IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
                           RILEVATO IN FATTO
      che  con  decreto  emesso in data 22 agosto 1990 il p.m. in sede
 disponeva la citazione dinanzi a questo pretore per l'udienza del  19
 novembre  1990  di  Antonelli  Fausto  e Saltalippi Luciano, imputati
 rispettivamente dei reati di cui agli artt. 648 e 712 del c.p.;
      che  nel  corso  dell'odierna  udienza  gli imputati formulavano
 tempestive richieste di applicazione della pena  ai  sensi  dell'art.
 444 del c.p.p. sulle quali il p.m. prestava il proprio consenso;
                          RITENUTO IN DIRITTO
    1. - Questo pretore, a seguito delle richieste di "patteggiamento"
 avanzate nella fase degli atti preliminari al  dibattimento  e  sulle
 quali il p.m. ha prestato validamente il proprio consenso, si trova a
 dover applicare al presente giudizio la norma di  cui  all'art.  563,
 quarto comma del c.p.p.
    Tale  disposizione,  se  da  un  lato  individua  nel  pretore del
 dibattimento l'organo giurisdizionale competente sulla  richiesta  di
 applicazione  della pena "patteggiata" presentata oltre il termine di
 cui all'art. 555, primo comma, lett. e) del c.p.p. (costituendo cosi'
 il  fondamento  della legittimazione di questo giudice alla decisione
 sulla domanda avanzata dall'imputato, con il consenso  del  p.m.,  in
 questa  sede),  dall'altro  viene  per  se'  sola  a  consentire  che
 l'imputato, come nel caso che  occupa,  chieda  l'applicazione  della
 pena  ai  sensi  dell'art.  444  del c.p.p. anche dopo lo spirare del
 termine cui si e' test'e' fatto riferimento.
    Al  riguardo  infatti sembra corretta la ricostruzione sistematica
 delle norme relative al giudizio pretorile in base  alla  quale,  ove
 l'art.  563, quarto comma del c.p.p. venisse espunto dalla disciplina
 del codice di rito, il termine di quindici giorni dalla notificazione
 del  decreto  di  citazione  a  giudizio stabilito per il deposito da
 parte  dell'imputato  della  richiesta   di   patteggiamento   presso
 l'ufficio  del  pubblico  ministero dall'art. 555, primo comma, lett.
 e), dovrebbe considerarsi perentorio.
    A  questa  conclusione  si  perviene  se solo si consideri che nel
 progetto  preliminare  del  codice  di  procedura  penale,   la   cui
 disciplina  e' stata peraltro quasi integralmente recepita, salvo che
 per aspetti  di  carattere  eminentemente  ordinamentale,  dal  testo
 definitivo  del  codice,  non esisteva norma analoga all'attuale art.
 563, quarto comma del c.p.p. La  commissione  redigente  il  progetto
 spiega   al  riguardo  nella  relazione  ad  esso  allegata  che  "la
 disposizione relativa all'applicazione della pena su richiesta, opera
 un  invio  integrale  alla  disciplina  prevista  per questa forma di
 giudizio abbreviato per i reati di  competenza  del  Tribunale  (art.
 556)"  e che, "in ossequio al principio della massima semplificazione
 imposta dalla delega, si e' pero' stabilito che la richiesta di  pena
 a  norma dell'art. 439 deve essere presentata nel termine di quindici
 giorni dalla notifica del  decreto  di  citazione  (art.  548,  primo
 comma,  lett.  e)"  (cosi',  testualmente,  in suppl. ord. n. 2 dalla
 Gazzetta Ufficiale n. 250 del 24 ottobre 1988, pag. 123).
