ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi sull'ammissibilita', ai sensi dell'art. 2, primo comma,
della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, delle richieste
di referendum popolare per l'abrogazione delle seguenti norme:
1) legge 6 febbraio 1948, n. 29 (Norme per la elezione del Senato
della Repubblica), e successive modificazioni ed integrazioni,
limitatamente alle parti seguenti: art. 9, primo comma, limitatamente
alle parole <>; secondo comma,
limitatamente alle parole <> nel primo periodo nonche' alle
parole <> nell'ultimo periodo; terzo comma, limitatamente
alle parole <>; art. 17, secondo comma: <>; terzo comma:
<>; quarto comma: <>; art. 18, primo comma, limitatamente alle
parole <>; art. 19, primo comma, limitatamente alle parole <>; secondo comma,
limitatamente alle parole <> nonche' alle
parole <>; terzo comma, limitatamente alle
parole <>; settimo comma,
limitatamente alla parola <>; ultimo comma, limitatamente
alle parole <> nonche' alla parola <>;
2) decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361
(Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la
elezione della Camera dei deputati), limitatamente alle parti
seguenti: art. 4, terzo comma, limitatamente alle parole
<>; art. 58, secondo comma,
limitatamente alle parole <>; art. 59, secondo comma, limitatamente alle parole
<>;
art. 60, primo comma, limitatamente alle parole <> e limitatamente alle parole <>; sesto comma: <>; settimo comma: <>; ottavo comma, limitatamente alle parole <> e limitatamente alle parole <>; art. 61; art. 68, primo comma, punto 1),
limitatamente alle parole <> e limitatamente alle parole <>;
art. 76, primo comma, n. 1) limitatamente alla parola <<61>>;
3) decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570
(Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli
organi delle Amministrazioni comunali), e successive modificazioni
ed integrazioni, limitatamente alle parti seguenti: art. 11, primo
comma, limitatamente alle parole <>; art. 12; art. 27, secondo comma,
limitatamente alle parole <<-per i Comuni con popolazione
fino a 10.000 abitanti -e C e D -per i Comuni con popolazione
superiore ai 10.000 abitanti->>; intestazione della Sezione II del
Capo IV del Titolo II, limitatamente alle parole <>; intestazione della Sezione III
del Capo IV del Titolo II: <>; art. 32; art.
33; art. 34; art. 35; art. 47, primo comma, limitatamente alle parole
<>; art. 49, secondo comma,
limitatamente alle parole <<(e anche chiusa nei Comuni con oltre
10.000 abitanti)>>; art. 51, secondo comma, n. 3, limitatamente alle
parole <> e n. 4, limitatamente alle parole <>; intestazione della Sezione II
del Capo V del Titolo II, limitatamente alle parole <>; art. 55, primo comma,
limitatamente alle parole <<, in qualunque lista siano compresi,>> e
quarto comma: <>;
intestazione della Sezione III del Capo V del Titolo II
<>; art. 56; art. 57; art.
58; art. 60, primo comma, limitatamente alle parole <> nonche alle parole <> e secondo comma,
limitatamente alle parole <>; intestazione della Sezione II del Capo VI del Titolo II,
limitatamente alle parole <>;
intestazione della Sezione III del Capo VI del Titolo II
<>;
art. 68; art. 69; art. 70; art. 71; art. 72; art. 73; art. 74; art.
75, primo comma, limitatamente alle parole <>; intestazione
della Sezione II del Capo VII del Titolo II limitatamente alle parole
<>; intestazione
della Sezione III del Capo VII del Titolo II <>; art. 79; art. 80; art. 81.
Viste le due ordinanze del 15 novembre 1990 e l'ordinanza del 29
novembre 1990, con le quali l'Ufficio centrale per il referendum
presso la Corte di cassazione ha, rispettivamente, dichiarato
legittime le tre predette richieste;
udito nella camera di consiglio del 16 gennaio 1991 il Giudice
relatore Giovanni Conso;
uditi gli avv. Paolo Barile, Massimo Severo Giannini e Valerio
Onida per i Comitati promotori e l'avv. Giorgio Azzariti, Avvocato
generale dello Stato, per il Governo.
Ritenuto in fatto
1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la
Corte di cassazione in applicazione della legge 25 maggio 1970,
n. 352, e successive modificazioni, ha esaminato tre richieste di
referendum popolare.
La prima richiesta, presentata il 1 febbraio 1990 da Augusto
Barbera, Antonio Baslini, Willer Bordon ed altri dieci cittadini
elettori, concerne l'abrogazione della legge 6 febbraio 1948,
n. 29 (Norme per la elezione del Senato della Repubblica), e
successive modificazioni ed integrazioni, <>.
La seconda richiesta, presentata l'8 febbraio 1990 da Augusto
Barbera, Willer Bordon, Aldo De Matteo, Alberto Michelini, Cesare
San Mauro e Mariotto Segni, concerne l'abrogazione del decreto del
Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del
testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera
dei deputati), <>.
2. - Con ordinanza in data 15 novembre 1990, l'Ufficio
centrale per il referendum, verificata la regolarita' delle prime
due richieste abrogative, le ha dichiarate legittime; con ordinanza
in data del 29 novembre 1990, ha dichiarato legittima anche la terza
richiesta, previa puntualizzazione del correlativo quesito, con
l'aggiunta, dopo la parola <> (di cui al primo periodo)
della seguente dizione:
<>.
3. - Ricevuta la comunicazione delle ordinanze dell'Ufficio
centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 16 gen-
naio 1991 per le conseguenti deliberazioni, dandone regolare comu-
nicazione.
