IL PRETORE
    Ha  Pronunciato  la seguente ordinanza nell'udienza dibattimentale
 del 28 novembre 1990 relativa al proc. pen.  n.  308/1990  r.g.  dib.
 pretura di Perugia a carico di Aprile Ettore e Sparanide Giampaolo.
                           RILEVATO IN FATTO
    Con  decreti  ritualmente  notificati  rispettivamente  in data 13
 settembre 1990 e 11  ottobre  1990  il  p.m.  in  sede  disponeva  la
 citazione  innanzi  a  questo pretore per l'odierna udienza di Aprile
 Ettore e Sparanide Giampaolo, imputati del reato di  cui  agli  artt.
 81,  110, 476, 482, 491, 61, n. 7 del c.p. commesso in Perugia dal 17
 giugno 1983 al luglio 1989; nella  fase  degli  atti  preliminari  al
 dibattimento, costituitosi ritualmente p.c. il presidente della cassa
 edile  della  provincia  di  Perugia,  Lana  Raimondo,  gli  imputati
 avanzavano  richiesta di applicazione della pena ai sensi degli artt.
 444 e 563, quarto comma del c.p.p.  (quantificando  la  pena,  previo
 riconoscimento  delle attenuanti generiche da dichiararsi equivalenti
 alla contestata aggravante e considerando la continuazione nonche' la
 riduzione  ex artt. 444 del c.p.p., in mesi nove di reclusione per lo
 Sparanide e mesi dodici per l'Aprile)  e  subordinando  la  richiesta
 alla  concessione  della sospensione condizionale della pena. Il p.m.
 prestava consenso.
    Non  ritiene questo giudicante che il reato ascritto agli imputati
 possa, in via preliminare, essere dichiarato estinto per effetto  del
 decreto  del  Presidente  della Repubblica n. 75/1990, come richiesto
 dalla difesa, ne' di altri precedenti provvedimenti di  clemenza.  Va
 rilevato  in  proposito, in primo luogo, che la contestata aggravante
 e' applicabile ad ogni delitto che comunque offenda il  patrimonio  e
 quindi  anche  a  quello  de  quo  (cosi' Cassazione sezioni unite, 9
 luglio  1960  in  giur.  pen.  61,  II,  p.  193)  che,  pur   avendo
 un'oggettivita'  giuridica  diversa dai diritti patrimoniali annovera
 fra gli elementi costitutivi del fatto  tipico  una  lesione  per  il
 patrimonio   altrui   quale   conseguenza  diretta  e  non  meramente
 accidentale.
    E   comunque  l'aggravante  in  esame  sussiste  in  ogni  delitto
 determinato, come nella specie, da motivo di lucro (terza ipotesi  di
 cui  all'art.  61,  n.  7  del  c.p.) che abbia prodotto alla persona
 offesa un danno patrimoniale di rilevante gravita' (nel caso in esame
 il danno ammonta a L. 851.883.922).
    Ne'   vi   e'  prova  in  atti  della  possibilita'  di  escludere
 l'aggravante con riferimento ai singoli episodi criminosi.
    Cio'  premesso  ai  sensi  dell'art.  4, primo comma, lett. c) del
 decreto del Presidente della Repubblica n. 75/1990 il reato in  esame
 deve  ritenersi  escluso  dal recente provvedimento di amnistia (pena
 edittale massima per il reato contestato anni quattro  aumentata  per
 effetto dell'art. 61, n. 7, del c.p.).
                          RITENUTO IN DIRITTO
                                   I
    Questo  pretore,  a  seguito  della  richiesta di "patteggiamento"
 avanzata nella fase degli  atti  preliminari  al  dibattimento  dagli
 imputati  e  sulla  quale il p.m. ha prestato il proprio consenso, si
 trova a dover applicare al presente giudizio la norma di cui all'art.
 563, quarto comma, del c.p.p.
    Tale  disposizione,  se  da  un  lato  individua  nel  pretore del
 dibattimento l'organo giurisdizionale competente sulla  richiesta  di
 applicazione  della pena "patteggiata" presentata oltre il termine di
 cui all'art. 555, primo comma,  lett.  e),  del  c.p.p.  (costituendo
 cosi'  il  fondamento  della  legittimazione  di  questo giudice alla
 decisione sulla domanda avanzata dall'imputato, con il  consenso  del
 p.m., in questa sede), dall'altro viene per se' sola a consentire che
 l'imputato, come nel caso che  occupa,  chieda  l'applicazione  della
 pena  ai  sensi  dell'art.  444  del c.p.p. anche dopo lo spirare del
 termine cui si e' test'e' fatto riferimento.