    E'  proprio  la  perentorieta' di questo termine, corrispondente a
 quello di cui all'art. 555, primo  comma,  lett.  e)  del  c.p.p.,  a
 costituire "la ragione per cui il termine dilatorio tra la data della
 notifica e la data del dibattimento e' piu' lungo rispetto  a  quello
 del   procedimento   davanti  al  tribunale:  si  deve  infatti  dare
 all'imputato  il  tempo  di  presentare  la  richiesta  di   giudizio
 abbreviato ovvero di applicazione della pena su richiesta, e solo ove
 risulti che entro il termine di quindici  giorni  l'imputato  non  ha
 presentato  tale  richiesta, il pubblico ministero provvedera' a fare
 eseguire la notifica del decreto  alle  altre  parti,  a  formare  il
 fascicolo  per il dibattimento e a trasmetterlo al pretore unitamente
 al  decreto  di  citazione"  (cosi',   testualmente,   chiarisce   il
 complessivo   inquadramento   sistematico   della   "struttura"   del
 patteggiamento in pretura, la relazione al  progetto  preliminare  in
 Gazzetta Ufficiale cit., pag. 123).
    Ora,  poiche'  la  disciplina  del  patteggiamento  stabilita  dal
 progetto  preliminare  per  il  giudizio  pretorile  e'  stata,   con
 l'eccezione  delle  modifiche  apportate  con  l'attuale art. 563 del
 c.p.p. all'art. 556 del progetto,  praticamente  trasfusa  nel  testo
 definitivo  del  codice,  sembra  indubitabile  che, in assenza della
 norma   impugnata,   la   richiesta   di   patteggiamento    avanzata
 dall'imputato  in  questa  sede  dovrebbe  considerarsi inammissibile
 perche' tardiva.
    Che  se  poi la norma di cui all'art. 563, quarto comma del c.p.p.
 dovesse al contrario ritenersi meramente esplicativa della disciplina
 comunque  applicabile  al  patteggiamento  in  pretura  in virtu' del
 richiamo operato dagli artt.  549  e  563,  primo  comma  del  c.p.p.
 all'art.  446,  primo comma del c.p.p., sarebbe il combinato disposto
 di queste ultime norme, nella parte in cui consente all'imputato pure
 nel  giudizio pretorile di presentare la richiesta di applicazione di
 pena "patteggiata" dopo la scadenza del termine di cui all'art.  555,
 primo  comma,  lett.  e)  del  c.p.p.  e  fino  alla dichiarazione di
 apertura del dibattimento, ad essere  suscettibile  di  applicazione,
 unitamente  all'art.  563,  quarto  comma  del  c.p.p.,  nel presente
 giudizio.
    In  ipotesi,  anche  a  tali  norme  dovrebbe  ritenersi estesa la
 questione  di  costituzionalita'  che  si  cerchera'  di  seguito  di
 motivare in punto di fondatezza.
    2.  -  Sembra a questo pretore che la norma di cui al quarto comma
 dell'art. 563 del c.p.p., e, in ipotesi, per quanto sopra motivato in
 punto  di  rilevanza,  il  combinato  disposto degli artt. 446, primo
 comma, 549, 563, primo comma del c.p.p., consentendo all'imputato  di
 formulare  la richiesta di applicazione della pena ai sensi dell'art.
 444 del c.p.p. anche dopo la scadenza del termine previsto  dall'art.
 555,  primo comma, lett. e) del c.p.p. e stabilendo la competenza del
 pretore su tale richiesta, si ponga in  contrasto  con  il  dettaglio
 degli artt. 76 e 25, primo comma, della Costituzione. Di seguito, per
 ragioni  di  pratica  stesura  della  presente  ordinanza,  si  fara'
 esclusivo   riferimento   all'art.  563,  quarto  comma  del  c.p.p.,
 dovendosi peraltro ritenere esteso anche al combinato disposto  degli
 artt.   446,   primo   comma,  549,  563,  primo  comma  del  c.p.p.,
 nell'ipotesi di cui al precedente punto 1, quanto si verra' dicendo a
 proposito della prima norma.
    3.  - In primo luogo la norma de qua sembra porsi in contrasto con
 il principio di "massima semplificazione" sancito per il procedimento
 pretorile dall'art. 2, n. 103 della legge 16 febbraio 1987, n. 81.