4. - In ciascuno dei tre giudizi, l'Avvocatura dello Stato,
avvalendosi della facolta' prevista dall'art. 33, terzo comma, della
legge 25 maggio 1970, n. 352, ha depositato, il 10 gennaio 1991,
altrettante memorie, di analogo contenuto, con le quali si eccepisce
l'inammissibilita' delle richieste referendarie, per plurimi motivi,
sostanzialmente riconducibili a tre profili fondamentali: non
includibilita' delle leggi elettorali tra quelle suscettibili
di abrogazione referendaria; natura surrettiziamente propositiva, e
non meramente abrogativa, degli odierni referendum; mancanza di
omogeneita' dei correlativi quesiti.
Altre memorie sono state depositate il 12 gennaio 1991 dai Comi-
tati promotori dei tre referendum, che in esse diffusamente
replicano a tutte le avverse eccezioni di inammissibilita'.
Una memoria e' stata, infine, depositata, anche dal <>, nella veste di
soggetto <>.
5. - Ad integrazione del contraddittorio, nella camera di
consiglio del 16 gennaio 1991, sono stati uditi, per i promotori
dei referendum, gli avvocati Massimo Severo Giannini, Paolo
Barile e Valerio Onida e, per il Presidente del Consiglio dei
ministri, l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti.
Considerato in diritto
1.- Poiche' le tre richieste di referendum popolare - concernenti,
rispettivamente, l'abrogazione parziale della legge 6 febbraio 1948,
n. 29 (Norme per la elezione del Senato della Repubblica), <>, L'abrogazione parziale del
decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361
(Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la
elezione della Camera dei deputati), e l'abrogazione parziale del
decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo
unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi
delle Amministrazioni comunali), <>-hanno per oggetto materie analoghe, i relativi giudizi
possono venire riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
2. -Preliminarmente, deve dirsi irricevibile la memoria prodotta
in ordine ai tre giudizi dal <>.
Come questa Corte ha avuto occasione di sottolineare fin dalla prima
sentenza in materia referendaria (la n. 10 del 1972; v. anche, per un
analogo profilo, sentenza n. 28 del 1987), del resto puntualmente
richiamata nella stessa memoria ora in discussione, il terzo comma
dell'art. 33 della legge 25 maggio 1970, n. 352, prevede che
<> soltanto <>.
E' proprio il tenore letterale della norma a dimostrare chiaramente,
con l'indicazione specifica di quanti <>, l'intento di circoscrivere a tali soggetti l'esercizio
della facolta' ivi contemplata,il tutto secondo una ben comprensibile
ratio: <>, come <>, ed
<>, quale <>,
valgono ad assicurare, sotto il profilo in esame, <>.
La richiesta di estendere il contraddittorio ad altri cointeressati
all'esito della vicenda referendaria trova insuperabili ostacoli
nella stessa complessiva strutturazione del procedimento
referendario, caratterizzato da precise scansioni temporali, e nella
conseguente esigenza che pure la fase del controllo di ammissibilita'
si mantenga in stretta successione cronologica con le fasi che la
precedono e le fasi che la seguono, restando contenuta entro rigorosi
limiti di tempo, che rischierebbero di venire superati per effetto di
un diffuso ed indiscriminato accesso di soggetti, i quali potrebbero,
poi, chiedere di esporre anche oralmente le proprie ragioni.
Ad escludere che l'indicazione <> nel
testo dell'art. 33 della legge n. 352 del 1970 sia meramente
esemplificativa, concorre pure il raffronto con l'art. 32, quinto
comma, della stessa legge n. 352 del 1970, il quale, nel disciplinare
la ben diversa fase destinata alla verifica di eventuali irregolarita
della richiesta referendaria da parte dell'Ufficio centrale
costituito presso la Corte di cassazione, specificamente conferisce
ai <> la facolta di presentare deduzioni per iscritto.
3. - In senso contrario ammissibilita' delle tre presenti richieste
referendarie viene, anzitutto, addotta la particolare natura del loro
rispettivo oggetto, attinenti come esse sono a leggi elettorali: piu'
ragioni porterebbero ad escludere tali leggi dall'ambito di quelle
suscettibili di abrogazione referendaria.
Cio, in primo luogo perche', in forza di un emendamento aggiuntivo
approvato dall'Assemblea costituente nella seduta pomeridiana del 16
ottobre 1947 e non riprodotto per omissione nel testo finale
dell'art. 75 della Costituzione, le leggi elettorali sarebbero, in
realta, da considerare ricomprese fra quelle nei riguardi delle quali
il secondo comma di tale articolo non ammette il referendum. Inoltre,
perche' allo stesso risultato si dovrebbe, comunque, pervenire <>; facendo leva, per un verso, sul
parallelo instaurabile con le materie oggetto dell'art. 72, quarto
comma, della Costituzione stessa e, per altro verso, sulla
ravvisabilita' di una <>. La tesi dell'eccezione implicita troverebbe riscontro
nell'inammissibilita' della <>, dichiarata
dalla sentenza n. 29 del 1987 di questa Corte muovendo dalla
considerazione che <> e traendo la
conseguenza che <>.
3.1.-Qualsiasi ricostruzione delle vicende subite dall'emendamento
volto ad includere <> tra quelle espressamente
sottratte dalla Costituzione alla possibilita' di abrogazione per via
referendaria, come pure qualsiasi supposizione circa le sorti di tale
emendamento o qualsiasi discussione in ordine alla portata dei poteri
del Comitato di redazione, non consente, a parte l'innegabile
interesse storico-istituzionale, di condividere la prima ragione di
inammissibilita' prospettata. A questa Corte non e' dato, infatti, di
riscrivere alcun punto del testo della Carta costituzionale, quale
sancito dalla votazione finale del 27 dicembre 1947. La Costituzione
vale per cio' che risulta scritto in quel testo, promulgato dal Capo
provvisorio dello Stato e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
L' Avvocatura dello Stato vorrebbe rivendicare a questa Corte un
sindacato sugli interna corporis dell'Assemblea costituente sulla
base di non pochi precedenti (sentenze n. 9 del 1959, n. 68 del 1978,
n. 152 del 1982, n. 292 del 1984; v. anche sentenza n. 3 del 1957)
relativi agli interna corporis del Parlamento, ma tali precedenti,
allo stesso modo della dottrina espressasi nel senso dell'inidoneita
della votazione finale a superare eventuali vizi riscontrabili
all'interno del procedimento legislativo, valgono, appunto, con
riferimento all'approvazione delle leggi ordinarie. L'approvazione
finale della Carta costituzionale si ricollega, invece, all'esercizio
di un potere del tutto speciale, come e' quello costituente.
