Ricorso della regione Emilia-Romagna, in persona del vice presidente della giunta, sostituto del presidente della giunta regionale assente, Pierluigi Bersani, giusta deliberazione della giunta regionale n. 6784 del 21 dicembre 1990, rappresentata e difesa dal prof. avv. Fabio Roversi-Monaco e dal prof. avv. Sandro Amorosino, presso il cui studio in Roma, via Nazionale 230, ha eletto domiciliato come da mandato speciale a margine contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente del Consiglio in carica per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 1, 2 e 3, sesto comma; 4, primo e terzo comma della legge 29 novembre 1990, n. 380 recante "Interventi per la realizzazione del sistema idroviario padano-veneto", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 294, del 18 dicembre 1990. 1. - La legge 29 novembre 1990, n. 380, nel dettare norme per la realizzazione del sistema idroviario padano-veneto, innova profondamente nell'assetto delle competenze di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione, come attuati dagli artt. 97 e 98 del d.P.R. 24 luglio 1977 (per quanto attiene alla materia "navigazione e porti lacuali") nonche' - per gli ulteriori profili interessati da tale realizzazione - dagli artt. 80, 81, 87 e 88 primo comma, n. 3 e 101 del medesimo decreto legislativo (per quanto attiene, nell'ordine, alle materie "urbanistica", "viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale" ed alla "tutela dell'ambiente dagli inquinamenti"). Gli interventi per la realizzazione di un siffatto sistema idroviario interferiscono, infatti, con una pluralita' di interessi pubblici la cui cura e' affidata dalla Costituzione al livello di governo regionale, perche' fanno capo a varie tra le materie catalogate nell'art. 117: oltre ad interessare l'amministrazione pubblica della navigazione e dei porti lacuali, gli interventi in questione coinvolgono, significativamente, l'assetto e l'utilizzazione del territorio, ivi compreso il momento della tutela ambientale. Nonostante questa innegabile interferenza con molteplici aspetti della complessiva sfera di competenze regionali, la legge 29 novembre 1990, n. 380, negli articoli richiamati in epigrafe, determina una netta centralizzazione delle attribuzioni, superando chiaramente - a danno della Regione - l'assetto delle competenze dettato in sede di completamento dell'ordinamento regionale. Ma tale riassetto delle competenze, coinvolgenti - lo si ripete - le attribuzioni della Regione in piu' ambiti materiali (e non solamente in quello della "navigazione e porti lacuali"), oltre a non rispettare il principio della leale cooperazione tra Stato e regioni, disatteso nel contenuto dispositivo delle norme denunciate, presenta vari tratti di irragionevolezza in danno delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute alla regione medesima. La regione Emilia-Romagna richiama, infatti, l'autorevole insegnamento di codesta Corte, peraltro enunciato in relazione alla tutela del paesaggio (che involge solamente funzioni delegate): "qualunque sia l'equilibrio che il legislatore, nel suo discrezionale apprezzamento, intende stabilire fra le competenze dello Stato e quelle delle regioni, resta fermo, per esso, il vincolo costituzionale in base al quale deve essere fatto salvo... il principio di un'equilibrata concorrenza e cooperazione fra le une e le altre competenze in relazione ai momenti fondamentali della disciplina stabilita" per il perseguimento dei vari interessi pubblici nei diversi ambiti materiali (cfr. sent. 10 marzo 1988, n. 302). Sull'art. 1). 2. - L'art. 1, primo comma della legge n. 380 del 1990 dichiara la realizzazione del sistema idroviario padano-veneto "di preminente interesse nazionale"; questa dichiarazione di rilevanza non e' per se' censurata. Tuttavia, il seguente secondo comma dispone nel senso che alla costruzione e gestione di questo sistema idroviario "provvede il ministero dei trasporti". Ecco allora che il sistema normativo diventa irragionevole. La disposizione, che viola gli artt. 117 e 118 della Costituzione, palesa una intima contraddittorieta' a danno delle competenze regionali anche in violazione del principio di leale collaborazione, manifestando altresi' una irrazionalita' dispositivita' ed un inesatto apprezzamento dei mezzi in relazione ai fini che si intendono perseguire. L'art. 97 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, nel definire la materia "navigazione e porti lacuali" vi ricomprendeva un vastissimo novero di funzioni, senza operare riserve di competenza allo Stato ("le funzioni amministrative relative alla materia 'navigazione e porti lacuali' concernono la navigazione lacuale, fluviale, lagunare sui