   In  altre parole sembra corretta la ricostruzione sistematica delle
 norme relative al giudizio pretorile in base alla quale,  ove  l'art.
 563,  quarto  comma,  del c.p.p. venisse espunto dalla disciplina del
 codice di rito, il termine di quindici giorni dalla notificazione del
 decreto  di  citazione al giudizio stabilito per il deposito da parte
 dell'imputato della richiesta di patteggiamento presso l'ufficio  del
 pubblico  ministero  dell'art.  555,  primo comma, lett. e), dovrebbe
 considerarsi perentorio.
    A  questa  conclusione  si  perviene  se solo si consideri che nel
 progetto  preliminare  del  codice  di  procedura  penale,   la   cui
 disciplina  e' stata peraltro quasi integralmente recepita, salvo che
 per aspetti  di  carattere  eminentemente  ordinamentale,  dal  testo
 definitivo  del  codice,  non esisteva norma analoga all'attuale art.
 563, quarto comma, del c.p.p. La commissione  redigente  il  progetto
 spiega   al  riguardo  nella  relazione  ad  esso  allegata  che  "la
 disposizione relativa all'applicazione della pena su richiesta, opera
 un  invio  integrale  alla  disciplina  prevista  per questa forma di
 giudizio abbreviato per i reati di  competenza  del  tribunale  (art.
 556)"  e che, "in ossequio al principio della massima semplificazione
 imposta dalla delega, si e' pero' stabilito che la richiesta di  pena
 a  norma dell'art. 439 deve essere presentata nel termine di quindici
 giorni dalla notifica del  decreto  di  citazione  (art.  548,  primo
 comma,  lett.  e)"  (cosi',  testualmente,  in  suppl. ord. n. 2 alla
 Gazzetta Ufficiale n. 250 del 24 ottobre 1988, pag. 123).
    E  proprio  la  perentorieta'  di questo termine, corrispondente a
 quello di cui all'art. 555, primo comma,  lett.  e),  del  c.p.p.,  a
 costituire "la ragione per cui il termine dilatorio tra la data della
 notifica e la data del dibattimento e' piu' lungo rispetto  a  quello
 del   procedimento   davanti  al  tribunale:  si  deve  infatti  dare
 all'imputato  il  tempo  di  presentare  la  richiesta  di   giudizio
 abbreviato ovvero di applicazione della pena su richiesta, e solo ove
 risulti che entro il termine di quindici  giorni  l'imputato  non  ha
 presentato  tale  richiesta, il pubblico ministero provvedera' a fare
 eseguire la notifica del decreto  alle  altre  parti,  a  formare  il
 fascicolo  per il dibattimento e a trasmetterlo al pretore unitamente
 al  decreto  di  citazione"  (cosi',   testualmente,   chiarisce   il
 complessivo   inquadramento   sistematico   della   "struttura"   del
 patteggiamento in pretura, la relazione al  progetto  preliminare  in
 Gazzetta Ufficiale cit. pag. 123).
    Ora,  poiche'  la  disciplina  del  patteggiamento  stabilita  dal
 progetto  preliminare  per  il  giudizio  pretorile  e'  stata,   con
 l'eccezione  delle  modifiche  apportate  con  l'attuale art. 563 del
 c.p.p. all'art. 556 del progetto,  praticamente  trasfusa  nel  testo
 definitivo  del  codice,  sembra  indubitabile  che, in assenza della
 norma   impugnata,   la   richiesta   di   patteggiamento    avanzata
 dall'imputato  in  questa  sede  dovrebbe  considerarsi inammissibile
 perche' tardiva.
    Che  se poi la norma di cui all'art. 563, quarto comma, del c.p.p.
 dovesse al contrario ritenersi meramente esplicativa della disciplina
 comunque  applicabile  al  patteggiamento  in  Pretura  in virtu' del
 richiamo operato dagli artt. 549  e  563,  primo  comma,  del  c.p.p.
 all'art.  446, primo comma, del c.p.p., sarebbe il combinato disposto
 di queste ultime norme, nella parte in cui consente all'imputato pure
 nel  giudizio pretorile di presentare la richiesta di applicazione di
 pena "patteggiata" dopo la scadenza del termine di cui all'art.  555,
 primo  comma,  lett.  e),  del  c.p.p.  e  fino alla dichiarazione di
 apertura del dibattimento, ad essere  suscettibile  di  applicazione,
 unitamente  all'art.  563,  quarto  comma,  del  c.p.p., nel presente
 giudizio.