3.2. -Altrettanto inidonea allo scopo si appalesa l'argomentazione
diretta a ricavare l'implicita esclusione dall'ambito referendario
delle leggi elettorali per via di interpretazione sistematica,
attraverso il raffronto del dettato dell'art. 75, secondo comma, con
il dettato dell'art. 72, quarto comma, della Costituzione. La tesi
muove dalla constatazione che quest'ultimo, allo stesso modo
dell'altro, eccettua dalla disciplina, che il comma immediatamente
precedente delinea in via generale, talune materie considerate
meritevoli di particolare protezione, a tal fine affiancando i
disegni di legge concernenti la materia elettorale ai disegni di
legge concernenti altre materie, di poi espressamente contemplate
anche nel secondo comma dell'art. 75: l'esigenza di un'armonizzazione
delle rispettive eccezioni in nome della simiglianza di ratio
dovrebbe condurre a ritenere implicitamente ricompresa nella
previsione derogatoria del secondo comma dell'art. 75 la categoria
esplicitata soltanto nel quarto comma dell'art. 72.
Pur non potendosi disconoscere che alla base di tutte le deroghe cosi
poste a confronto si ritrovino sempre l'importanza e la delicatezza
delle materie rispettivamente contemplate, ben diversa e la portata
delle due norme, riguardando la prima l'iter di formazione della
legge, in vista di una piu ampia partecipazione al dibattito
parlamentare, e la seconda la non sottoponibilita' alla particolare
vicenda abrogativa legata al referendum. Senza contare che, leggi
elettorali a parte, pure per altri versi manca la prospettata
corrispondenza di ordine letterale: nell'art. 75, secondo comma, a
differenza dell'art. 72, quarto comma, non figurano le leggi di
delegazione legislativa, mentre nell'art. 72 non figurano le leggi in
materia tributaria, di amnistia e di indulto.
3.3.-Ne' inammissibilita' per ragioni di materia delle tre presenti
richieste di referendum puo' farsi automaticamente discendere dalla
sentenza n. 29 del 1987 di questa Corte, in quanto reiettiva della
richiesta di referendum per l'abrogazione degli artt. 25, 26 e 27
della legge n. 195 del 1958, recante <>. Un'interpretazione di tale
sentenza nel senso che essa precluderebbe ogni iniziativa
referendaria avente per oggetto una legge elettorale, andrebbe al di
la degli effettivi contenuti e significati della sentenza stessa.
Muovendo dall'indiscutibile premessa che, alla stregua delle
categorie via via enucleate e puntualizzate dalla giurisprudenza di
questa Corte, le leggi elettorali relative alla composizione ed al
funzionamento di organi costituzionali o aventi rilevanza
costituzionale sono da ricondurre fra le leggi <> e non tra le leggi <>, la sentenza n. 29 del 1987 e' pervenuta ad una
conclusione di inammissibilita' non in forza di una generale
esclusione della materia elettorale, ma in forza di altre <>: l'<>, lesiva della <>, e
l'<>, messa in
crisi nel caso di specie dalla richiesta di sottoporre al voto
popolare il <> concernenti la
componente togata del Consiglio superiore della magistratura, organo
la cui composizione elettiva e' espressamente prevista dalla
Costituzione. Mentre, cioe', per un verso,la pura e semplice proposta
di cancellazione era di per se' non <>
data <>, per altro verso, L'abrogazione dell'<> delle
norme elettorali sarebbe stata causa inevitabile della sottrazione
all'organo elettivo della base necessaria per salvaguardarne la
<> ed evitare di esporlo <>.
4.-A questo punto, il discorso si sposta sulla possibilita' di
sottoporre a referendum l'abrogazione parziale di leggi elettorali.
Due le ragioni particolari di inammissibilita' che sono state
prospettate nei confronti delle tre richieste referendarie in esame:
con la prima si contesta il risultato non meramente ablativo
perseguito da ciascuna, con la seconda la struttura formale del
relativo quesito, troppo spesso coinvolgente soltanto singole parole
o frammenti di per se' privi di contenuto dispositivo, cosi da non
potersi considerare <> della legge soggetta a referendum.
4.1.-L'addebito di tendere ad un risultato non meramente ablativo,
dando in tal modo vita ad un referendum propositivo, non previsto,
perche' volutamente escluso, dalla Carta costituzionale, si traduce
nella constatazione che gli attuali quesiti referendari non si
limiterebbero a perseguire, attraverso l'eliminazione di parti piu' o
meno cospicue del testo legislativo, L'abrogazione parziale di tale
testo, ma mirerebbero anche a sostituire la disciplina stabilita dal
legislatore con un'altra, diversa,voluta dal corpo elettorale. E cio'
in quanto la disciplina a quella subentrante non si porrebbe come una
conseguenza necessitata, automaticamente ricavabile per via analogica
o in forza dei principi generali dell'ordinamento, bensi' come il
frutto di una scelta, tra due o piu alternative possibili, in pari
tempo sottoposta al corpo elettorale.