    Al  riguardo  si sottolinea in via preliminare che, poiche' l'art.
 2, n. 1 della legge delega stabilisce, come  parametro  generale,  la
 "massima   semplificazione   nello   svolgimento   del  processo  con
 eliminazione di ogni atto od attivita' non essenziale", il  principio
 di  "massima  semplificazione"  sancito nella direttiva n. 103 per il
 procedimento pretorile si traduce nella necessita'  di  un  ulteriore
 snellimento   e  semplificazione  degli  istituti  e  dei  meccanismi
 previsti per i procedimenti dinanzi al tribunale.
   In  questo quadro anche il richiamo fatto dalla direttiva n. 103 ai
 "principi generali di cui ai numeri precedenti" va  inteso  non  come
 meccanica   e  necessaria  ricezione,  nell'ambito  del  procedimento
 pretorile, degli istituti disciplinati per  il  processo  dinanzi  al
 tribunale,  bensi'  come riferimento ai principi ispiratori di quegli
 istituti, suscettibili di ulteriore semplificazione (in questo  senso
 anche  la  relazione  al progetto preliminare del codice di procedura
 penale nonche' quella al testo definitivo del medesimo codice).
    Alla  luce di quanto precede, dunque, la direttiva di cui all'art.
 2, n. 45 della legge n. 81/1987, la quale prevede la possibilita' per
 le  parti  di  richiedere  l'applicazione  di pena "patteggiata" fino
 all'apertura del dibattimento, non  costituisce  un  limite  assoluto
 alla   discrezionalita'   del  legislatore  delegato  in  materia  di
 procedimento  pretorile.  Al  contrario,  la  struttura  stessa   del
 procedimento  davanti  al pretore rende necessitata, in ossequio alle
 disposizioni  della  legge  delega,  una  ulteriore   semplificazione
 dell'istituto   del   cosi'   detto  "patteggiamento"  rispetto  alla
 disciplina  per  esso  istituto  prevista  nel  giudizio  dinanzi  al
 tribunale.  Invero,  mentre  nel procedimento davanti al tribunale e'
 giustificabile la previsione  di  un  termine  per  la  richiesta  di
 applicazione  della  pena  ex  art.  444  del  c.p.p. coincidente con
 l'apertura  del  dibattimento,   poiche'   nel   corso   dell'udienza
 preliminare  e fino al provvedimento che la conclude e' possibile, ed
 anzi in qualche modo naturale, l'acquisizione di  atti,  documenti  e
 cose  (artt.  416,  secondo  comma,  419, secondo e terzo comma, 421,
 terzo comma,  422,  primo  comma  del  c.p.p.)  nonche'  l'esclusione
 dell'indagato, di testi, consulenti tecnici, ecc. (artt. 421, secondo
 comma, 422, primo, secondo e terzo comma del c.p.p.), e  comunque  e'
 prevista  una  progressione  del giudizio, anche attraverso eventuali
 modifiche dell'accusa  (art.  423  del  c.p.p.),  fatti  processuali,
 questi,  legittimamente suscettibili di determinare la volonta' delle
 parti nel procedimento  in  ordine  ad  un  esito  patteggiato  dello
 stesso,  al  contrario  nel  processo  in  pretura,  stante l'assenza
 dell'udienza  preliminare  e  la  cristallizzazione  dell'accusa  nel
 decreto   di   citazione   almeno   fino  all'inizio  dell'istruzione
 dibattimentale, appare del tutto incongruo rispetto alla esigenza  di
 massima  semplificazione  imposta  dalla  delega  far  progredire  il
 procedimento fino alle soglie del dibattimento per poi dare  ingresso
 ad  un rito alternativo la cui definizione si basa su atti, documenti
 e cose gia' acquisiti  al  fascicolo  processuale  al  momento  della
 citazione a giudizio.
