Ricorso  per  la  regione  Toscana,  in persona del presidente pro-
 tempore della giunta regionale, rappresentato e difeso per mandato  a
 margine  del presente atto dall'avv. Alberto Predieri e presso il suo
 studio elettivamente domiciliato in Roma, via  G.    Carducci  n.  4,
 conro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri  pro-tempore,
 rappresentato e  difeso  ex-lege  dall'avvocatura  dello  Stato,  per
 l'annullamento della deliberazione del comitato interministeriale per
 la  programmazione  economica  del  4 dicembre 1990, pubblicato nella
 Gazzetta  Ufficiale  n.  295  del  19   dicembre   1990,   contenente
 "ripartizione  alle  regioni di somme del Fondo sanitario nazionale -
 conto capitale - anno 1990".
    1. -  La  deliberazione  indicata  in  epigrafe  ha  stabilito  di
 assegnare  alle  regioni,  tra  cui  la  regione  Toscana,  una somma
 complessiva di lire settantasei miliardi,  gia'  accantonata  con  la
 precedente deliberazione del 28 giugno 1990 (in Gazzetta Ufficiale n.
 201 del 29 agosto 1990), consistente in quota di parte conto capitale
 del fondo sanitario nazionale 1990, da destinare al finanziamento dei
 programmi  "Tutela  materno infantile" (per lire trentuno miliardi) e
 "Lotta  alle  malattie  cardiovascolari"  (per  lire   quarantacinque
 miliardi).
    Le  predette  somme  non  solo  sono  state ripartite tra le varie
 regioni (tra cui la regione Toscana, cui sono stati  attribuiti  lire
 308  milioni  per  la "tutela materno infantile" e lire 2.200 milioni
 per  la  "lotta  alle  malattie  cardiovascolari",  ma   sono   state
 ulteriormente assoggettate ad un vincolo di destinazione proposto non
 gia' dalle regioni, ma dal Ministro della sanita'.
    La   deliberazione  stabilisce  infatti  che  "gli  interventi  da
 realizzare con le predette somme saranno localizzati  secondo  quanto
 proposto  dal  Ministro  della  sanita'"  e prosegue con la specifica
 elencazione degli istituti, ospedali,  cliniche,  facolta',  cattedre
 beneficiarie  degli  interventi  predetti,  tanto  per  il "programma
 materno infantile" quanto  per  il  "programma  lotta  alle  malattie
 cardiovascolari".
    Infine,  la  deliberazione  stabilisce  che  "qualora  le  regioni
 interessate ritengono di dover intervenire con priorita' in strutture
 diverse da quelle sopraindicate inoltreranno  richiesta  motivata  al
 Ministro  della  sanita'  che,  entro  trenta  giorni, sottoporra' al
 C.I.P.E. la richiesta di modifica alla presente deliberazione".
    2. - Il provvedimento  impugnato  viola  le  competenze  regionali
 costituzionalmente  garantite  alla  regione nella materia sanitaria,
 nonche' l'autonomia finanziaria  della  regione  sul  versante  della
 spesa.
    L'art.  51  della  legge  n. 833/1978 definisce le competenze e la
 loro distribuzione fra Stato e regioni quanto  al  finanziamento  del
 servizio  sanitario  nazionale,  e  costituisce pertanto (secondo una
 prospettiva gia' evidenziata per altre norme della  legge  833  dalla
 Corte,  (cfr.  sent. 308 del 1990) norma interposta rispetto all'art.
 117 della Costituzione. Essa prescrive - per quanto qui  interessa  -
 che  la  ripartizione  delle  somme  stanziate con la legge di cui al
 primo comma venga effettuata dal C.I.P.E. tra tutte le Regioni (salvo
 adesso quelle a statuto speciale, in forza dell'art. 20 del d.-l.  n.
 415/1/989, convertito in legge n. 381/1990), su proposta del Ministro
 della  sanita',  il consiglio sanitario nazionale, tenuto conto delle
 indicazioni contenute nei piani  sanitari  nazionali  e  regionali  e
 sulla  base  di  indici standards distintamente definiti per la spesa
 corrente e per la spesa in conto capitale (in relazione ai quali sono
 successivamente  intervenute  altre  norme, tra cui in particolare la
 legge n. 505/1985 e la delibera C.I.P.E. del  20  dicembre  1984,  in
 Gazzetta  Ufficiale  n.  51  del 28 febbraio 1985, che non modificano
 peraltro l'impianto di procedure di ripartizione di  cui  al  secondo
 comma dell'art. 51 della legge n. 833).
    Ai  sensi del quarto comma dell'art. 51, le regioni "sulla base di
 parametri numerici da  determinarsi,  sentiti  i  comuni,  con  legge
 regionale  ed  intesi  ad  unificare  il  livello  delle  prestazioni
 sanitarie, provvedono a ripartire tra le unita' sanitarie locale,  la
 quota  loro  assegnata  per  il  finanziamento  delle spese correnti,
 riservandone un'aliquota  non  superiore  al  cinque  per  cento  per
 interventi imprevisti.
    Tali   parametri   devono   garantire   gradualmente   livelli  di
 prestazioni uniformi nell'intero territorio regionale. Per il riparto
 della quota loro assegnata per il finanziamento delle spese in  conto
 capitale,  le  regioni provvedono sulla base delle indicazioni formu-
 late dal piano sanitario nazionale".
