IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento civile iscritto al n. 64 del ruolo generale per gli affari contenziosi in camera di consiglio dell'anno 1985 posto in deliberazione all'udienza del 16 ottobre 1989 e vertente tra Ricotta Donatella, Asmara, Luigia e Maria elettivamente domiciliate in Roma, via Faa' di Bruno, 4, presso lo studio dell'avv. Franco Di Maria che le rappresenta e difende per delega a margine del ricorso introduttivo, ricorrenti, e Ricotta Sesto elettivamente domiciliato in Roma, via Barberini, 67, presso lo studio dell'avv. Ezio Calderai che lo rappresenta e difende per delega in atti, resistente, Ricotta Nicola e Luciano e Marinucci Rituccia, resistenti non costituiti. Premesso che: 1) con ricorso depositato il 16 gennaio 1985 Ricotta Donatella, Asmara, Maria e Luigia esponevano che il loro padre Albino Ricotta aveva a suo tempo ricevuto l'assegnazione di un terreno ai sensi delle leggi sulla riforma fondiaria, dallo stesso poi riscattato dall'ente maremma in data 6 luglio 1973; che lo stesso era deceduto in data 9 aprile 1983 e con due testamenti aveva proceduto prima alla divisione del podere tra i suoi figli e quindi ad attribuire loro la quota disponibile; chiedevano pertanto, nella loro qualita' di titolari della maggioranza delle quote ereditarie l'assegnazione in via esclusiva a loro e ai coeredi che intendevano vivere in comunione ai sensi degli artt. 5 e 6 della legge n. 1078/1940 del fondo in questione; 2) con autonomo ricorso depositato il 29 gennaio 1985 Ricotta Sesto, rappresentato che essendo l'unico tra i coeredi a possedere la qualita' di coltivatore diretto aveva diritto all'attribuzione esclusiva del terreno ai sensi delle citate disposizioni della legge n. 1078/1940, chiedeva che l'immobile, dietro pagamento di un conguaglio in denaro ai coeredi, venisse a lui soltanto assegnato; 3) le due procedure venivano riunite e veniva espletata consulenza al fine di determinare il valore dell'immobile; 4) poiche' nella relazione depositata dal c.t.u. si faceva riferimento alla possibilita' di divisione del fondo in piu' unita' poderali organiche, le ricorrenti all'udienza dell'8 febbraio 1988 chiedevano che, in via subordinata si procedesse alla rimozione del vincolo di indivisibilita' e quindi alla concreta divisione del fondo; 5) a tale istanza si opponeva Ricotta Sesto sia perche' la stessa costituiva domanda nuova in quanto tale inammissibile sia perche' comunque non accoglibile alla luce delle disposizioni aventi ad oggetto i fondi in questione che sanciscono il prevalere del principio della conservazione dell'unita' poderale in capo al coerede munito dei requisiti per provvedere alla utile coltivazione dello stesso; 6) il tribunale con provvedimento in data 11 marzo 1988, rigettata l'eccezione di inammissibilita' della domanda avendo ritenuto inapplicabili ai procedimenti camerali le preclusioni di cui agli artt. 183 e 184 del c.p.c., rinviava la causa per l'ulteriore trattazione sulla domanda di divisione formulata dalle ricorrenti e quindi, all'udienza del 16 ottobre 1989, concesso ampio termine per note illustrative, riservava di decidere sulle contrapposte istanze delle parti. O S S E R V A Da molto tempo e soprattutto dopo la fine della seconda guerra mondiale nello spirito dei rivolgimenti dalla medesima innescati, lo Stato ritenne necessario procedere ad una riforma del sistema fondiario allo scopo di realizzare piu' equi rapporti sociali a garantire un migliore sfruttamento del suolo. Con varie leggi successive venne percio' disposta l'espropriazione di una serie di terreni e l'assegnazione degli stessi ai contadini per un prezzo inferiore a quello di mercato. Tale prezzo agevolato avrebbe dovuto essere pagato in trenta rate annuali senza possibilita' di riscatto anticipato. Fino all'integrale pagamento del prezzo, la proprieta' del fondo sarebbe rimasta all'ente di riforma che aveva proceduto all'espropriazione ed all'acquisto. Saldata l'ultima rata, la proprieta' del bene sarebbe passata invece all'assegnatario. Con legge 29 maggio 1967, n. 379, venne apportata una prima modifica al regime delle c.d. terre di riforma, stabilendosi che i contadini avrebbero potuto riscattare anticipatamente i fondi dopo sei anni dall'immissione in possesso. Esercitando il diritto di riscatto, gli assegnatari avrebbero potuto percio' acquistare la proprieta' dei terreni