A neutralizzare l'addebito, volto a dimostrare inammissibilita' di
tutt'e tre le proposte, non basta sicuramente, come vorrebbero i
difensori dei Comitati promotori, la troppo generica asserzione
secondo cui-dovendo i referendum abrogativi essere congegnati in
termini tali da non paralizzare il funzionamento di alcun organo
rappresentativo-qualunque modificazione della normativa vigente
idonea a consentire il raggiungimento di quel fine sarebbe da
ritenere di per se' ammissibile,occorrendo, invece, che la situazione
derivante dalla caducazione della normativa oggetto del quesito
rappresenti un epilogo linearmente conseguenziale.
Vi e', comunque, un'altra esigenza che occorre pur sempre
rispettare: ed e' l'esigenza insita nell'imprescindibile portata
che questa Corte attribuisce alla chiarezza,univocita' ed omogeneita'
del quesito (v., in ultimo, sentenze n. 63, n. 64, n. 65 del 1990).
La stessa esigenza va tenuta presente anche per quanto concerne
l'addebito mosso alla struttura formale del quesito. Come in piu' di
un'occasione (sentenze n. 27 del 1981 e n. 28 del 1987) questa Corte
ha sottolineato, la chiarezza, univocita' ed omogeneita' del quesito
referendario rischierebbe di venire pregiudicata dalla mancata
inclusione di porzioni normative anche brevissime,allorche' queste-di
per se' destinate a perdere ogni ragione di sopravvivenza eventualita
di un'abrogazione delle parti espressamente indicate nel
quesito-potrebbero, con il loro mantenimento formale durante il
vaglio referendario, suscitare dubbi sull'effettivo intento dei
promotori. Ancora una volta, e' la chiarezza dell'intera operazione
referendaria, cui univocita' ed omogeneita' sono direttamente
funzionali, a porsi quale termine di riferimento.
4.2.-Intesa come <> da sottoporre
agli elettori (sentenza n. 28 del 1981), nel rispetto della
fondamentale esigenza che sia loro garantita l'espressione di un voto
consapevole (v., in ultimo, sentenze n. 63, n. 64, n. 65 del 1990),
la chiarezza del quesito comporta, in negativo (sentenza n. 16 del
1978), l'inammissibilita' del quesito <>.
Ad evitare il determinarsi di cosi insuperabili inconvenienti, il
quesito referendario deve incorporare l'evidenza del fine intrinseco
all'atto abrogativo, cioe' la puntuale ratio che lo ispira (sentenza
n. 29 del 1987), nel senso che dalle norme proposte per l'abrogazione
sia dato trarre con evidenza <>
(sentenze n. 16 del 1978; n. 25 del 1981), <> o <> (sentenze n. 22, n. 26, n. 28 del 1981; n. 63, n.
64, n. 65 del 1990) e, qualora si tratti dell'abrogazione di una
legge elettorale relativa alla composizione ed al funzionamento di un
organo costituzionale o di rilevanza costituzionale, una parallela
lineare evidenza delle conseguenze abrogative, anch'essa
indispensabile perche' la proposta di cancellazione non esponga un
tale organo <> (sentenza n. 29 del 1987).
Univocita' ed omogeneita' del quesito si presentano come funzionali
all'imprescindibile chiarezza dell'operazione referendaria, venendole
a conferire, rispettivamente,chiarezza nella finalita' unidirezionale
e chiarezza nella struttura del quesito.
Naturalmente, l'analisi volta a verificare in concreto se il
quesito sia chiaro, univoco ed omogeneo non puo' che essere
condotta singolarmente richiesta per richiesta.
5.- Passando cosi' dal generale al particolare, la prima richiesta
da analizzare, nel rispetto dell'ordine di presentazione,
e' quella che investe la legge 6 febbraio 1948, n. 29, e successive
modificazioni ed integrazioni, recante <>, in varie parti (riguardanti,
complessivamente, dodici commi) degli artt. 9, 17, 18 e 19.
In sintesi, con il referendum in questione, si persegue
l'abrogazione delle norme che prevedono: a) la possibilita' per i
candidati di presentarsi in piu' di un collegio senatoriale
nell'ambito della stessa Regione; b) l'elezione in ogni collegio del
candidato che abbia ottenuto un numero di voti validi non inferiore
al 65% dei votanti e la relativa proclamazione da parte dell'Ufficio
elettorale circoscrizionale dei candidati che hanno conseguito detto
quorum ; c) la proclamazione, da parte dell'Ufficio elettorale
regionale, del candidato che abbia ottenuto, nel collegio, la
maggioranza semplice dei voti validi solamente se questo collegio
risulti l'unico, tra quelli inclusi nella Regione, in cui nessun
candidato abbia conseguito il quorum del 65%.
A prescindere dal non preciso, troppo generico, richiamo alle
<> della legge in questione
e, per ora, anche dall'eterogeneita' di un quesito con cui si
chiederebbe all'elettore di perseguire congiuntamente due obiettivi
non necessariamente coincidenti, come quelli sub b) e sub c) (ben
potrebbe volersi l'abrogazione del quorum dei voti validi non
inferiori al 65% e non pure il passaggio al sistema maggioritario
semplice), si deve rilevare che, essendo il numero dei seggi
assegnati al Senato (pari a 315) superiore di 77 unita' al numero dei
collegi uninominali istituiti nelle diverse Regioni (pari a 238), la
disciplina risultante dall'eventuale esito positivo del referendum
dovrebbe, in ogni caso, consentire la copertura sia dei 238 seggi
distribuiti nei vari collegi uninominali sia dei residui 77 seggi
distribuiti tra le diverse Regioni in eccedenza rispetto al numero
dei collegi previsti.
Secondo le intenzioni dei proponenti - esplicitamente richiamate
nelle memorie presentate dai loro difensori - tale risultato sarebbe
realizzabile, sulla scorta della normativa derivante
dall'accoglimento della proposta referendaria, attraverso i seguenti
passaggi: a) proclamazione da parte dell'Ufficio elettorale regionale
dei candidati che hanno ottenuto nei 238 collegi uninominali la
maggioranza relativa dei voti; b) successiva attribuzione dei residui
77 seggi assegnati alle diverse Regioni secondo il metodo
proporzionale attualmente in vigore (c.d. metodo d'Hondt).