    3. - Va ancora aggiunto che in materia di ripartizione  del  fondo
 sanitario  nazionale  sono  successivamente  intervenute  altre norme
 (art. 27 della legge n. 730/1983, legge  finanziaria  1984;  art.  17
 della  legge  n.  887/1984,  legge  finanziaria  1985)  che  tuttavia
 stabiliscono  criteri  e  procedure  di   ripartizione   parzialmente
 diversi,  con  limitato  effetto  agli  esercizi  (1984  e  1985)  di
 rispettiva  competenza:  pur  se  poi,   nel   generale   quadro   di
 disorganicita'  dell'ordinamento  del  servizio  sanitario nazionale,
 invano censurato dalla Corte sin dalla  sentenza  n.  245  del  1984,
 punto  11 del diritto, norme successive si richiamano ancora a quelle
 ora citate, quasi che si trattasse di norme  aventi  efficacia  anche
 oltre  l'ambito temporale dell'esercizio finanziario in esse previsto
 (cosi', ad esempio, l'art. 5, punto 2, della legge  n.  109/1988,  di
 conversione  del  d.-l.  n.  27/1988,  prevede  una quota di lire 850
 miliardi  per  attivita'  individuate  dal  Ministro  della  sanita',
 sentito  il  consiglio  sanitario  nazionale,  espressamente definita
 quale "quota a destinazione vincolata ai  sensi  dell'art.  17  della
 legge   22  dicembre  1984,  n.  887":  quasi  che  quest'ultimo  non
 contenesse prescrizioni - tra cui quella della  "enucleazione  di  un
 fondo  per attivita' di rilievo a destinazione vincolata", lettera d)
 dell'art. 17, terzo comma, limitate all'eserciaio 1985,  come  invece
 esplicitamente previsto dallo stesso art. 17, terzo comma).
    4.  -  In ogni caso, anche le somme sopravvenute, e in particolare
 quelle citate, stabiliscono esplicitamente che le procedure  previste
 nell'art. 51 della legge n. 833/1978 "restano ferme".
    Ne segue che la ripartizione del fondo sanitario nazionale e delle
 sue articolazioni, ivi comprese - se del caso - quelle consistenti in
 fondi a destinazione vincolata, deve avvenire in conformita' a quanto
 stabilito  dall'art.  51:  ossia,  in particolare, tenuto conto delle
 indicazioni contenute nei piani  sanitari  e  regionali,  sulla  base
 degli indici e standards distintamente definiti per la spesa corrente
 e la spesa in conto capitale e con la individuazione delle Regioni (e
 non  di  singoli  istituti,  cliniche,  ospedali,  universita'  e via
 dicendo) quali destinatari della ripartizione.
    Prevedere che la  "localizzazione"  degli  interventi  sia  quella
 specificamente  individuata  dal  decreto  significa non applicare la
 norma che attribuisce alla regione la  funzione  di  soggetto  finale
 della   ripartizione,   dal   momento  che  la  localizzazione  degli
 interventi  e'  tassativa e definitiva, e non modificabile se non con
 richiesta motivata delle regioni al Ministro  della  sanita'.  Da  un
 lato,  pertanto,  viene introdotta una previsione di destinazione fi-
 nale degli interventi  che  non  e'  compatibile  con  le  competenze
 regionali  garantite  dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione e
 configurate dalla norma interposta dell'art. 51 della legge  n.  833;
 dall'altro,  la  lesione  dei poteri della regione e' aggravata dalla
 indicazione  delle  modalita'  con  cui  puo'  essere  modificata  la
 distinazione  finale delle somme, che confermano il ruolo subordinato
 delle regioni, divenute - da soggetti destinatari della  ripartizione
 e   responsabili   della  utilizzazione  delle  somme  e  della  loro
 distribuzione alle U.S.L. - meri intermediari di una distribuzione di
 somme gia' vincolata al fine e costrette a un meccanismo di richiesta
 motivata  addirittura  al   Ministro   della   sanita'   (e   neppure
 direttamente al C.I.P.E.), qualora vogliano tentare di mantenere quei
 poteri  che  vengono  loro  riconosciuti dalle norme costituzionali e
 interposte citate. Il Ministro viene configurato in modo  illegittimo
 e  arbitrario  come  superiore  gerarchico delle Regioni che, al piu'
 possono muovere, le loro motivate, ma comunque sommesse,  rimostranze
 che  verranno  sottoposte alla attenzione, forse benevola e forse no,
 del Ministro. Tutta questa impalcatura non ha nulla in comune con  il
 ruolo costituzionale delle regioni e le competenze ad esse garantite.
    5.-  Ne'  si potrebbe sostenere che la deliberazione impugnata era
 gia' interamente implicata, nei suoi contenuti,  dalla  deliberazione
 C.I.P.E. del 28 giugno 1990, ivi richiamata. Quest'ultima si limitava
 infatti  a  prevedere  l'accantonamento  della somma complessiva e un
 potere di proposta del Ministro della sanita', ma non comportava  ne'
 comporta   che   tale   potere   potesse  essere  esercitato  (e  poi
 riconosciuto con la delibera impugnata) con le modalita'  illegittime
 di cui al provvedimento del 4 dicembre 1990.
    Non  stava  scritto  nella  deliberazione  28 giugno 1990, ne' sta
 scritto da nessun'altra parte, che  il  vincolo  di  destinazione  al
 finanziamento  di particolari programmi debba implicare un vincolo di
 destinazione anche quanto alle  singole  strutture  presso  le  quali
 allocare  gli  interventi.  I  due  tipi di vincolo si muovono su due
 piani diversi, il primo dei quali  puo'  essere  compatibile  con  il
 rispetto  dei  poteri  delle  regioni,  mentre  il secondo non lo e',
 perche' travolge l'autonomia e  la  competenza  delle  regioni  nella
 scelta  e  nella  ripartizione  delle  somme vincolate tra i soggetti
 operanti all'interno della  regione,  negando  che  esse  abbiano  il
 potere  e  la  capacita'  di  operare,  nel  rispstto  del vincolo di
 finanziamento, la ripartizione delle somme al loro interno.