IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    A  scioglimento  della riserva del 14 novembre 1990 osserva quanto
 segue: con atto notificato in data 7 settembre  1989,  in  virtu'  di
 decreto  ingiuntivo  del 9 febbraio 1988 del presidente del tribunale
 di  Pistoia,  l'ufficiale  giudiziario  addetto  a   questa   sezione
 distaccata,  ad  istanza  di Luca Santiloni e Alberto Angelo Breschi,
 sottoponeva a pignoramento la misura di un quinto di tutti i  crediti
 vantati  da  Lupicchi  Calistri  Riccardo nei confronti del comune di
 Montecatini Terme, quale dipendente della  medesima  amministrazione,
 sia  a  titolo di retribuzione mensile di qualunque altra indennita',
 ivi  compresa  quella  per  fine  rapporto  di  lavoro,   fino   alla
 concorrenza  della  somma di lire 23.618.860, oltre interessi fino al
 saldo e competenze della procedura. Il terzo  pignorato  compariva  a
 rendere  la  dichiarazione  ex  art.  547 del c.p.c., precisando, fra
 l'altro, che  "il  quinto  dello  stipendio  erogato  dal  comune  di
 Montecatini  e' stato soggetto a cessione nei confronti della Fincral
 fino al maggio 1991 compreso"; produceva altresi' certificazione  del
 sindaco   del  citato  comune  con  la  specifica  delle  varie  voci
 componenti  la  retribuzione  dalla  quale  risultava   la   predetta
 cessione. Dopo alcuni differimenti i creditori formulavano istanza di
 assegnazione della somma  pignorata,  chiedendo  che  la  misura  del
 quinto venisse calcolato sull'importo lordo della retribuzione, senza
 tener conto della cessione di credito in favore della Fincral.
    La  fattispecie pone dubbi di costituzionalita' sotto due distinti
 profili che appare opportuno esaminare separatamente:
      1) il primo riguardo all'efficacia ed opponibilita' al creditore
 procedente della cessione volontaria di  parte  dello  stipendio  del
 pubblico  dipendente (nella specie del comune) debitore sottoposto ad
 esecuzione;
      2)  il  secondo,  riguarda la mancata previsione normativa della
 pignorabilita' delle indennita' di fine rapporto dovuto  al  pubblico
 dipendente.
    Sotto  il  primo  profilo  il  dubbio  di costituzionalita' deriva
 dall'applicabilita' - e di qui la rilevanza della questione  -  nella
 specie dell'art. 68, secondo comma del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180,
 che dispone "Qualora i sequestri ed i pignoramenti abbiano luogo dopo
 una  cessione  perfezionata  e  debitamente  notificata,  non si puo'
 sequestrare o pignorare se non  la  differenza  fra  la  meta'  dello
 stipendio  o  del  salario  valutati  al netto di ritenute e la quota
 ceduta, fermi restando i limiti di cui all'art. 2".
    Occorre  verificare  se  detta  discilina  sia  difforme da quella
 applicabile  qualora  il  debitore  sia  un  lavoratore  subordinato.
 Invero,  il  codice di rito nulla dispone espressamente riguardo alla
 fattispecie in esame nel caso di dipendente "privato", limitandosi  a
 prevedere  l'onere  per  il  terzo  pignorato di specificare anche le
 "cessioni che gli sono state notificate o  che  ha  accettato"  (art.
 547,  secondo comma, del c.p.c.). Premesso che la cessione di credito
 e' opponibile al creditore pignorante allorquando sia stata accettata
 dal debitore ceduto ed a lui notificata anteriormente al pignoramento
 (art. 2914, n. 2 cod. civ.) - tant'e', appunto, che  il  terzo,  come
 detto,  deve  specificarne l'esistenza - pare legittimo ritenere, che
 la disciplina debba essere ricavata sul piano del diritto sostanziale
 e  cioe' in virtu' degli effetti della cessione di crediti desumibili
 dagli artt. 1260 e ss. del cod. civ. Costituisce  principio  pacifico
 che  la  cessione  di  credito costituisce un contratto con efficacia
 traslativa  tra  cedente  e  cessionario,  il  quale   determina   la
 successione  del secondo al primo del medesimo rapporto obbligatorio.
 In altre parole produce una trasformazione del rapporto  obbligatorio
 riguardo  al  soggetto  attivo,  cosicche'  il  debitore  ceduto deve
 adempiere la propria obbligazione nei confronti di un nuovo e diverso
 creditore (cessionario). Se cio' e' vero, ne discende che la cessione
 di parte dello stipendio da parte del lavoratore subordinato - sempre
 che sia opponibile al creditore pignorante - assume rilevanza ai fini
 della determinazione della somma da considerare per il calcolo  della
 quota  pignorabile ed assegnabile, in quanto a seguito della cessione
 il terzo pignorato  (debitore  ceduto)  non  e'  piu'  creditore  del
 debitore  esecutato (cedente) della parte di credito ceduta. Pertanto
 allorquando in sede di  dichiarazione  ex  art.  547  del  c.p.c.  si
 specifichi  l'esistenza  di una cessione di parte dello stipendio, il
 quinto della retribuzione assegnabile (art. 552  e  553  del  c.p.c.)
