LA CORTE D'APPELLO
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nella causa civile in grado
 di appello  iscritta  al  n.  1275  del  ruolo  generale  contenzioso
 dell'anno  1988,  posta  in  decisione  all'udienza collegiale del 21
 settembre 1990 e vertente tra  C.M.P.  -  Compagnia  mediterranea  di
 prospezioni  S.p.a., in amministrazione straordinaria, in persona del
 commissario
 prof. Luigi Cappugi, elettivamente domiciliato in Roma, via Nizza, 45
 presso lo studio dell'avv. Alberto di Mauro,  che  la  rappresenta  e
 difende  unitamente  all'avv.  Michele Tamponi in virtu' di mandato a
 margine dell'atto di appello, appellante e Ministero del  tesoro,  in
 persona    del   Ministro   pro-tempore,   rappresentato   e   difeso
 dall'Avvocatura generale dello Stato, appellato.
                               F A T T O
    Con ricorso del 28 febbraio 1985 il Ministero del tesoro conveniva
 in giudizio davanti al  Tribunale  di  Roma  la  societa'  C.M.P.  in
 amministrazione    straordinaria   per   ottenere   l'ammissione   in
 prededuzione al passivo della societa' dell'importo di L. 826.092.692
 oltre  interessi  maturati e maturandi colcolati al tasso "prime rate
 ABI", avanzando analoghe richieste per importi differenti  con  altri
 sette  ricorsi.  A fondamento della domanda il Ministero deduceva che
 con decreto ministeriale 29 maggio 1980 la societa' era  stata  posta
 in  amministrazione  straordinaria  ed autorizzata alla continuazione
 dell'esercizio dell'impresa;
     che  in  forza dell'art. 2- bis della legge 3 aprile 1979, n. 95,
 il Ministero del tesoro con decreto 13 giugno 1981 aveva accordato la
 garanzia dello Stato sulle linee di credito concesse alla societa' da
 vari istituti di credito alle condizioni  e  modalita'  previste  dai
 decreti  ministeriali  19  giugno  1979 e 7 febbraio 1980 su conformi
 delibere C.I.P.I.;
      che  a  seguito  dell'inadempienza  della  societa' debitrice lo
 Stato  aveva  soddisfatto  gli  istituti  di  credito  per  le  somme
 finanziate e che, quindi, per effetto della surrogazione al creditore
 il Ministero era legittimato ad agire in regresso nei confronti della
 societa'   in   amministrazione  straordinaria  per  il  recupero  in
 prededuzione del capitale e degli interessi secondo i tassi  previsti
 dai decreti ministeriali del 1979 e del 1980.
    Il   tribunale  di  Roma,  sulla  contestazione  della  costituita
 societa', con sentenza del 26 marzo 1987 accoglieva  la  domanda  del
 Ministero e compensava le spese.
    Avverso  la  predetta  sentenza ha proposto appello la societa' in
 amministrazione straordinaria, ribadendo la  stessa  linea  difensiva
 sostenuta  in primo grado, e cioe': a) la garanzia prevista dall'art.
 2- bis della legge 3 aprile 1979, n. 95 (c.d. legge Prodi)  non  puo'
 essere  assimilata  ad  una garanzia fideiussoria; b) in ogni caso il
 credito garantito non  puo'  essere  annoverato  tra  quelli  di  cui
 all'art.  111,  n.  1  legge  fallimentare,  cioe'  tra  i crediti in
 prededuzione; c) nell'ipotesi in cui dovesse ritenersi che si  tratti
 di  garanzia fideiussoria con diritto di regresso in prededuzione, la
 norma citata sarebbe viziata  di  illegittimita'  costituzionale  per
 contrasto con gli artt. 3, 23, 24, 43 e 47 della Costituzione.
    Resiste  il  Ministero  del  tesoro  che  chiede la conferma della
 sentenza.
