ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 147, 160 e
 161  del  regio  decreto  16  marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del
 fallimento,    del    concordato   preventivo,   dell'amministrazione
 controllata  e  della   liquidazione   coatta   amministrativa),   in
 correlazione agli artt. 2269, 2290 e 2293 del codice civile, promosso
 con ordinanza emessa il 22  maggio  1990  dalla  Corte  d'appello  di
 Salerno  nel  procedimento civile vertente tra Gambardella Gabriele e
 Cappuccio Franco, iscritta al n. 457 del registro  ordinanze  1990  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 29, prima
 serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 28 novembre 1990 il Giudice
 relatore Francesco Greco;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Tribunale  di  Salerno,  con sentenza 27 marzo 1975, ha
 dichiarato il fallimento della s.n.c. Gambardella Gabriele  &  Figli.
 Successivamente,  ad  istanza  del  curatore,  con sentenza 16 luglio
 1976, ha esteso il fallimento a Gambardella Gabriele il quale, dal 12
 al  14  aprile 1974, aveva posseduto, per acquisto fattone, una quota
 sociale  di  8/96  ed  era  stato,  quindi,   socio   illimitatamente
 responsabile  delle obbligazioni sociali anteriori al suo recesso, le
 quali avevano determinato anch'esse  lo  stato  di  insolvenza  della
 societa'.  Il Gambardella ha proposto opposizione al fallimento ma il
 Tribunale l'ha rigettata.
    La  Corte  di  appello  di Salerno, su appello ed ad istanza dello
 stesso  Gambardella,   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale degli artt. 147, 160 e 161 della legge fallimentare in
 correlazione agli artt. 2269, 2290  e  2293  del  codice  civile.  Ha
 osservato  che  le  suddette  norme,  poiche'  non  contengono ne' la
 previsione della facolta' anche dei soci receduti di partecipare alla
 formazione  della  maggioranza  per  la  scelta  e l'approvazione del
 concordato preventivo, da proporre per evitare il fallimento, ne' del
 diritto di avanzare singolarmente la detta proposta, violerebbero:
       a)  l'art.  3  della Costituzione per la evidente disparita' di
 trattamento tra soci attuali e soci receduti in quanto,  pur  essendo
 gli  uni  e  gli  altri illimitatamente responsabili, solo i receduti
 sono assoggettati al fallimento senza che abbiano alcuna possibilita'
 di evitarlo;
       b)  l'art.  24 della Costituzione perche' al socio receduto non
 e' attribuito il diritto di evitare l'estensione del  fallimento  con
 lo  stesso  mezzo  (concordato preventivo) che e' concesso agli altri
 soci.
    2.  -  L'ordinanza  e'  stata ritualmente comunicata, notificata e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
    2.1   -  Nel  giudizio  dinanzi  a  questa  Corte  e'  intervenuta
 l'Avvocatura Generale dello Stato in  rappresentanza  del  Presidente
 del  Consiglio  dei ministri che ha concluso per l'inammissibilita' o
 quanto meno per la infondatezza della questione.
    Ha rilevato che, anche quando si pervenisse all'ammissibilita' del
 concordato   preventivo   ad   istanza   di   un   soggetto   diverso
 dall'imprenditore  in  istato  di  insolvenza (art. 160, primo comma,
 legge fallimentare), dovrebbe superarsi la palese irrilevanza di  una
 proposta  di  concordato  preventivo  cronologicamente  successiva al
 fallimento della societa', la quale proposta  tutt'al  piu'  potrebbe
 portare  alla  chiusura  del  fallimento per sopravvenuta sufficienza
 dell'attivo (art. 118 legge fallimentare)  oppure  ad  un  concordato
 successivo  (art.  124  legge  fallimentare),  ma,  in  nessun  caso,
 all'accoglimento  dell'opposizione  alla   sentenza   estensiva   del
 fallimento.  Ha,  poi, asserito che l'esame di una eventuale proposta
 di concordato preventivo  da  parte  degli  organi  competenti  e  la
 emanazione  di  una  pronuncia su detta proposta non costituiscono di
 per se' presupposti per la legittimita' di una sentenza  dichiarativa
 di  fallimento,  essendo la procedura fallimentare del tutto autonoma
 rispetto a quella relativa alla detta proposta, per  quanto  riguarda
 l'accertamento della insolvenza.