canali navigabili ed idrovie; i porti lacuali e di navigazione interna e ogni altra attivita' riferibile alla navigazione ed ai porti lacuali ed interni. Le predette funzioni comprendono tra l'altro l'autorizzazione al pilotaggio, il demanio dei porti predetti e la potesta' di rilasciare concessioni per l'occupazione e l'uso di aree ed altri beni nelle zone portuali, al rimozione di materiali sommersi ed il rilascio del certificato di navigabilita', nonche' enti, istituti ed organismi operanti nel settore. Sono altresi' comprese le funzioni amministrative relative al personale dipendente da imprese concessionarie operanti in questa materia"). A questa impostazione era consequenziale l'indicazione normativa di cui al seguente art. 98, primo comma, a mente del quale: "Le funzioni amministrative di cui al precedente articolo quando sono interessati i servizi in territori finitimi di piu' regioni, sono esercitate mediante intesa tra le regioni interessate ovvero mediante gestioni comuni anche in forma consortile". L'articolo censurato manifesta, invece, una netta inversione di tendenza, confermata da altre norme della medesima legge n. 380 del 1990 (sulle quali ci si soffermera' piu' avanti). Al riguardo, la regione Emilia-Romagna non ignora la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte circa la possibilita' per leggi ordinarie successive di "modificare disposizioni contenute nel d.P.R. n. 616 del 1977 e ripartite diversamente le competenze assegnate o delegate alle regioni con quel decreto" (cfr. sentenze 26 febbraio 1980, n. 85 e, precedentemente, 26 giugno 1986, n. 151 e 9 marzo 1989, n. 101), ma non si puo' fare a meno di ricordare che questa stessa giurisprudenza si dimostra assai attenta nel valutare la ragionevolezza delle disposizioni di legge ed il rispetto del principio di leale cooperazione in ordine ad un equilibrato assetto delle competenze, dal quale e' impossibile decampare pena l'inadeguata tutela dei vari interessi pubblici sottesi alle differenti fattispecie. Non si contesta che competa in larga misura alla legge statale ordinaria stabilire in quali forme debbano venir considerati e armonizzati gli interessi dello Stato e delle regioni (cfr. sent. 23 gennaio 1985, n. 8), ma a detta legislazione spetta pur sempre di delineare "congegni di cooperazione" "anziche' separare con nettezza gli oggetti dell'una e dell'altra competenza" (cfr. la medesima decisione). Infatti, e' vero che "lo svolgimento concreto delle funzioni regionali" deve "essere armonicamente conforme agli interessi unitari della collettivita' nazionale", ma senza per questo addivenire ad "una preventiva e generale riserva allo Stato di settori di materie" (cosi' sent. 4 marzo 1971, n. 39 nonche' sent. n. 8 del 1985 cit.). Mentre e' proprio quest'ultima deprecabile soluzione ad essere stata prescelta nella legge n. 380 del 1990 e chiaramente enunciata nell'art. 1, (ed in particolare nel secondo comma del medesimo), che qui si censura. Peraltro, come gia' anticipato, quest'ultima disposizione si manifesta intimamente contraddittoria perche' dichiara di preminente interesse nazionale la sola "realizzazione" del sistema idroviario padano-veneto (primo comma) mentre attribuisce alla competenza del solo ministero dei trasporti le funzioni, concernenti tanto la "costruzione" che la "gestione" dello stesso (secondo comma). Questa scelta non sembra giustificata se solo si pensa che le regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto avevano gia' provveduto, ai sensi dell'art. 98, del d.P.R. n. 616, del 1977, a sottoscrivere una convenzione per l'esercizio delle funzioni amministrative regionali in materia di navigazione interna interregionale sul fiume Po ed idrovie collegate. In particolare, la regione Emilia-Romagna si era altresi' dotata di un'apposito strumento operativo: l'azienda regionale per la navigazione interna-Arni (istituita con legge regionale 14 genaio 1989, n. 1). Inoltre, l'irrazionalita' della scelta di ricondurre alla competenza del solo ministero dei trasporti le intere attribuzioni amministrative circa il sistema idroviario padano-veneto (superando l'assetto gia' disposto dal d.P.R. n. 616 del 1977) emerge dall'evidente implicazione di una pluralita' di interessi pubblici (territoriali, ambientali, etc.) sottesi alla realizzazione e gestione di un sistema idroviario cosi' complesso; e' evidente il rischio di un'inadeguata ponderazione e di un mancato coordinamento di detti interessi nelle scelte amministrative che, in concreto, saranno assunte. Proprio perche' una molteplicita' di tali interessi pubblici e' affidata istituzionalmente - per disposto costituzionale - alle cure della regione, si palesa una illegittima lesione della