                             D I R I T T O
    Questa  Corte  osserva  che  il  dato  testuale della norma di cui
 all'art.  2-  bis  della  legge  e  della  collegata   normativa   di
 attuazione,  costituita  dai  decreti ministeriali 19 giugno 1979 e 7
 febbraio 1980, potrebbe indurre ad interpretare la garanzia  prevista
 dall'articolo  in  esame  come  garanzia fideiussoria con conseguente
 ipotizzabilita'  della  surrogazione  dello   Stato-fideiussore   nei
 diritti  del  creditore  principale  (istituti  di  credito che hanno
 concesso i finanziamenti richiesti dal commissario  straordinario)  e
 dell'esercizio  dell'azione  di regresso nei confronti della societa'
 posta in amministrazione straordinaria.  Considerato,  poi,  che  con
 l'instaurazione  della  procedura di amministrazione straordinaria da
 parte del Ministro del tesoro  e'  prevista  anche  la  continuazione
 dell'esercizio  dell'impresa,  e  che  i  finanziamenti  sono diretti
 appunto a consentire tale continuazione nell'ambito del programma  di
 risanamento     predisposto     dal     commissario    straordinario,
 l'interpretazione della normativa potrebbe portare  alla  conclusione
 piu' attendibile che i debiti contratti a seguito dell'erogazione dei
 finanziamenti siano debiti di massa, come tali prededucibili.
    E'    chiara    allora    la    rilevanza   delle   eccezioni   di
 incostituzionalita' prospettate sotto diversi  profili  dalla  difesa
 della  societa'  per preteso contrasto del citato art. 2- bis con gli
 artt. 3, 23, 24, 43 e 47 della Costituzione.
    Questa  Corte  deve,  quindi,  farsi carico di verificare se ed in
 quali  limiti   la   questione   di   incostituzionalita'   non   sia
 manifestamente  infondata,  sulla  premessa  che  la  stessa sentenza
 impugnata e vari interventi  dottrinali  in  subiecta  materia  hanno
 avanzato  critiche  de  iure condendo sul complesso sistema normativo
 della legge Prodi con riferimento appunto all'art. 2-bis, per effetto
 del quale il legislatore con la previsione del diritto di regresso in
 prededuzione  finisce  per  far  ricadere  l'intero   rischio   della
 continuazione dell'impresa sui creditori pregressi.
    Si  e' detto che la legge in esame trova la sua ratio nell'intento
 del legislatore di tentare il salvataggio  delle  grandi  imprese  in
 crisi   a   salvaguardia   dei   cicli   produttivi   e  dei  livelli
 occupazionali; e' stato pero' osservato che l'interesse pubblico  cui
 si  e'  ispirato il legislatore finisce, nel sistema della legge, per
 comprimere e sacrificare del tutto l'interesse privato dei  creditori
 anteriori,  i  quali  non avrebbero alcun potere decisionale circa la
 scelta della procedura  di  amministrazione  straordinaria  in  luogo
 della  dichiarazione  di  fallimento  e,  quindi,  sarebbero privi di
 tutela.
    Quest'ultimo  profilo  investe  l'eccezione di incostituzionalita'
 con riguardo all'art. 24 della Costituzione, ma ritiene questa  Corte
 che   da   questo  punto  di  vista  l'eccezione  sia  manifestamente
 infondata.   Indubbiamente   l'instaurazione   della   procedura   di
 amministrazione   straordinaria   con  tutti  gli  effetti  collegati
 (finanziamenti  per  consentire   la   continuazione   dell'esercizio
 dell'impresa  e  prestazione  della garanzia da parte dello Stato per
 facilitare o rendere possibile il finanziamento) prescinde del  tutto
 dalla  partecipazione  all'iniziativa dei creditori pregressi, ma non
 e' esatto che questi siano del tutto privi di tutela. Infatti, contro
 la  sentenza  che  dichiara  l'impresa  soggetta  ad  amministrazione
 straordinaria essi possono fare opposizione anche  per  sostenere  la
 necessita'  del fallimento, come si ricava dall'art. 4 della legge n.
 95 del 1979 che al secondo comma richiama le  disposizioni  dell'art.
 195 legge fallimentare.
    Potrebbe    accadere    che    le   valutazioni   della   pubblica
 amministrazione sulla scelta della procedura di a.s. siano  errate  o
 non   sorrette  da  adeguata  ponderazione  circa  l'opportunita'  di
 mantenere in vita  imprese,  apparentemente  insanabili  e  prive  di
 qualsiasi  prospettiva  di  ripresa.  Ma  anche  in  tali  ipotesi  i
 creditori non sono sforniti di tutela, in quanto  contro  il  decreto
 ministeriale   che   dispone   l'amministrazione   straordinaria   e'
 sicuramente   riconosciuta   la    legittimazione    dei    creditori
 all'impugnativa   dell'atto  amministrativo  davanti  alla  giustizia
 amministrativa per eccesso di potere.