anche prima del trentennio dalla consegna. Quest'ultimo termine, tuttavia, avrebbe continuato a segnare ancora una scadenza piuttosto importante, essendo stato previsto (art. 4) che fino al termine del trentesimo anno dalla data della prima assegnazione, il fondo avrebbe potuto essere alienato soltanto all'ente di riforma o a determinate categorie di coltivatori per un prezzo non superiore a quello riconosciuto congruo dall'ispettorato provinciale dell'agricoltura. Fino allo scadere del menzionato trentennio, inoltre, non avrebbe potuto essere apportata alcuna variazione alle dimensioni originarie dei terreni ne' avrebbe potuto essere stipulato, senza autorizzazione dell'ente, alcun atto di affitto o di cessione (totale o parziale). Sempre in base al citato art. 4, infine, in fondi riscattati sarebbero rimasti soggetti anche a vincolo di indivisibilita' ai sensi della legge 3 giugno 1940, n. 1078 (che aveva previsto l'infrazionabilita' per atto tra vivi o mortis causa di determinate unita' poderali). A differenza tuttavia degli altri divieti e limitazioni, il vincolo di indivisibilita' non sarebbe cessato allo scadere del trentennio ma - come univocamente ritenuto in dottrina ed in giurisprudenza - avrebbe continuato a gravare in perpetuo sui fondi che, di conseguenza, non avrebbero potuto mai essere smembrati per atto fra vivi o morti causa. Nel caso di morte dell'assegnatario che avesse gia' proceduto al riscatto anticipato del terreno, quest'ultimo non avrebbe percio' potuto essere frazionato fra i vari coeredi, ma stante il richiamo operato dall'art. 4 della legge n. 379/1967 a tutte le disposizioni della legge n. 1078/1940 (v. in tal senso Corte costituzionale del 17 aprile 1985, n. 103, in giur. it. 1986, I, 363), avrebbe dovuto essere assegnato a quello designato dal testatore o, in mancanza, ed in difetto di accordo tra gli interessati, dal tribunale in camera di consiglio. Con successiva legge 30 aprile 1976, n. 386, venne apportata un'ulteriore modifica al regime delle terre di riforma stabilendosi all'art. 10, primo comma, che il riservato dominio degli enti sarebbe cessato col pagamento della quindicesima annualita' di prezzo. Pagata tale rata, quindi, gli assegnatari che non avessero - ovviamente - gia' esercitato il diritto di riscatto ex lege n. 379/1967 sarebbero divenuti automaticamente proprietari dei terreni. Anche tale categoria di assegnatari avrebbe dovuto comunque attendere il solito trentennio dall'immissione in possesso, essendo stato previsto dal secondo comma del medesimo art. 10 che i fondi affrancati (dopo cioe' 15 anni) sarebbero rimasti soggetti per altri 15 anni "ai vincoli, alle limitazioni ed ai divieti di cui agli artt. 4 e 5 della legge 29 maggio 1967, n. 379". Conformemente alla prevalente dottrina (per la giurisprudenza edita v. trib. Pisa del 19 marzo 1986 in nuovo diritto agrario 1986, II.99) la predetta norma sembra da intendere nel senso che allo scadere del trentennio i fondi automaticamente affrancati possono essere liberamente divisi per atto tra vivi o mortis causa. La contraria lettura propugnata dalla dottrina minoritaria (e, per la giurisprudenza edita, dal tribunale di Civitavecchia del 5 marzo 1987 in nuovo diritto agrario 1989, II, 133) non pare sostenibile perche', richiamando i "vincoli" di cui alla precedente legge, il legislatore del 1976 intese testualmente riferirsi proprio alla indisponibilita' che era stata qualificata proprio come vincolo dal primo comma dell'art. 4 della legge n. 379/1967. Non essendo consentito all'interprete attribuire alla legge altro significato diverso da quello fatto palese dalle parole usate, deve pertanto ritenersi che con l'art. 10, secondo comma, della legge n. 386/1976 il legislatore abbia voluto consentire il frazionamento, allo scadere del trentennio dei fondi automaticamente affrancati. Aggiungasi inoltre che per favorire lo sviluppo della proprieta' coltivatrice venne deciso con legge n. 590/1965 di concedere ai mezzadri, coloni parziari, compartecipanti, affittuari, enfiteuti coltivatori diretti ed agli altri lavoratori manuali della terra, mutui della durata di anni 40 al tasso annuo dell'1% per l'acquisto di fondi rustici aventi determinate caratteristiche (art. 19). Con successiva legge n. 817/1971 venne estesa la portata dei predetti benefici, precisandosi pero' all'art. 11 che i fondi acquistati con le facilitazioni