IL TRIBUNALE
    Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza  sulle  questioni  di
 legittimita' costituzionale sollevata dalla  difesa  dell'imputato  e
 dal p.m.
    Il  collegio  giudicante  e'  chiamato  a  decidere in ordine alla
 responsabilita'  penale  della  Morrica  per  il  reato  indicato  in
 epigrafe:  appare,  pertanto,  evidente  la  rilevanza  di  qualsiasi
 questione  di  legittimita'  costituzionale  che  involga  la   norma
 incriminatrice da applicare.
    Non   si   ignora   di   aver   gia'  sollevato  la  questione  di
 costituzionalita' della norma citata anche in relazione  ai  medesimi
 profili  in  questo processo; ma va ritenuto che cio' non implichi la
 inammissibilita' della reiterazione alla luce  della  sentenza  della
 suprema  Corte di cassazione e Sezioni Unite depositata il 23 ottobre
 1990 sul tema.
    Ed  invero,  poiche' e' da ritenersi nel nostro ordinamento che le
 sezioni unite della Cassazione siano massima espressione del "diritto
 vivente"  cui  spesso  la Corte costituzionale si riferisce nelle sue
 decisioni,  non  pare  dubbio  che  nella  visione  moderna   e   non
 formalistica  del  diritto  cui  sempre  piu' la Corte costituzionale
 mostra di ispirarsi nella sua funzione, debba ritenersi  ammissibile,
 in  quanto  consono  ai principi generali d'equita' e di certezza del
 diritto, la riproposizione della questione di costituzionalita' anche
 nel  medesimo  procedimento  ove  si  debba  riconoscere  che il dato
 normativo gia' esaminato della Corte  costituzionale  sia  stato  dal
 punto   di   vista   sostanziale   modificato   dalla  giurisprudenza
 successiva.
    Esaminando  il  merito,  va ritenuto tutt'altro che manifestamente
 infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 4, primo comma,
 n. 7 della legge n. 516/1982 nella parte in cui prevede come elemento
 costitutivo del reato de quo l'alterazione in  misura  rilevante  del
 risultato  della  dichiarazione  con  riferimento  agli  artt. 3, 25,
 secondo comma, 101, secondo comma, e da 70 a 82 della Costituzione.
    E'  utile  e per cosi' dire maieutico nella notevole incertezza in
 cui deve esercitarsi la funzione  giurisdizionale,  essere  tacitiano
 nell'illustrare la motivazione a sostegno della questione.
    La  Corte  costituzionale con la sentenza n. 247/1989, ha ritenuto
 infondata la questione  di  costituzionalita'  della  fattispecie  di
 reato  suindicata  in  relazione  all'art.  25,  secondo  comma della
 Costituzione, ritenendo individuata la fattispecie criminosa nei suoi
 elementi  costitutivi  e mera condizione di punibilita' dell'illecito
 la "rilevanza" dell'alterazione.
    Le  sezioni unite della cassazione, invece, con la sentenza del 23
 ottobre 1990, interpretando la norma incriminatrice de quo,  come  e'
 noto, individuano non solo la mera alterazione, ma anche la rilevanza
 di essa tra gli elementi  costitutivi  del  reato  (basti  un  passo:
 "perche'   si   consumi   il   reato  non  e'  certo  sufficiente  la
 presentazione di una infedele dichiarazione,  ma  e'  necessario  che
 l'oggetto  della  dissimulazione  e  della  simulazione sia idoneo ad
 alterare  ed  in  misura  rilevante,  il  risultato  effettivo  della
 dichiarazione".
    Il  diritto  vivente  -  giustamente  o  meno,  non interessa - ha
 negato, quindi, il presupposto logico  e  soprattutto  giuridico  sul
 quale si e' fondata la precedente sentenza di rigetto.
    Ritiene,  pertanto,  il  collegio  che  la  Corte  investita debba
 pronunziarsi sulla questione ed all'uopo far rilevare che:
      1)  lo  stesso contrasto interpretativo a cosi' sommi livelli e'
 significativo  e   clamoroso   indice   dell'indeterminatezza   della
 fattispecie,   con  violazione  dell'art.  25,  secondo  comma  della
 Costituzione;
      2)  l'indeterminatezza  della  norma  e'  lesiva  alla  luce dei
 parametri giurisprudenziali elaborati (cui si e' riferita  la  stessa
 Corte  costituzionale  in  precedenza),  in  ordine  alla  rilevanza,
 dell'art. 3 della Costituzione; ed invero, vi e' il concreto  rischio
 che  alla luce di tali parametri sia ritenuto responsabile penalmente
 a parita' di sottrazione di imposte colui  che  ha  minore  capacita'
 contributiva;
      3)    l'indeterminatezza   della   norma   viola   il   precetto
 costituzionale secondo il quale i giudici sono soggetti soltanto alla
 legge;   tale  precetto,  come  dimostrano  anche  le  ormai  perenni
 discussioni  in  ordine   al   modo   di   esercitare   la   funzione
 giurisdizionale  implica  che  a  difesa dell'ordinamento la norma da
 applicare abbia un minimo di parametri  essenziali  tali  da  potersi
 qualificare  come  norma  e  non  come  delega  in bianco, perche' la
 soggezione  alla  legge  oltre  che  garanzia  dell'indipendenza  del
 giudice  e'  anche  garanzia che quest'ultimi esercitino una funzione
 giurisdizionale e non legislativa delegata;
      4)  discende  da  tale  ultimo profilo anche la violazione degli
 artt. da 70 a 82 della Costituzione.