    In  ipotesi,  anche  a  tali  norme  dovrebbe  ritenersi estesa la
 questione  di  costituzionalita'  che  si  cerchera'  di  seguito  di
 motivare in punto di fondatezza.
                                  I I
    Sembra  a  questo  pretore  che  la  norma  di cui al quarto comma
 dell'art. 563 del c.p.p., e, in ipotesi, per quanto sopra motivato in
 punto  di  rilevanza,  il  combinato  disposto degli artt. 446, primo
 comma, 549, 563, primo comma, del c.p.p., consentendo all'imputato di
 formulare  la richiesta di applicazione della pena ai sensi dell'art.
 444 del c.p.p. anche dopo la scadenza del termine previsto  dall'art.
 555, primo comma, lett. e), del c.p.p. e stabilendo la competenza del
 pretore su tale richiesta, si ponga in contrasto con il dettato degli
 artt.  76  e  25,  primo  comma,  della Costituzione. Di seguito, per
 ragioni  di  pratica  stesura  della  presente  ordinanza,  si  fara'
 esclusivo   riferimento  all'art.  563,  quarto  comma,  del  c.p.p.,
 dovendosi peraltro ritenere esteso anche al combinato disposto  degli
 artt.   446,   primo  comma,  549,  563,  primo  comma,  del  c.p.p.,
 nell'ipotesi di cui al precedente punto I, quanto si verra' dicendo a
 proposito della prima norma.
                                 I I I
    In  primo  luogo  la norma de qua sembra porsi in contrasto con il
 principio di "massima semplificazione" sancito  per  il  procedimento
 pretorile dall'art. 2, n. 103, della legge 16 febbraio 1987, n. 81.
    Al  riguardo  si sottolinea in via preliminare che, poiche' l'art.
 2, n. 1, della legge delega stabilisce, come parametro  generale,  la
 "massima   semplificazione   nello   svolgimento   del  processo  con
 eliminazione di ogni atto od attivita' non essenziale", il  principio
 di  "massima  semplificazione"  sancito nella direttiva n. 103 per il
 procedimento pretorile si traduce nella necessita'  di  un  ulteriore
 snellimento   e  semplificazione  degli  istituti  e  dei  meccanismi
 previsti per i procedimenti dinanzi al tribunale.
    In questo quadro anche il richiamo fatto dalla direttiva n. 103 ai
 "principi generali di cui ai numeri precedenti" va  inteso  non  come
 meccanica   e  necessaria  ricezione,  nell'ambito  del  procedimento
 pretorile, degli istituti disciplinati per  il  processo  dinanzi  al
 tribunale,  bensi'  come riferimento ai principi ispiratori di quegli
 istituti, suscettibili di ulteriore semplificazione (in questo  senso
 anche  la  relazione  al progetto preliminare del codice di procedura
 penale nonche' quella al testo definitivo del medesimo codice).
    Alla  luce di quanto precede, dunque, la direttiva di cui all'art.
 2, n. 45, della legge n. 81/1987, la quale  prevede  la  possibilita'
 per  le parti di richiedere l'applicazione di pena "patteggiata" fino
 all'apertura del dibattimento, non  costituisce  un  limite  assoluto
 alla   discrezionalita'   del  legislatore  delegato  in  materia  di
 procedimento  pretorile.  Al  contrario  la  struttura   stessa   del
 procedimento  davanti  al pretore rende necessitata, in ossequio alle
 disposizioni  della  legge  delega,  una  ulteriore   semplificazione
 dell'istituto   del   cosi'   detto  "patteggiamento"  rispetto  alla
 disciplina  per  esso  istituto  prevista  nel  giudizio  dinanzi  al
 tribunale.  Invero,  mentre  nel procedimento davanti al tribunale e'
 giustificabile la previsione  di  un  termine  per  la  richiesta  di
 applicazione  della  pena  ex  art.  444  del  c.p.p. coincidente con
 l'apertura  del  dibattimento,   poiche'   nel   corso   dell'udienza
 preliminare  e fino al provvedimento che la conclude e' possibile, ed
 anzi in qualche modo naturale, l'acquisizione di  atti,  documenti  e
 cose  (artt.  416,  secondo  comma,  419, secondo e terzo comma, 421,
 terzo comma, 422,  primo  comma,  del  c.p.p.)  nonche'  l'escussione
 dell'indagato, di testi, consulenti tecnici, ecc. (artt. 421, secondo
 comma, 422, primo, secondo e terzo comma, del c.p.p.), e comunque  e'
 privista  una  progressione  del giudizio, anche attraverso eventuali
 modifiche dell'accusa  (art.  423  del  c.p.p.),  fatti  processuali,
 questi,  legittimamente suscettibili di determinare la volonta' delle
 parti del procedimento  in  ordine  ad  un  esito  patteggiato  dello
 stesso,  al  contrario  nel  processo  in  pretura,  stante l'assenza
 dell'udienza  preliminare  e  la  cristallizzazione  dell'accusa  nel
 decreto   di   citazione   almeno   fino  all'inizio  dell'istruzione
 dibattimentale, appare del tutto incongruo rispetto alla esigenza  di
 massima  semplificazione  imposta  dalla  delega  far  progredire  il
 procedimento fino alle soglie del dibattimento per poi dare  ingresso
 ad  un rito alternativo la cui definizione si basa su atti, documenti
 e cose gia' acquisiti  al  fascicolo  processuale  al  momento  della
 citazione a giudizio.