Sempre secondo le intenzioni dei promotori, l'approvazione della
proposta referendaria condurrebbe, pertanto, a trasformare il sistema
maggioritario, attualmente previsto come ipotesi residuale (art. 19,
ottavo ed ultimo comma), in regola fondamentale per l'assegnazione
dei 238 seggi nei collegi, mentre il sistema proporzionale, ora
regolato come criterio ordinario per l'assegnazione di tutti i seggi
indipendentemente dalla loro collocazione collegiale (art. 19, dal
primo al settimo comma), diventerebbe semplicemente un criterio
residuale, riservato ai soli 77 seggi da assegnare fuori dei collegi.
In altre parole, il sistema elettorale del Senato - che, attualmente,
per la difficolta' di conseguire l'alto quorum del 65%, opera di
fatto come sistema proporzionale - si tradurrebbe in un sistema
prevalentemente maggioritario, stante la possibilita' di eleggere i
singoli senatori nei vari collegi a maggioranza semplice, mentre
l'attuale sistema proporzionale resterebbe in vita soltanto per la
copertura dei seggi eccedenti il numero dei collegi previsti in ogni
regione.
Senonche', il significato del quesito, valutato sia nella sua
formulazione sia alla luce della disciplina che verrebbe a residuare
nel caso di esito positivo del referendum, si presenta all'elettore
in termini non univoci e, conseguentemente, non caratterizzati dalla
dovuta chiarezza.
Quanto all'aspetto concernente la formulazione del quesito, non
puo' non sottolinearsi come la richiesta di abrogazione dell'art. 17,
secondo comma, si riveli disomogenea rispetto alla richiesta di
abrogazione della parte iniziale dell'art. 19, ultimo comma. Mentre,
infatti, con la prima richiesta si tende a sopprimere il sistema
uninominale di fatto eccezionalmente operante, essendo necessario il
quorum del 65% dei votanti ai fini della proclamazione del candidato
eletto, con la seconda richiesta si tende a cancellare
dall'ordinamento la norma che prevede l'ipotesi nella quale in uno
solo dei collegi non sia stato raggiunto il detto quorum: il che
equivarrebbe a richiedere una completa abrogazione del sistema
uninominale, senza che venga a delinearsi una diversa alternativa
alla stregua delle ulteriori richieste. Anzi, la richiesta diretta
all'abrogazione parziale dell'art. 19, terzo comma, renderebbe
inoperante l'unica via percorribile nel caso di mancato
raggiungimento, da parte di uno o piu' candidati, del quorum
previsto.
Incongruente risulta, altresi', il fatto che, a se'guito
dell'abrogazione dell'art. 17, terzo comma, e della prima parte
dell'ultimo comma dell'art. 19, a proclamare i candidati eletti nel
collegio dovrebbe essere il presidente dell'Ufficio elettorale
regionale in luogo del presidente dell'Ufficio elettorale
circoscrizionale.
La mancanza di chiarezza del quesito trova piena conferma
nell'esame della normativa di risulta. Nessun elemento, ne' logico
ne' sistematico, desumibile da tale normativa puo', infatti, condurre
a limitare con certezza l'operativita' del sistema proporzionale,
descritto nei primi sette commi dell'art. 19, alla sola ipotesi
residuale dei seggi non assegnati nei collegi, ed a riferire, invece,
il sistema maggioritario, previsto dall'ultimo comma dello stesso
articolo, all'ipotesi ordinaria di assegnazione dei seggi nei
collegi. A contrastare la lettura prospettata dai proponenti
concorrono, da un lato, la formulazione del quarto comma dell'art.
19, dove si prevede un criterio generale di assegnazione dei seggi,
che prescinde da ogni distinzione tra seggi da assegnare in collegio
e fuori collegio; dall'altro, la considerazione dell'impianto
sistematico della legge n. 29 del 1948, che tenderebbe pur sempre ad
individuare come nota dominante, anche ad abrogazione avvenuta, il
sistema proporzionale.
Due i profili che vanno considerati in proposito. Il primo attiene
al procedimento di presentazione delle candidature descritto negli
artt. 9, 10 e 13 della legge, dove si parla di presentazione <>: tale procedimento, stabilito come regola generale per
tutte le candidature, presuppone l'adozione di un metodo naturalmente
connesso alla tecnica di scrutinio nel sistema proporzionale,
regolata dai primi sette commi dell'art. 19 e fondata sulla
determinazione della cifra elettorale di gruppo. Il secondo profilo
riguarda, invece, la sequenza temporale delle operazioni relative
all'assegnazione dei seggi, cosi' come disciplinata nell'art. 19: una
sequenza che, avendo inizio <> l'Ufficio elettorale
regionale risulti in possesso dei verbali trasmessi dagli uffici
circoscrizionali, si sviluppa attraverso la determinazione della
cifra elettorale di gruppo e della cifra individuale. Il che avvalora
l'ipotesi interpretativa secondo cui il criterio ordinario di
assegnazione dei seggi resterebbe quello descritto nei primi sette
commi dell'art. 19, mentre l'ultimo comma di tale articolo sarebbe
destinato a regolare una fattispecie piu' circoscritta, anche se di
incerto significato. Neppure la formula residuale del terzo comma
dell'art. 19 offre un argomento decisivo per giustificare la
necessita' di inversione nell'ordine temporale delle operazioni di
scrutinio, dal momento che lo stesso art. 19, letto nel suo
complesso, non consente di stabilire con sufficiente certezza ne' che
la proclamazione contemplata nell'ultimo comma, per quanto collocata
a conclusione del procedimento, debba comunque precedere le
operazioni descritte nei commi antecedenti, ne' che tale
proclamazione debba in ogni caso riguardare tutti i collegi della
Regione.