    Una  piu' approfondita disamina merita l'eccezione sollevata dalla
 societa' con riguardo all'art. 3 della Costituzione.
    Sostiene  l'appellante  che l'art. 2- bis sarebbe in contrasto con
 l'art. 3 della  Costituzione  sia  perche'  la  partecipazione  dello
 Stato,   in   qualita'  di  creditore-fideiussore,  al  concorso  dei
 creditori verrebbe a ledere gli interessi di questi ultimi chiamati a
 ripartire  l'attivo  residuo  con  un  nuovo creditore, sia perche' i
 creditori dell'a.s. verrebbero  a  subire  un  trattamento  deteriore
 rispetto  a  quello  riservato  ai  creditori  nelle  altre procedure
 concorsuali.
    Si  ritiene  che,  cosi' impostata, la questione e' manifestamente
 infondata. Non va trascurato che la legge  Prodi,  e  in  particolare
 l'art.  2- bis che costituisce la norma cardine del sistema in quanto
 rende possibile l'attuazione  concreta  delle  finalita'  perseguite,
 trova la sua ragione d'essere nell'interesse pubblico al mantenimento
 in vita delle imprese a tutela dei cicli produttivi ed a salvaguardia
 dei  livelli  occupazionali.  Di  conseguenza, non puo' ritenersi che
 sussista violazione del principio  di  eguaglianza  per  il  semplice
 fatto  che  i  creditori  dell'a.s.  vengono  a torvarsi in posizione
 deteriore rispetto ai creditori delle  altre  procedure  concorsuali,
 dal   momento  che  la  differenza  di  trattamento  e'  razionale  e
 giustificata dalla sussistenza dell'interesse pubblico al salvataggio
 delle  grandi  imprese  in  crisi. Ne' la violazione dell'art. 3 puo'
 essere ravvisata solo ed esclusivamente in base  alla  considerazione
 che,  con  l'ipotizzare  l'azione  di regresso, i creditori anteriori
 sono costretti a ripartire l'attivo con un nuovo  creditore  (appunto
 lo  Stato  fideiussore).  Qui  ancora  una  volta  vale  il  richiamo
 dell'interesse pubblico  come  giustificativo  dell'iniziativa  dello
 Stato,  mentre non appare incompatibile con la Costituzione la scelta
 operata dal legislatore di strutturare il ricorso al credito in forma
 di  finanziamento  indiretto  anziche'  in  forma di sovvenzione o di
 contributo.  Infatti,  la  mera  previsione  della  possibilita'   di
 esperire  l'azione  di regresso non altera in maniera rimarchevole ed
 iniqua l'equilibrio tra l'interesse pubblico  e  l'interesse  privato
 dei  creditori  anteriori, anche perche' il tentativo dello Stato non
 e' detto che debba fallire per forza e - inoltre - in astratto  viene
 operato  anche  nell'interesse  dei  creditori,  i  quali  potrebbero
 giovarsi della ripresa dell'attivita'  produttiva  dell'impresa.  Non
 sarebbe,  percio', esatto ritenere illegittima l'azione di regresso e
 far  cadere  del  tutto  sulla   collettivita'   il   rischio   della
 continuazione   dell'attivita',   che   puo'   portare  cosi'  ad  un
 aggravamento del passivo come al risanamento dell'impresa.
    Ritiene,  invece,  questa Corte che, laddove i crediti dello Stato
 siano ritenuti prededucibili (come dovrebbe dedursi  per  le  ragioni
 sopra  esposte), l'equilibrato bilanciamento tra l'interesse pubblico
 e quello  privato  viene  stravolto  ingiustificatamente  perche'  lo
 Stato-fideiussore,  nel  momento liquidatorio e satisfattivo, si pone
 in una posizione di totale privilegio facendo cosi' cadere del  tutto
 sui privati il rischio dell'operazione.
    L'irrazionalita'  e'  ancora  piu'  evidente se si considera da un
 lato che il tentativo di salvare le imprese in crisi e' voluto  dallo
 Stato, e dall'altro che i creditori anteriori sono del tutto estranei
 all'iniziativa.