    L'unico  effetto pratico della possibilita', concessa all'imputato
 dalla norma censurata, di chiedere il cosidetto "patteggiamento"  nei
 termini  previsti  dall'art. 446, primo comma, del c.p.p. anziche' in
 quelli piu' ristretti di cui all'art. 555, primo comma, lett. e), del
 c.p.p.  e'  infatti  quello  di  rendere necessario l'espletamento ad
 opera del p.m., delle parti private e del pretore di tutta una  serie
 di   onerosi   incombenti   per   propria   natura  finalizzati  alla
 celebrazione del dibattimento (quali, ad esempio, la  formazione  del
 fascicolo  per  il  dibattimento,  la  sua  trasmissione  al  pretore
 unitamente al  decreto  di  citazione,  la  citazione  della  persona
 offesa,  la  presentazione delle liste testimoniali, l'autorizzazione
 del pretore alla citazione dei testi, l'esame del  fascicolo  per  il
 dibattimento ad opera delle parti private diverse dall'imputato e dei
 loro difensori, la citazione e la presentazione di testi,  consulenti
 tecnici,  ecc. per il dibattimento, la determinazione della data e la
 formazione dei ruoli di udienza per il dibattimento - artt. 558, 466,
 468  del c.p.p., 160 delle disp. att. del c.p.p., 20 reg. del c.p.p.)
 e  purtuttavia  suscettibili  di  essere  posti  nel  nulla  da   una
 successiva,  ancorche'  tempestiva  ai  sensi  dell'art.  563, quarto
 comma, del c.p.p.,  richiesta  di  pena  avanzata  dall'imputato  col
 consenso del p.m.
    Tutto  cio' determina una palese violazione della legge delega con
 particolare  riferimento  al  gia'  citato   principio   di   massima
 semplificazione  stabilito per il procedimento pretorile dall'art. 2,
 nn. 1 e 103 della legge n. 81/1987. Violazione ed eccesso  di  delega
 tanto  piu'  evidente  se  si  considera  che  la stessa relazione al
 progetto prelimiare del codice di procedura penale prevede  che  tale
 "massima   semplificazione   del   processo   pretorile  deve  essere
 conseguita attraverso la scelta di fondo di potenziare al massimo gli
 sbocchi  diversi  al  dibattimento,  trasformando la relativa fase da
 situazione ordinaria... in  evenienza  eccezionale,  o  quanto  meno,
 residuale".  E'  evidente  infatti  che  sancire  la residualita' del
 dibattimento e al contempo imporre anche per  una  ipotesi,  prevista
 come  ordinaria  e  quindi di piu' frequente applicazione pratica, di
 definizione anticipata del processo, l'esecuzione  di  attivita'  del
 tutto  ininfluenti al fine della celebrazione del giudizio secondo il
 rito di cui agli artt. 444 e segg. del c.p.p., introduce senza  alcun
 corrispettivo  beneficio  un pesante aggravio di quella procedura che
 la legge delega vuole, al contrario, snella e semplificata.