sfera di competenze ad essa riconosciute. Oltre alla lesione delle competenze in materia di "navigazione e porti lacuali", dall'art. 1 della legge n. 380, del 1990, deriva una lesione delle competenze in materia "urbanistica" e di "viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale" (in merito si ricorda che l'art. 88, primo comma, n. 3 de, d.P.R. n. 616 riserva allo Stato le sole funzioni relative alle "opere per le vie navigabili di prima classe", che sono identificate - nel vigente r.d. 11 luglio 1913, n. 959 esclusivamente in quelle relative ad "un prevalente interesse di difesa militare"); a cio' si aggiunga la lesione della sfera di attribuzioni regionali in tema di "tutela dell'ambiente dagli inquinamenti". Sotto altro riguardo, l'art. 1, secondo comma della legge n. 380 del 1990, non appare effettivamente espressivo di un interesse nazionale, nel senso che la disposizione in esso contenuta non sembra costituire strumento necessario e non incongruo al raggiungimento dello scopo di realizzazione e gestione del sistema indroviario di cui trattasi. Inoltre, valgono le seguenti considerazioni. L'articolo censurato procede ad una dichiarazione per legge del preminente interesse nazionale, obiettivo per il quale erano - tuttavia - gia' presenti nell'ordinamento apposite disposizioni: l'art. 27 della legge 11 marzo 1988, n. 67 prevede la possibilita' di dichiarare di preminente interesse nazionale, mediante d.P.C.M. su delibera del Consiglio dei Ministri, opere o programmi di opere del tipo che qui interessa; a tale dichiarazione consegue l'applicabilita' di una serie di norme acceleratorie intese a garantire la realizzazione sollecita ed incisiva degli interventi di cui trattasi. Se dunque, erano gia' presenti nella legislazione appositi strumenti di intervento amministrativo, la reale finalita' delle disposizioni qui censurate sembra piuttosto quella di sottrarre alla regione competenze ad essa gia' riconosciute in forza delle norme costituzionali. Del resto, codesta Corte ha autorevolmente precisato che "l'interesse nazionale, se non puo' essere brandito dal legislatore statale come un'arma per aprirsi qualsiasi varco, deve essere sottoposto, in sede di giudizio di costituzionalita', ad un controllo particolarmente severo. Se cosi' non fosse, la variabilita', se non la vaghezza, del suo contenuto semantico potrebbe tradursi, nei casi in cui il legislatore statale ne abusasse, in un'intollerabile incertezza ed in un'assoluta imprevedibilita' dei confini che la Costituzione ha voluto porre a garanzia delle autonomie regionali" (cosi' sent. 18 febbraio 1988, n. 177). Sull'art. 2. L'art. 2, primo comma, della legge n. 380 del 1990, prevede che, per la prima attuazione del sistema idroviario padano-veneto, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge, il Ministro dei trasporti definisca il tracciato della rete nonche' il relativo piano pluriennale di attuazione. Il Ministro deve provvedere sentito il Cipet-Comitato interministeriale per la programmazione dei trasporti ovvero, nelle more della costituzione di questo organo, il Comitato dei Ministri di cui all'art. 2 della legge concernente il piano generale dei trasporti 15 giugno 1984, n. 245 e di intesa con le regioni Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia e Veneto. Peraltro, qualora "entro novanta giorni non si raggiunga l'intesa con le regioni, il Ministro dei trasporti provvede, sentita la commissione parlamentare per le questioni regionali" (art. cit., primo comma, ultima parte). Quindi la legge, attribuendo un potere risolutivo al Ministro dei trasporti, sembra disporre nel senso dell'esaurimento del potere regionale di co-determinazione (intesa) allo spirare del termine prefissato di novanta giorni. Si tratta, chiaramente, di una norma accelaratoria avente l'obbiettivo di garantire la sollecita realizzazione del sistema idroviario; occorre pero' accertare se detta norma possa essere considerata non lesiva della sfera di competenze regionali anche e soprattutto in relazione al principio di leale cooperazione ed al rapporto di congruita' e di adeguatezza che deve sussistere tra il potere ricnosciuto all'autorita' statale nella materia astrattamente regionale e gli interessi da salvaguardare e soddisfare nella fattispecie realizzativa. Le suddette valutazioni devono essere effettuate tenendo in primaria evidenza quanto dispone il secondo comma del medesimo art. 2. Il legislatore, dopo aver stabilito - nel precedente comma - che, in caso di mancata intesa con le regioni entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge, il Ministro dei trasporti puo' comunque provvedere sentita la commissione parlamentare per le questioni regionali, riconosce