    L'unico  effetto pratico della possibilita', concessa all'imputato
 dalla norma censurata, di chiedere il cosidetto "patteggiamento"  nei
 termini  previsti  dall'art.  446, primo comma del c.p.p. anziche' in
 quelli piu' ristretti di cui all'art. 555, primo comma, lett. e)  del
 c.p.p.  e'  infatti  quello  di  rendere necessario l'espletamento ad
 opera del p.m., delle parti private e del pretore di tutta una  serie
 di   onerosi   incombenti   per   propria   natura  finalizzati  alla
 celebrazione del dibattimento (quali, ad esempio, la  formazione  del
 fascicolo  per  il  dibattimento,  la  sua  trasmissione  al  pretore
 unitamente al  decreto  di  citazione,  la  citazione  della  persona
 offesa,  la  presentazione delle liste testimoniali, l'autorizzazione
 del pretore alla citazione dei testi, l'esame del  fascicolo  per  il
 dibattimento ad opera delle parti private diverse dall'imputato e dei
 loro difensori, la citazione e la presentazione di testi,  consulenti
 tecnici,  ecc. per il dibattimento, la determinazione della data e la
 formazione dei ruoli di udienza per il dibattimento, artt. 558,  466,
 468  del  c.p.p.,  160  disp.  att. del c.p.p., 20 reg. del c.p.p.) e
 purtuttavia suscettibili di essere posti nel nulla da una successiva,
 ancorche'  tempestiva  ai  sensi  dell'art.  563,  quarto  comma  del
 c.p.p.,,richiesta di pena avanzata  dall'imputato  col  consenso  del
 p.m.
    Tutto  cio' determina una palese violazione della legge delega con
 particolare  riferimento  al  gia'  citato   principio   di   massima
 semplificazione  stabilito per il procedimento pretorile dall'art. 2,
 nn. 1 e 103 della legge n. 81/1987. Violazione ed eccesso  di  delega
 tanto  piu'  evidente  se  si  considera  che  la stessa relazione al
 progetto preliminare del codice di procedura penale prevede che  tale
 "massima   semplificazione   del   processo   pretorile  deve  essere
 conseguita attraverso la scelta di fondo di potenziare al massimo gli
 sbocchi  diversi  al  dibattimento,  trasformando la relativa fase da
 situazione ordinaria... in  evenienza  eccezionale,  o  quanto  meno,
 residuale".  E'  chiaro  infatti  che  sancire  la  residualita'  del
 dibattimento e al contempo imporre anche per  una  ipotesi,  prevista
 come  ordinaria  e  quindi di piu' frequente applicazione pratica, di
 definizione anticipata del processo, l'esecuzione  di  attivita'  del
 tutto  ininfluenti al fine della celebrazione del giudizio secondo il
 rito prescelto  dalle  parti,  introduce  senza  alcun  corrispettivo
 beneficio un pesante aggravio di quella procedura che la legge delega
 vuole, al contrario, snella e semplificata.
    Senza  contare  che l'attuale disciplina consente in fatto, se non
 in diritto, alle parti  di  reiterare,  anche  di  fronte  ad  organi
 giudicanti  diversi  (g.i.p. e pretore del dibattimento), la medesima
 richiesta ex art. 444 del c.p.p. Il pretore del dibattimento,  ed  e'
 evenienza  che  la  presenza di rappresentanti del p.m. non togati in
 udienza rende tutt'altro che teorica, non e' infatti posto  in  grado
 di  conoscere,  attraverso il semplice esame del fascicolo formato ai
 sensi  dell'art.  431  del  c.p.p.,  l'eventuale  esistenza  di   una
 precedente, anche identica, richiesta delle parti presentata entro il
 termine di cui all'art. 555, primo  comma,  lett.  e)  del  c.p.p.  e
 rigettata   dal  g.i.p.  per  qualsivoglia  motivo.  Anche  a  questo
 riguardo, dunque, delle due  l'una:  o  il  legislatore  delegato  ha
 inteso  costruire  un  improprio  appello  davanti  al  pretore della
 decisione gia' adottata  dal  g.i.p.,  appello  che,  si  ripete,  e'
 fondato  sullo  stesso  materiale probatorio gia' esaminato dal primo
 giudice, ovvero ha quanto meno omesso di prevedere che il p.m. presso
 la  pretura  formi  il  fascicolo per il dibattimento ex art. 558 del
 c.p.p. inserendovi non solo quanto disposto dall'art. 431 del  c.p.p.