    Ha  rilevato,  inoltre,  il  contrasto  tra  la  motivazione ed il
 dispositivo dell'ordinanza di rimessione,  censurandosi  nell'una  la
 mancata  previsione  dei  diritti  del  socio  receduto  e nell'altro
 omettendosi  la  menzione  dell'art.  152  della  legge  fallimentare
 nonostante  il  suo  coinvolgimento  nella  censura  e denunciandosi,
 invece, la norma che consente la estensione del fallimento, sulla cui
 legittimita' non sembra avanzato in motivazione alcun dubbio. Infine,
 nel merito ha rilevato la impossibilita' della partecipazione  di  ex
 soci  alla  formazione  della  maggioranza  di cui all'art. 152 della
 legge fallimentare perche' essi non  rappresentano,  nell'attualita',
 nessuna  quota  di  capitale sociale mentre la presentazione da parte
 degli stessi  di  una  autonoma  proposta  di  concordato  preventivo
 sembrerebbe consentita dalla vigente normativa.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte  di  appello di Salerno dubita della legittimita'
 costituzionale degli artt. 147, 160 e 161 della  legge  fallimentare,
 in correlazione agli artt. 2269, 2290 e 2293 del codice civile, nella
 parte in cui non consentono  al  socio,  che,  sebbene  receduto,  e'
 soggetto,  siccome  illimitatamente  responsabile, all'estensione del
 fallimento della  societa',  di  partecipare  alla  formazione  della
 maggioranza  per la scelta e l'approvazione del concordato preventivo
 da proporre per evitare il fallimento o, quanto  meno,  di  formulare
 idonea, autonoma proposta di concordato preventivo.
    A  parere  della  Corte remittente risulterebbero violati l'art. 3
 della Costituzione per la disparita' di trattamento che si  determina
 tra  i  soci  receduti  e  gli altri soci cui detta partecipazione e'
 consentita e l'art. 24 della Costituzione  per  la  compressione  dei
 diritti  dei  soci  receduti ai quali non e' concesso lo stesso mezzo
 accordato agli altri soci per evitare le conseguenze  pregiudizievoli
 del fallimento.
    2. - La questione e' inammissibile.
    Invero,  non  puo'  dubitarsi che le attuali norme che regolano il
 fallimento creino una disparita' di trattamento fra  i  soci  attuali
 della   societa'   e  i  soci  receduti,  egualmente  illimitatamente
 responsabili per le obbligazioni contratte  durante  la  vigenza  del
 loro   stato  di  socio,  le  quali  hanno  anch'esse  contribuito  a
 determinare la insolvenza della societa', onde la legittimita'  della
 estensione  nei  loro  confronti  del  fallimento della societa'. Per
 essi, le norme vigenti non prevedono alcun  rimedio  per  evitare  la
 suddetta estensione e le gravi conseguenze, materiali e morali che ne
 derivano, a differenza di quanto avviene per  i  soci  "attuali".  Ai
 soci  receduti  non e' consentita la partecipazione all'assemblea dei
 soci  per  l'approvazione  della  proposta  e  delle  condizioni  del
 concordato  preventivo  (art. 152 legge fallimentare), mentre possono
 fare proposta di concordato solo dopo la dichiarazione di  fallimento
 della    societa'   (   art.   154   legge   fallimentare),   secondo
 l'interpretazione  delle  relative  norme  da   parte   della   Corte
 remittente.
    Inoltre,  nel  sistema  attuale non sembra possibile una ulteriore
 proposta  di  concordato  preventivo  dopo  che  sia  intervenuta  la
 dichiarazione  di fallimento. Mentre la possibilita' di un concordato
 dopo la dichiarazione di fallimento, esteso anche ai  soci  receduti,
 secondo  il disposto dell'art. 154 legge fallimentare, non sembra del
 tutto appagante, in quanto restano egualmente gli effetti  gravemente
 pregiudizievoli  che ha gia' prodotto la intervenuta dichiarazione di
 fallimento.
    3.  -  D'altro  canto,  non  puo'  disconoscersi  che  l'eventuale
 concordato preventivo offerto dal socio  receduto  potrebbe  arrecare
 vantaggi  agli  stessi  creditori  della societa', i quali potrebbero
 ottenere il pagamento dei  loro  crediti  o  per  intero  o  per  una
 percentuale maggiore di quella che possono ottenere alla chiusura del
 fallimento, evitando, comunque, la piu' lunga e dispendiosa procedura
 fallimentare  concorsuale.  Ma  la  scelta  del rimedio piu' efficace
 nella gamma delle  sussistenti  possibilita'  spetta  necessariamente
 alla  discrezionalita'  del  legislatore,  donde  la inammissibilita'
 della questione sollevata.