al medesimo Ministro un ulteriore termine assai piu' lungo del precedente ("Il Ministro dei trasporti approva, con proprio decreto, il tracciato della rete che costituisce il sistema idroviario padano-veneto e il relativo piano pluriennale di attuazione entro 210 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge"). Si noti che l'oggetto delle determinazioni amministrative e' il medesimo sia nel primo comma dell'art. 2 (ove si assegna un termine di 90 giorni), sia nel secondo comma (ove si asegna un termine di 210 giorni, ulteriori 120 giorni rispetto al primo termine): si tratta della definizione o approvazione del "tracciato della rete che costituisce il sistema idroviario" e del relativo piano pluriennale di attuazione. Pertanto, le disposizioni censurate appaiono incostituzionali, arbitrarie ed irrazionali in violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, in particolare con riguardo al principio di leale cooperazione, in riferimento a tutte le disposizioni del d.P.R. n. 616, del 1977, citate nel (Paragrafo) 1 di questo ricorso. Si e' gia' osservato che la definizione di un insieme di interventi cosi' complesso quale il sistema idroviario padano-veneto, implica il coordinamento di una pluralita' di interessi pubblici, affidati alle cure di livelli istituzionali diversi ma di rilievo costituzionale. Ragione per cui, concorrendo una molteplicita' di esigenze eterogenee, riferibili appunto a soggetti che godono di autonomia costituzionalmente garantita, non si puo' prescindere dal modulo di raccordo rappresentato dall'intesa (cfr. sent. 15 novembre 1985, n. 286). Ed in effetti un'intesa e' contemplata nell'art. 2, primo comma, ma la previsione - soprattutto nel confronto tra tale comma ed il comma seguente - non appare idonea e rispettare effettivamente il principio di leale cooperazione. Anzitutto il termine assegnato alle regioni non appare ne' congruo ne' ragionevole, secondo i parametri acutamente delineati da parte di codesta autorevole Corte nella sentenza del 27 luglio 1989, n. 459. L'irragionevolezza emerge palesemente dal confronto tra i due riferiti termini enunciati nel primo comma e nel secondo comma del medesimo art. 2, posto che entro il secondo di detti termini (i 210 giorni, cioe' gli ulteriori 120 giorni rispetto al primo termine) non vi e' da compiere alcun ulteriore processo ponderativo degli interessi pubblici e privati sottesi nella vicenda realizzativa: si ribadisce che, anche se in un primo tempo si procede alla semplice "definizione" e solo successivamente alla denitiviva "approvazione", l'oggetto delle determinazioni amministrative e l'ambito contenutistico in relazione ai profili da considerare e' sempre il medesimo ("tracciato della rete" idroviaria e relativo "piano pluriennale di attuazione"). Ne deriva che i differenti termini a disposizione, rispettivamente, delle regioni e dell'autorita' statale sono squilibrati in danno del livello regionale senza ragionevoli giustificazioni: appare evidente che il procedimento di definizione del tracciato della rete idroviaria e del relativo piano di attuazione (primo comma) meriterebbe ben piu' ampio spazio della fase di approvazione (secondo comma) di un atto che ha evidentemente gia' superato lo stadio di determinazione del contenuto. Sotto altro riguardo, se il secondo comma in oggetto dovesse - invece - essere interpretato come attributivo di un potere al Ministro dei trasporti anche di modifica dei contenuti gia' eventualmente concordati con le regioni, permarrebbe (ed in termini ancora piu' gravi) l'incostituzionalita' della disposizione (in relazione alle medesime norme e principi sopra evidenziati). Codesta Corte ha avuto occasione di precisare che, quando un'intesa e' prevista nella fase di predispozione di un atto pianificatorio, eventuali modifiche nella successiva fase di approvazione non possono che sottostare ad una nuova intesa (cfr. ord. del 5 maggio 1988, n. 524). L'incostituzionalita' dell'art. 2, terzo comma della legge in esame si pone nella relazione tra questa disposizione ed i commi precedenti, nel seso che detto comma testimonia la pluralita' di interessi pubblici sottesi alle scelte di realizzazione, circostanza che imporrebbe l'individuazione di procedure amministrative di adozione del piano tali da garantire un effettivo coordinamento di detti interessi, facenti capo, prevalentemente, a materie o ambiti di competenza regionale. Si ripetono anche qui i motivi di censura sopra esposti. Sull'art. 3, sesto comma. L'art. 3, sesto comma della legge n. 380, del 1990, sottopone i progetti concernenti la realizzazione del sistema idroviario padano-veneto alla procedura di valutazione della compatibilita' ambientale ex art. 6 