In relazione a quest'ultimo profilo, infatti, viene osservato che
all'interpretazione della disciplina residuale prospettata dai
promotori del referendum sarebbero contrapponibili altre
interpretazioni, come quella alla cui stregua la proclamazione
contemplata nell'ultimo comma dell'art. 19 potrebbe anche essere
riferita non a tutti i candidati vincitori nei diversi collegi della
Regione, ma al solo candidato che abbia ricevuto su base regionale il
piu' alto numero di suffragi: interpretazione che potrebbe trovare
appoggio sia nel dato letterale della norma di risulta (la quale
parlerebbe al singolare di <>), sia nella
proclamazione dell'eletto da parte del presidente dell'Ufficio
regionale, cui spetta il compito di verificare i risultati per
l'intera Regione.
Si aggiunga, infine, il richiamo all'art. 21 della legge (non
toccato dalla richiesta referendaria), il quale, per la sostituzione
dei seggi rimasti vacanti, contempla un criterio comune di
sostituzione che fa riferimento al gruppo: tale criterio, mentre
appare coordinato con il sistema proporzionale di assegnazione
regolato nei primi sette commi dell'art. 19, diventerebbe del tutto
incongruo rispetto ad un sistema maggioritario, quale quello che si
vorrebbe introdurre, interamente risolto all'interno del collegio.
In ogni caso, qualunque dovesse essere la corretta lettura del
complesso normativo conseguente all'abrogazione referendaria, emerge
con evidenza che tale abrogazione finirebbe per condurre ad una
disciplina del procedimento elettorale non chiara. Il carattere
oggettivamente ambiguo, rilevabile sia nel quesito referendario sia
nella normativa di risulta, viene, dunque, a riflettersi, da un lato,
nell'assenza di univocita' della domanda referendaria, cioe', nel
difetto di <> in grado
di garantire ai cittadini l'esercizio del voto con la dovuta
consapevolezza, data, appunto, la gia' rimarcata equivocita' di un
quesito che persegue due obiettivi non necessariamente coincidenti
(l'abrogazione del quorum dei voti validi non inferiori al 65% ed il
passaggio al sistema maggioritario semplice); dall'altro lato,
nell'eventualita' di una paralisi, anche se temporanea, che
l'incertezza relativa alle norme elettorali applicabili potrebbe
determinare nel funzionamento di un organo costituzionalmente
necessario qual e' il Senato della Repubblica.
Alla luce degli orientamenti di questa Corte (soprattutto le
sentenze n. 16 del 1978 e n. 29 del 1987), la richiesta di referendum
in esame va, dunque, dichiarata inammissibile.
6. - La seconda richiesta referendaria ha per oggetto varie parti
(riguardanti, complessivamente, undici commi) degli artt. 4, 58, 59,
60, 68, 76, nonche' l'intero art. 61, del decreto del Presidente
della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, avente ad oggetto
<>.
Con questo referendum si vuole l'abrogazione delle norme che in
tale testo unico prevedono per l'elettore: a) la possibilita' di
esprimere piu' di una preferenza nell'ambito della lista votata; b)
la possibilita' di assegnare le preferenze anche con indicazioni
diverse da quella rappresentata dallo scrivere il nominativo dei
candidati preferiti a fianco del contrassegno della lista votata
(art. 60, primo comma). Il tutto per lasciare posto ad una sola
preferenza chiaramente espressa, nell'intento, esplicitato dagli
stessi promotori, di evitare per quanto possibile brogli ed altre
pratiche, non conformi ad un corretto rapporto fra elettori ed
eligendi, che variamente si possono realizzare attraverso la gestione
delle preferenze.
Si contesta l'univocita' ed omogeneita' del quesito oggetto della
richiesta referendaria, asserendo che <>.
In realta', una volta riconosciuto, come non si puo' non
riconoscere, che, con il ridurre le preferenze consentite da quattro
(o tre) ad una, i promotori perseguono l'intento, se non di evitare,
almeno di ridurre le possibilita' di brogli e pratiche elettorali non
corrette collegati al dosaggio dei voti di preferenza, non si puo',
in pari tempo, disconoscere che, per favorire la realizzazione di
tale intento, gli stessi promotori abbiano, nel segno della massima
coerenza, perseguito anche l'abrogazione di tutto cio' che,
altrimenti sopravvivendo nel contesto della normativa, rischierebbe
in qualche modo di togliere chiarezza alla sola preferenza che
sarebbe consentita nel caso di esito favorevole del referendum. Di
qui sia la proposta di abrogare l'indicazione della preferenza
tramite il solo numero del candidato, sia la proposta di abrogare la
possibilita' di esprimere la preferenza anche segnando piu' di un
contrassegno di lista, sia la proposta di abrogare la possibilita' di
esprimere la preferenza senza neppure indicare il contrassegno di
lista. In una parola, l'unica preferenza che con l'abrogazione
referendaria si verrebbe a consentire, al fine di ostacolare brogli
elettorali, dovrebbe essere, proprio in ragione di questo stesso
obiettivo, una preferenza chiaramente espressa.
Quanto, poi, alla modifica della procedura di scrutinio e di
ricognizione delle preferenze (art. 68, primo comma, n. 1), che si
porrebbe quale oggetto di un'ulteriore scelta a se' stante,
l'obiezione avrebbe peso ove si mirasse davvero ad un mutamento di
tale procedura: tutto si riduce, viceversa, ad una lineare
conseguenza del diverso impatto che la chiara espressione di una sola
preferenza viene ad avere sulla procedura di scrutinio e di
ricognizione delle preferenze, semplificandola sensibilmente in
correlazione alla concomitante abrogazione di altre parti dello
stesso testo di legge.
