorno in cui e' presentata la denuncia con il certificato medico: la
 caducazione  della  menzionata  disposizione non impedisce invero che
 continui ad  essere  rilevante,  ai  fini  del  decorso  del  termine
 prescrizionale  (ex  art.  112,  primo  comma, d.P.R. suindicato), la
 manifestazione  obbiettiva  della  malattia,  individuabile  mediante
 valutazioni  medico-legali  o  per il tramite di presunzioni semplici
 ricollegate anche a comportamenti dell'assicurato (in tal senso,  del
 resto,  sembra  essere  la  sentenza  n.  124 del 1990 della Corte di
 cassazione).
    3. - Cio' posto, la questione va dichiarata non fondata.
    Non  e'  lesivo dei precetti costituzionali invocati dal giudice a
 quo un sistema normativo che prevede il  decorso  della  prescrizione
 dell'azione  per il conseguimento della rendita dalla "manifestazione
 della malattia".  Tale  espressione  e'  invero  indicativa  di  ogni
 emersione della malattia, per segni o per sintomi, che sia univoca, e
 quindi idonea a  rendere  edotto  l'assicurato  dell'esistenza  della
 malattia stessa e della sua incidenza sull'attitudine lavorativa, e a
 consentirgli quindi di poter utilmente far valere il proprio diritto.
    Ed  e'  ovvio  che,  nel  caso  di malattia che abbia raggiunto la
 soglia dell'indennizzabilita' anteriormente alla  sua  manifestazione
 (ipotesi,   questa,   contemplata  dalle  ordinanze  di  rimessione),
 l'assicurato non corre di regola il rischio di sperimentare procedure
 inutili,  cioe'  suscettive  di  concludersi  con  l'accertamento del
 mancato raggiungimento del grado  minimo  di  indennizzabilita'.  Per
 quanto  riguarda,  invece,  le  ipotesi  di  consolidamento del grado
 predetto in epoca  successiva  alla  manifestazione,  il  rischio  di
 sperimentare  procedure  inutili  (  situazione ovviamente diversa da
 quella di certezza dell'insuccesso della procedura considerata  dalla
 sentenza  n.  544  dianzi  richiamata),  ricorre,  ma si tratta di un
 rischio normale e tollerabile, tanto piu'  ove  si  tenga  conto  del
 favore che all'assicurato reca l'indirizzo inaugurato da questa Corte
 con la sentenza n. 116 del 1969, evitandogli  l'altro  e  piu'  grave
 rischio  che  la prescrizione del diritto inizi a decorrere prima che
 la malattia assurga al livello minimo di indennizzabilita'.