    Con   questo   sistema   il   contemperamento  dei  due  interessi
 confliggenti non viene garantito dal legislatore,  sembrando  percio'
 violato  il  principio  di  uguaglianza  per  la mancata esclusione -
 nell'art. 2 bis della legge n. 95 del 1979 -  della  prededucibilita'
 dei  crediti  garantiti  e  soddisfatti dallo Stato e, poi, richiesti
 alla societa'  in  amministrazione  straordinaria  con  l'esperimento
 dell'azione di regresso. E difatti, configurando i debiti conseguenti
 al mancato pagamento dei finanziamenti come debiti di massa ai  sensi
 dell'art.  111,  n.  1 legge fallimentare, il legislatore finisce per
 riservare un trattamento identico a  situazioni  diverse.  Invero,  i
 debiti  di  massa  di cui al n. 1 dell'art. 111 sono quelli contratti
 per  la  continuazione   dell'esercizio   dell'impresa   voluta   dai
 creditori,  i  quali divengono arbitri e compartecipi del rischio del
 cattivo esito dell'obiettivo di  risanamento;  i  debiti  conseguenti
 alla   procedura   di   a.s.  sono  contratti  per  la  continuazione
 dell'esercizio  dell'impresa,  continuazione  che  viene  imposta  ai
 creditori  pregressi a seguito dell'iniziativa dello Stato alla quale
 i creditori stessi restano completamente estranei.
    La  discrasia  che  si  viene a creare e' veramente notevole se si
 rileva inoltre che nel caso di esercizio provvisorio dell'impresa del
 fallito  il legislatore prevede nell'art. 90 della legge fallimentare
 che, dopo l'emissione del decreto di cui  all'art.  97  della  stessa
 legge,  il comitato dei creditori deve pronunciarsi sull'opportunita'
 di continuare o  di  riprendere  in  tutto  o  in  parte  l'esercizio
 dell'impresa del fallito, indicandone le condizioni. Ed il parere che
 il comitato pronuncia e' vincolante nel  senso  che  solo  un  parere
 favorevole  puo'  far  disporre  dal  tribunale la continuazione o la
 ripresa  dell'esercizio  dell'impresa.   Infine   la   importanza   e
 peculiarita'  dell'interpello  del comitato dei creditori e' tale che
 si tratta dell'unico caso previsto dalla legge fallimentare di parere
 vincolante dei creditori.
    Sempre  al  fine  di rilevare la discrasia determinata dall'art. 2
 bis  della  c.d.  legge  Prodi  per  la  mancata   esclusione   della
 prededucibilita'  dei  crediti garantiti, successivamente soddisfatti
 dallo  Stato  e  poi  richiesti  alla  societa'  in   amministrazione
 straordinaria,  non  puo'  non  osservarsi che nel caso di ammissione
 dell'imprenditore  ricorrente  alla  amministrazione  controllata  e'
 necessario  anche  un  interpello  preventivo  dei creditori, i quali
 finiscono attraverso la loro maggioranza per  pronunciare  un  parere
 sulla  possibilita'  di risanamento dell'impresa, ma tenendo presente
 in prospettiva il soddisfacimento dei propri crediti.
    Manifestamente infondate sono le altre eccezioni prospettate sotto
 il profilo della violazione degli artt. 23 e  43  Cost.,  perche'  ai
 creditori   anteriori   non   viene   imposta   nessuna   prestazione
 patrimoniale diretta per il tentativo di salvataggio, ed in ogni caso
 l'imposizione  deriverebbe  dalla  legge;  ne' sembra che si versi in
 materia di espropriazione senza indennizzo della societa'  in  crisi.
 Con  adeguata  motivazione  il  tribunale  ha  escluso  la violazione
 dell'art. 47 Cost., osservando che le precise condizioni e  modalita'
 per  la  prestazione  della garanzia statale salvaguardano, non certo
 mortificano, le esigenze di  disciplina,  coordinamento  e  controllo
 dell'esercizio del credito.
    In  definitiva si ritiene rilevante per il giudizio in corso e non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art. 2 bis della legge n. 95 del 1979, nella parte in cui non e'
 esclusa la prededucibilita' dei crediti garantiti dallo Stato e fatti
 valere  nei confronti della societa' in amministrazione straordinaria
 con  l'azione  di  regresso,  per  violazione   dell'art.   3   della
 Costituzione.
    Va,  pertanto,  sospeso  il  giudizio  in  corso  ed  ordinata  la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
    La cancelleria dovra' procedere alle comunicazioni di rito.