della legge istitutiva del Ministero dell'ambiente dell'8 luglio 1986, n. 349. Si tratta di una procedura a gestione centralistica nella quale la pronuncia sulla compatibilita' ambientale e' resa dal Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro dei beni culturali ed ambientali semplicemente "sentendo" (mero parere o partecipazione funzionale al procedimento) la regione interessata. Si osserva, dapprima, che i progetti potrebbero essere relativi anche ad opere di competenza regionale (come si evince dal rinvio che il comma censurato opera nei confronti dell'art. 6, della medesima legge n. 380). Invero la norma denunciata appare lesiva delle competenze regionali ex artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione, particolarmente, agli artt. 80, 81, 87 e 101 del d.P.R. n. 616, del 1977, (oltreche' all'art. 97 del medesimo decreto concernente la materia implicata in via principale dall'intervento legislativo in questione). Infatti, per i progetti di cui trattasi non sembra invocabile la ragione principale fatta valere da codesta ecc.ma Corte nella sentenza 28 maggio 1987, n. 210: queste opere (se non limitatamente alle vie navigabili e porti per la navigazione interna accessibili a battelli di stazza superiore a 1.350 t.) non sono elencate nell'allegato I (che indica i tipi di progetto da sottoporre obbligatoriamente a v.i.a.) della direttiva del Consiglio C.E.E. 27 giugno 1985, n. 85/337; dunque non sono invocabili gli obblighi comunitari la cui responsabilita' fa capo principalmente allo Stato. Ammenoche' la disposizione non sia interpretabile come meramente confermativa di quanto disposto dall'art. 6 della legge n. 349 del 1986 in relazione all'art. 1, primo comma, lett. h) del d.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377 che riproduce, sul punto, il contenuto del n. 8 del citato allegato I alla direttiva C.E.E. Peraltro, si osserva che le opere di cui trattasi dovranno, per lo piu', essere realizzate in zone sottoposte a vincolo di tutela paesaggistica: la legge 8 agosto 1985, n. 431 sottopone al vincolo di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497: "i territori contermini ai laghi compresi in una fascia di profondita' di 300 metri dalla linea di battigia" (art. 1, lett. b) ed "i fiumi, i torrenti e i corsi d'acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici... e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri "ciascuna" (art. 1, lett. c). Ebbene, per dette zone l'art. 6, quarto comma, della legge n. 349, del 1986 prevede che i progetti di opere siano sottoposti a pronuncia di comapatibilita' ambientale del Ministero dell'ambiente di concerto con quello dei beni culturali senza sentire la regione. Invero, in argomento, la sentenza n. 210 del 1987 poc'anzi citata ha precisato che la pronunica di compatibilita' ambientale ex art. 6 della legge istitutiva del Ministero dell'ambiente "e' fatta d'intesa" con le regioni, ma non e' chiaro se possa trattarsi di un passo decisionale con valenza interpretativa. Sull'art. 4, primo e terzo comma. La regione Emilia, Romagna, non contesta di per se' la norma che prefigura l'affidamento in concessione della costruzione e gestione del sistema idroviario padano-veneto. Peraltro, visto che il sistema di realizzazione e gestione delle opere a mezzo di concessionario comprende, normalmente, anche la progettazione delle opere stesse a cura di quest'ultimo, le disposizioni di cui all'art. 4, primo e terzo comma, non sembrano rispettose delle competenze regionali (di cui alle intere disposizioni citate nel (Paragrafo) 1 di questo ricorso). La concessione sara' assentita con decreto interministeriale senza neppure sentire le regioni. Ne' e' possibile obiettare che le regioni non possono concorrere all'assentimento della concessione ad un soggetto (societa' concessionaria) cui sono titolate a partecipare anche ai sensi del secondo comma, del medesimo art. 4; questo ragionamento - ammesso per assurdo che sia esatto - dovrebbe valere anche per lo Stato (la societa' "Idrovie" menzionata nel primo comma, e' certamente a partecipazione statale). In merito alle censure rivolte contro l'art. 4, primo e terzo comma, della legge in esame si ricorda che l'attivita' di progettazione delle opere pubbliche e' il momento tecnico-amministrativo esponenziale della definizione e della compatabilita' di tutti gli interessi pubblici che vengono in considerazione ai fini della costruzione dell'opera; il momento in cui dell'opera pubblica si manifesta la rappresentazione grafica e logica degli interessi che in essa confluiscono. E' pertanto evidente che la regione non puo' rimanere del tutto estranea alle procedure di assentimento della concessione di cui trattasi.