Dal canto suo, il sicuro permanere della normativa di risulta
all'interno del sistema configurato dal legislatore, senza che se ne
renda necessario un intervento per superare l'inevitabile paralisi di
funzionamento dell'organo, contribuisce alla linearita' ed
inequivocita' della scelta adottata dai promotori. Proprio il fatto,
da taluno contestato, che non sia stata resa oggetto della proposta
referendaria l'eliminazione di tutte le preferenze, perseguendosi,
invece, la riduzione di esse ad una soltanto, ne e' valida conferma,
siccome ascrivibile, prima ancora che a motivi di ordine tecnico
(l'art. 59,secondo comma,prima di parlare di <> o di <>
preferenze, si riferisce all'elettore che <>, mentre l'art. 59, terzo comma, e l'art. 60,primo comma,
proseguono parlando di <>), al proposito di non
incidere sulla legge al di la' di cio' che e' strettamente
necessario, nel rispetto di una delle caratteristiche di fondo -
quella, appunto, basata sulla possibilita' per l'elettore di
<> - del sistema elettorale in questione.
Restano da esaminare i rilievi che sono stati mossi alla
formulazione del quesito,in quanto carente di <>e fonte di
<>,e sui quali la difesa dei presentatori
della richiesta referendaria si e' dettagliatamente soffermata nella
memoria principale.
A parte l'addebito di non aver proposto la rimozione, dal testo
del secondo comma dell'art. 63, anche del rinvio all'art. 61, a
differenza di quanto espressamente ed appositamente prospettato in
ordine all'art. 76, primo comma, nel pieno rispetto della
concomitante abrogazione dell'intero art. 61 (trattasi di una mera
imperfezione, che il confronto con l'art. 76 vale a rendere evidente
e che, quindi, non pregiudica la possibilita', certamente
sussistente, che l'elettore possa esprimere consapevolmente la
propria volonta' sul tema proposto : v. sentenza n. 63 del 1990), le
obiezioni muovono tutte da interpretazioni normative troppo
sottilmente prospettate, in contrapposto alla piu' piana
interpretazione avanzata dai promotori della richiesta referendaria
sulla base dell'immediata lettura delle espressioni coinvolte, quale,
del resto, si appalesa al comune elettore, vero destinatario del
quesito.
Cosi' si dica, anzitutto, per i fraintendimenti cui potrebbe dare
luogo la proposta di eliminare il riferimento all'attribuzione delle
preferenze dal terzo comma dell'art. 4 - la' dove e' prevista la
<> senza rimuovere, al tempo
stesso, anche il riferimento alla determinazione dell'ordine dei
candidati, nel necessario raccordo con la parte iniziale del gia'
menzionato secondo comma dell'art. 59 (<> , una volta venute meno le successive prescrizioni sul numero
plurimo di preferenze esprimibili. Il rischio di fraintendimenti e,
quindi, di dubbi sulla vera portata della residua facolta' di
determinare l'ordine dei candidati nascerebbe dal fatto che combinata
con quella che, nella parte residuale dell'art. 59, potrebbe apparire
non tanto come una riduzione del numero delle preferenze ad una sola,
quanto, all'inverso, come l'eliminazione di ogni limite
all'espressione di preferenze - la facolta' di determinare l'ordine
dei candidati di cui all'art. 4 si tradurrebbe, in un simile sistema
di piena liberalizzazione dell'espressione delle preferenze, nella
facolta' di apportare correzioni all'ordine della graduazione dei
candidati. Ma, come hanno osservato i difensori, l'uso del singolare
<> sta proprio a significare, per quello che e' il
linguaggio corrente, esclusione di preferenze comunque plurime e,
quindi, possibilita' di esprimere una sola preferenza. A sua volta,
l'art. 4, terzo comma, la cui completa abrogazione sarebbe stata
proponibile unicamente nel caso, ben piu' innovativo, di una proposta
diretta all'eliminazione di qualsiasi preferenza, vale ad indicare,
molto semplicemente, quella che e' la normale incidenza del voto di
preferenza, destinato, appunto, a determinare l'ordine dei candidati.
Cio' precisato, ancor meno discutibile, ai fini della chiarezza,
univocita' ed omogeneita' del quesito, appare la proposta
eliminazione, dall'art. 58, terzo comma, delle indicazioni del
presidente quanto alle modalita' ed al numero dei voti di preferenza,
collegate come esse sono al superamento della pluralita' delle
preferenze esprimibili.
Altrettanto superabili si rivelano sia l'addebito di insufficienza
mosso al riferimento che, l'art. 60, primo comma, conterrebbe, in
caso di esito positivo del referendum, all'espressione del voto di
preferenza attraverso la semplice scritturazione del "nome e cognome"
o solo del "cognome", senza precisare di qual soggetto si tratterebbe
(facile e' replicare come tale soggetto altri non possa essere che il
candidato prescelto, quel candidato, cioe', cui l'elettore intende
attribuire l'unico voto di preferenza a disposizione); sia l'addebito
di oscurita' mosso alla parte residuale dell'art. 60, ottavo ed
ultimo comma, una volta che questa rimanesse limitata alla sola
formula <>, senza
precisare in alcun modo l'oggetto dell'eccedenza (il collegamento al
principio ispiratore della riduzione delle preferenze ad una soltanto
mostra che la nullita' colpirebbe le preferenze espresse al di la'
della prima, l'unica consentita).
Ad inficiare la chiarezza, univocita' ed omogeneita' del quesito
non vale, infine, nemmeno il permanere, nell'art. 68, primo comma, n.
1, del riferimento, in sede di spoglio dei voti, al <>, nonche' alla
proclamazione dei "voti di lista" e dei "voti di preferenza". Troppo
evidente e', infatti, l'uso del plurale con riguardo alle somme dei
voti candidato per candidato via via emergenti dallo spoglio, non
certo con riguardo a quanto e' nella disponibilita' del singolo
elettore: il plurale "voti di lista", prima ancora del plurale "voti
di preferenza", non puo' trovare spiegazione diversa da quella che lo
rapporta al complesso degli elettori, ciascuno di questi disponendo
sempre e soltanto di un voto di lista.