 ma anche gli atti relativi al procedimento di applicazione della pena
 su richiesta delle parti che si fosse in ipotesi gia' svolto  davanti
 al   g.i.p.  La  negazione  del  gia'  citato  principio  di  massima
 semplificazione indotta da entrambe  le  ipotesi  risulta  del  tutto
 evidente. Se poi si ritenesse conforme al citato criterio la norma di
 cui  all'art.   563,   quarto   comma   del   c.p.p.,   si   porrebbe
 automaticamente  in  contrasto col medesimo criterio, e quindi con la
 legge delega, l'art. 555, terzo  comma  del  c.p.p.  che  prevede  un
 termine  dilatorio  non  inferiore  a  quarantacinque  giorni  tra la
 notifica del decreto di citazione a giudizio e  la  celebrazione  del
 dibattimento.  Termine,  come  si  e'  gia'  notato,  piu' che doppio
 rispetto a quello corrispondente del giudizio di tribunale  e  quindi
 comportante   un  allungamento,  anziche'  una  semplificazione,  del
 procedimento pretorile giustificabile solo con la  perentorieta'  del
 termine  di  cui all'art. 555, primo comma, lett. e) del c.p.p. (cfr.
 al riguardo quanto gia' esposto  in  punto  di  rilevanza).  Cio'  si
 espone  perche',  lungi  dal  voler  sollevare  in  questa  sede  una
 questione di costituzionalita' degli artt. 431 e 555, terzo comma del
 c.p.p.,  per  la  quale  difetterebbe  tra l'altro il requisito della
 rilevanza,  si  intende   in   definitiva   sostenere   che   l'unica
 ricostruzione  sistematica  della  disciplina del "patteggiamento" in
 pretura corrispondente ai principi imposti dalla delega e' quella che
 presuppone  l'abrogazione dal testo del codice di procedura penale di
 quel vero e  proprio  corpo  estraneo  rappresentato  dall'art.  563,
 quarto comma del c.p.p. (ed, in ipotesi, dal combinato disposto delle
 norme citate in punto di rilevanza, nel senso ivi precisato).
   4.   -  Il  meccanismo  previsto  dalla  norma  censurata  consente
 sostanzialmente all'imputato, mediante, la semplice opzione sui tempi
 della  presentazione  della  richiesta di applicazione della pena, la
 scelta vuoi del giudice-organo (g.i.p.-pretore), vuoi in  definitiva,
 specie  negli  organi  unipersonali  di pretura, che costituiscono la
 maggior parte di  quelli  presenti  nel  territorio  (si  pensi  alle
 innumerevoli   sezioni   g.i.p.   o  sezioni  distaccate  di  pretura
 circondariale  costituite  da  un  solo  magistrato),  dello   stesso
 giudice-persona  fisica  competente  a conoscere di quell'istanza. Ne
 consegue un palese contrasto  col  principio  del  "giudice  naturale
 precostituito"  di  cui  all'art. 25, primo comma della Costituzione,
 come  elaborato  e  ritenuto   dalla   giurisprudenza   della   Corte
 costituzionale.  Occorre  al  riguardo  solo  sottolineare  come tale
 vulnus al suddetto principio appaia ancor piu'  foriero  di  negative
 conseguenze  a  seguito della sentenza n. 313 del 26 giugno 1990, con
 la quale la Corte costituzionale  ha  ampliato  in  modo  decisivo  i
 poteri  del  giudice  nell'esame della congruita' della pena proposta
 dalle parti.