 deve  essere  calcolato  sulla differenza fra la retribuzione globale
 (al netto delle ritenute) e  la  parte  della  stessa  in  precedenza
 ceduta.  Questo  per  il  lavoratore  subordinato.  Per  il  pubblico
 dipendente (in questo caso di amministrazione comunale sottoposto  al
 regime  del  d.P.R.,  n.  180/1950  ex  art.  1) invece il meccanismo
 previsto dal'art. 68 del citato d.P.R. comporta che  il  pignoramento
 sia  eseguibile  e  le  relative  somme  assegnabili  se  non  per la
 differenza fra la  meta'  dello  stpendio  valutato  al  netto  delle
 ritenute  e  la  quota  ceduta,  fermi i limiti di cui all'art. 2 del
 d.P.R.
    Non  e'  manifestamente  infondato  ritenere  che  la norma appena
 citata  comporti  una  disparita'  di  trattamento  per  il  pubblico
 dipendente  che  non  trova  razionale giustificazione. Disparita' di
 trattamento che - se tutte le suesposte considerazioni sono esatte  -
 puo' evitarsi o con la rimozione della citata norma) riportando anche
 l'ipotesi  in  essa  regolata  alla   disciplina   "comune"   o   con
 l'estensione  analogica,  ma  di  dubbia  correttezza,  al lavoratore
 subordinato del meccanismo previsto nella disposizione in esame.
    D'altra   parte   i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  sono
 corroborati dalla considerazione che l'art. 68 del d.P.R. n. 180/1950
 appare  in  linea  con  la  generale  impostazione  di  favore per il
 pubblico    dipendente    (funzionale    all'esigenza    di     buona
 amministrazione)  cui  e' informato l'intero "Testo unico delle leggi
 concernenti  il  sequestro  il  pignoramento  e  la  cessione   degli
 stipendi,   salari   e   pensioni   dei  dipendenti  delle  pubbliche
 amministrazioni". Impostazione che la Corte costituzionale  ha  avuto
 modo  di  definire  non piu' sorretta da valida motivazione (sentenza
 nn. 89 del 31 marzo 1987 e 878 del 26 luglio  1988),  se  non  quando
 siano  individuabili  specifici  e ben individuati motivi di pubblico
 interesse, che nella specie non paiono sussistere. E pertanto fondato
 appare il dubbio di costituzionalita' dell'art. 68, secondo comma del
 d.P.R. 5 gennaio 1950,  n.  180,  in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione  nella  parte  in  cui  a  differenza di quanto previsto
 dall'art. 543 e ss. del c.p.c. prevede che  qualora  il  pignoramento
 abbia  luogo  dopo una cessione perfezionata e debitamente notificata
 dello stipendio del dipendente comunale, non si  possa  pignorare  se
 non  la differenza fra la meta' dello stipendio, valutato al netto di
 ritenute  e  la  quota  ceduta,  fermo  restando  i  limiti  previsti
 dall'art. 2 dello stesso d.P.R.
    Il  secondo  ordine  di  problema riguarda la pignorabilita' della
 indennita' di fine rapporto di un pubblico dipendente.  La  questione
 e'  rilevante  poiche'  nella  specie  i  creditori  procedenti hanno
 pignorato  anche   il   quinto   di   tale   indennita'   chiedendone
 l'assegnazione.  L'art.  545,  terzo  comma,  del  c.p.c. consente il
 pignoramento  della  indennita'  di  fine  rapporto  corrisposta   al
 lavoratore  subordinato  per  qualunque  credito  nei suoi confronti.
 L'art. 2 secondo comma del d.P.R. n. 180/1950 non prevede invece tale
 possibilita',  consentendone  il  pignoramento  solo  per  i  crediti
 espressamente indicati ai nn. 1, 2 e 3. I ricordati motivi che  hanno
 determinato   le  pronunce  di  illegittimita'  costituzionale  della
 suddetta norma, fanno ritenere, ancora una volta, non  manifestamente
 infondato  il  dubbio  di  costituzionalita'  sotto  il profilo della
 violazione  dell'art.  3  della   Costituzione   per   ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  tra dipendente pubblico (nella specie di
 amministrazione comunale) e lavoratore subordinato.  Ad  abuntantiam,
 per  questa  indennita',  appare  arduo  sostenere che la limitazione
 prevista dal citato art. 2 sia finalizzabile  alla  tutela  del  buon
 andamento degli uffici e della continuita' dei servizi della pubblica
 amministrazione, poiche' essa e' corrisposta dopo la  cessazione  del
 rapporto  di  pubblico  impiego.   Pertanto non appare manifestamente
 infondata la questione di legittimita'  costituzionale  in  relazione
 all'art.  3  della  Costituzione,  dell'art. 2, primo comma, n. 3 del
 d.P.R. n. 180/1950 nella parte in cui in contrasto  con  l'art.  545,
 quarto   comma   del  c.p.c.  non  prevede  la  pignorabilita'  della
 indennita' di fine  rapporto  di  lavoro  nei  limiti  di  un  quinto
 corrisposta  dai  comuni  per  ogni credito vantato nei confronti del
 personale.