    Senza  contare  che l'attuale disciplina consente in fatto, se non
 in diritto, alle parti  di  reiterare,  anche  di  fronte  ad  organi
 giudicanti  diversi  (g.i.p. e pretore del dibattimento), la medesima
 richiesta ex art. 444 del c.p.p. Il pretore del dibattimento,  ed  e'
 evenienza  che  la  presenza di rappresentanti del p.m. non togati in
 udienza rende tutt'altro che teorica, non e' infatti posto  in  grado
 di  conoscere,  attraverso il semplice esame del fascicolo formato ai
 sensi  dell'art.  431  del  c.p.p.,  l'eventuale  esistenza  di   una
 precedente, anche identica, richiesta delle parti presentata entro il
 termine di cui all'art. 555, primo comma,  lett.  e),  del  c.p.p.  e
 rigettata   dal  g.i.p.  per  qualsivoglia  motivo.  Anche  a  questo
 riguardo, dunque, delle due  l'una:  o  il  legislatore  delegato  ha
 inteso  costruire  un  improprio  appello  davanti  al  pretore della
 decisione gia' adottata  dal  g.i.p.,  appello  che,  si  ripete,  e'
 fondato  sullo  stesso  materiale probatorio gia' esaminato dal primo
 giudice, ovvero ha quanto meno omesso di prevedere che il p.m. presso
 la  pretura  formi  il  fascicolo per il dibattimento ex art. 558 del
 c.p.p. inserendovi non solo quanto disposto dall'art. 431 del  c.p.p.
 ma anche gli atti relativi al procedimento di applicazione della pena
 su richiesta delle parti che si fosse in ipotesi gia' svolto  davanti
 al   g.i.p.  La  negazione  del  gia'  citato  principio  di  massima
 semplificazione indotta da entrambe  le  ipotesi  risulta  del  tutto
 evidente. Se poi si ritenesse conforme al citato criterio la norma di
 cui  all'art.  563,   quarto   comma,   del   c.p.p.,   si   porrebbe
 automaticamente  in  contrasto col medesimo criterio, e quindi con la
 legge delega, l'art. 555, terzo comma,  del  c.p.p.  che  prevede  un
 termine  dilatorio  non  inferiore  a  quarantacinque  giorni  tra la
 notifica del decreto di citazione a giudizio e  la  celebrazione  del
 dibattimento.  Termine,  come  si  e'  gia'  notato,  piu' che doppio
 rispetto a quello corrispondente del giudizio di tribunale  e  quindi
 comportante   un  allungamento,  anziche'  una  semplificazione,  del
 procedimento pretorile giustificabile solo con la  perentorieta'  del
 termine di cui all'art. 555, primo comma, lett.  e), del c.p.p. (cfr.
 al riguardo quanto gia' esposto  in  punto  di  rilevanza).  Cio'  si
 espone  perche',  lungi  dal  voler  sollevare  in  questa  sede  una
 questione di costituzionalita' degli artt. 431 e  555,  terzo  comma,
 del  c.p.p., per la quale difetterebbe tra l'altro il requisito della
 rilevanza,  si  intende   in   definitiva   sostenere   che   l'unica
 ricostruzione  sistematica  della  disciplina del "patteggiamento" in
 pretura corrispondente ai principi imposti dalla delega e' quella che
 presuppone  l'abrogazione dal testo del codice di procedura penale di
 quel vero e  proprio  corpo  estraneo  rappresentato  dall'art.  563,
 quarto  comma,  del  c.p.p.  (ed,  in ipotesi, dal combinato disposto
 delle norme citate in punto di rilevanza, nel senso ivi precisato).
                                  I V
    Il    meccanismo   previsto   dalla   norma   censurata   consente
 sostanzialmente all'imputato, mediante la semplice opzione sui  tempi
 della  presentazione  della  richiesta di applicazione della pena, la
 scelta vuoi del giudice-organo (g.i.p.-pretore), vuoi in  definitiva,
 specie  negli  organi  unipersonali  di pretura, che costituiscono la
 maggior parte di  quelli  presenti  nel  territorio  (si  pensi  alle
 innumerevoli   sezioni   g.i.p.   o  sezioni  distaccate  di  pretura
 circondariale  costituite  da  un  solo  magistrato),  dello   stesso
 giudice-persona  fisica  competente  a conoscere di quell'istanza. Ne
 consegue un palese contrasto  col  principio  del  "giudice  naturale
 precostituito"  di  cui all'art. 25, primo comma, della Costituzione,
 come  elaborato  e  ritenuto   dalla   giurisprudenza   della   Corte
 costituzionale.  Occorre  al  riguardo  solo  sottolineare  come tale
 vulnus al suddetto principio appaia ancor  piu'  evidente  a  seguito
 della  sentenza della Corte costituzionale n. 313 del 26 giugno 1990,
 con la quale la Corte ha ampliato  in  modo  decisivo  i  poteri  del
 giudice  nell'esame della congruita' della pena proposta dalle parti.