Sulla base di tutte le esposte considerazioni, ed alla stregua
degli stessi precedenti (soprattutto le sentenze n. 16 del 1978 e n.
29 del 1987), che hanno condotto a dichiarare inammissibile la prima
delle tre richieste referendarie in esame, di questa seconda va,
invece, dichiarata l'ammissibilita'.
7. - La terza ed ultima richiesta referendaria coinvolge ventisei
articoli (diciotto per intero ed otto in varie parti, per un
complesso di nove commi), nonche' le intestazioni di otto sezioni del
decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570,
recante <>, e successive
modificazioni ed integrazioni.
Questo referendum, nelle intenzioni dei promotori, ha per oggetto:
a) l'eliminazione dell'attuale differenziazione tra il sistema
elettorale previsto per i Comuni con popolazione inferiore ai 5000
abitanti ed il sistema elettorale previsto per i Comuni con
popolazione superiore, estendendo anche a questi ultimi il sistema
maggioritario con voto limitato, attualmente previsto per i soli
Comuni di dimensione minore; b) l'eliminazione del potere, conferito
all'elettore per i Comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti,
di votare i singoli candidati prescelti, in qualunque lista
ricompresi (c.d. panachage).
Si tratta, pero', di due oggetti eterogenei, che sottopongono
all'elettore scelte non necessariamente convergenti, dal momento che
ben potrebbe volersi l'eliminazione dell'attuale differenziazione tra
il sistema previsto per i Comuni con popolazione inferiore ai 5.000
abitanti ed il sistema elettorale per i Comuni con popolazione
superiore, estendendo a questi ultimi il sistema previsto per i
primi, e non anche l'eliminazione del c.d. panachage.
Del resto, la situazione, che si verrebbe a determinare in
concreto con l'accoglimento della richiesta referendaria, si presenta
- rispetto tanto al fine perseguito quanto all'effettiva possibilita'
di funzionamento della disciplina residuale - ambigua ed
oggettivamente incerta.
In primo luogo, a prescindere anche qui dal non preciso, troppo
generico, richiamo alle "successive modificazioni e integrazioni" del
Testo unico in questione, appare quanto meno dubbio che
dall'operazione abrogatrice proposta nei confronti del primo e del
quarto comma dell'art. 55 possa di per se' scaturire
quell'eliminazione del metodo della libera scelta dei candidati tra
le varie liste, che e' uno degli obiettivi perseguiti dai proponenti.
L'abrogazione del solo inciso "in qualunque lista siano compresi",
contenuto nel primo comma di detto articolo, pur se accompagnata
dall'abrogazione del successivo quarto comma, non sembra, invero,
sufficiente allo scopo, se si consideri che dalla disciplina
residuale non emerge un vincolo di lista (data anche l'abrogazione
richiesta nei confronti del primo comma dell'art. 57, dove tale
vincolo risulta disposto per i Comuni con popolazione superiore ai
5000 abitanti), mentre, di contro, l'elettore conserva il diritto di
votare "per tanti candidati" riferiti al numero dei consiglieri da
eleggere (art. 55, primo comma) e di esprimere tale voto tracciando
un segno "nelle apposite caselle a fianco dei nomi prescelti" (art.
55, secondo comma). La tesi della possibile conservazione della
libera scelta dei singoli candidati da parte degli elettori viene,
d'altro canto, avvalorata sia dal raffronto del primo comma dell'art.
55, che prevede il diritto dell'elettore di votare per i quattro
quinti dei consiglieri da eleggere, con l'art. 28, non toccato dalla
richiesta di referendum, che consente la presentazione di liste anche
con un solo quinto di candidati rispetto al numero dei consiglieri da
eleggere; sia dalla permanenza della norma fondamentale sullo
scrutinio espressa nell'art. 65, dove non compare alcun riferimento
al vincolo di lista e dove si stabilisce soltanto che risultano
eletti "i candidati che hanno riportato il maggior numero di voti".
Ma, al di la' di tali elementi letterali, suscettibili di generare
incertezza sulle conseguenze dell'abrogazione, restano dubbi
sostanziali in ordine alla possibilita' di scorporare dalla ratio del
sistema elettorale attualmente previsto per i Comuni con popolazione
inferiore ai 5000 abitanti l'eventualita' di una libera scelta dei
candidati tra piu' liste. Una simile operazione si presenta, infatti,
ben poco compatibile con le caratteristiche generali di un sistema
che seguiterebbe ad essere definito - dalla parte residua del primo
comma dell'art. 11 - come "sistema maggioritario e con voto
limitato".
Anche senza tener conto di ogni ulteriore valutazione in ordine
alle particolari difficolta' di carattere pratico che potrebbero
venire a determinarsi, l'accoglimento della proposta referendaria
darebbe spazio ad una normativa priva di una sua intrinseca ratio
unitaria e, conseguentemente, suscettibile di interpretazioni diverse
in punti fondamentali. L'incertezza nelle conseguenze e le
difficolta' applicative ricollegabili a tale incertezza rendono,
oltreche' ambigua, non trasparente la proposta, pure a prescindere
dal rischio di una paralisi nel funzionamento degli organi elettivi
comunali fino all'adozione da parte del legislatore ordinario di una
disciplina integrativa.
Da tutto cio' consegue l'inammissibilita' del referendum in esame,
alla luce dei precedenti (soprattutto le sentenze n. 16 del 1978 e n.
29 del 1987) gia' richiamati, sia con riferimento al referendum
proposto in ordine alla legge elettorale del Senato, sia con
riferimento al referendum proposto in ordine alle norme elettorali
della Camera dei deputati.