creditizie all'uopo concesse dallo Stato sarebbero rimasti soggetti per 30 anni al vincolo di indivisibilita'. Trattandosi di situazioni sostanzialmente analoghe e per la qualita' dei beneficiari dei mutui e per le condizioni particolarmente vantaggiose degli stessi (costituenti in definitiva un'agevolazione molto vicina a quella prevista dalle leggi di riforma), l'inequivocabile disposizione sopra richiamata appare quindi decisiva riprova della esattezza del convincimento dinnanzi espresso sul significato da riconoscere al secondo comma dell'art. 10 della legge n. 386/1976. Lungi dal rappresentare una novita' quest'ultimo non fu altro, dunque, che la conferma di una tendenza gia' emersa in sede legislativa. Tanto puntualizzato devesi rilevare che il secondo comma dell'art. 10 della legge n. 386/1976 prende inequivocabilmente in considerazione soltanto i fondi automaticamente affrancati e non risulta percio' applicabile ai terreni riscattati anticipatamente ex lege n. 379/1967 che continuano percio' a rimanere soggetti a vincolo perenne d'indivisibilita'. Ogni possibilita' d'interpretazione estensiva pare infatti inesorabilmente preclusa dal chiaro disposto della norma espressamente limitato ai soli fondi cosi' affrancati e cioe' a quelli automaticamente passati in proprieta' degli assegnatari con il pagamento della quindicesima annualita' del prezzo. Le medesime terre di riforma risultano dunque oggi soggette ad una diversa disciplina: quelle riscattate anticipatamente ex lege n. 379/1967 sono sottoposte al vincolo perpetuo di indivisibilita' con le conseguenze di ordine successorio sopra evidenziate; quelle automaticamente affrancate ex lege n. 386/1976 sono invece divisibili allo scadere del trentennio con la conseguenza che, decorso tale termine, potranno essere frazionate fra i coeredi dell'assegnatario nel frattempo deceduto. La legge n. 386/1976 ha quindi posto gli assegnatari di terreni automaticamente affrancati ed i loro eredi in una condizione indubbiamente piu' favorevole di quella dei riscattanti anticipati e dei loro eredi. Trattandosi della medesima categoria di terreni e della medesima categoria di beneficiari, la predetta differente disciplina appare priva di valida giustificazione e percio' idonea a determinare un'irrazionale disparita' di trattamento in violazione del principio costituzionale di uguaglianza. Non sembrando la stessa manifestamente infondata appare allora opportuno investire la Corte costituzionale della questione relativa alla legittimita' dell'art. 10, secondo comma, della legge n. 386/1976 - in relazione all'art. 3 della Costituzione - nella parte in cui non prevede il venir meno del vincolo di indivisibilita' alla scadenza del trentennio anche per i fondi, anticipatamente riscattati. Tale questione assume rilievo essenziale ai fini della decisione della presente causa in quanto le ricorrenti con la domanda ritenuta ammissibile dal tribunale proposta all'udienza dell'8 febbraio 1988 hanno espressamente richiesto che si procedesse alla divisione del bene contrastando l'opposta istanza proposta con autonomo ricorso dal coerede Ricotta Sesto di assegnazione in via esclusiva del medesimo bene, proprio invocando l'indivisibilita' del terreno a suo tempo assegnato in base alle leggi di riforma al dante causa e da questi anticipatamente riscattato in data 6 luglio 1973 ex lege n. 379/1967. Poiche' all'epoca di introduzione della detta domanda di divisione erano gia' decorsi trent'anni dall'assegnazione (avvenuta il 6 giugno 1955) il problema della legittimita' o meno dell'art. 10, secondo comma, della legge n. 386/1976 (nella parte in cui non prevede la cessazione del vincolo d'indivisibilita' alla scadenza del trentennio anche per i fondi anticipatamente riscattati), gia' sollevata da questo tribunale in analoga fattispecie con ordinanza del 6 dicembre 1989, viene a porsi come questione preliminare senza la cui risoluzione non potrebbe definirsi il giudizio. Come rilevato anche dalla gia' citata Corte costituzionale del 17 aprile 1985, n. 103, gli artt. 5 e segg. della legge n. 1078/1940 sono la necessaria conseguenza del vincolo d'indivisibilita' ed in tanto possono essere invocati in quanto quest'ultimo sussiste ancora. La verifica della permanenza del vincolo al momento della introduzione della detta domanda costituisce pertanto un accertamento imprescindibile da compiere prima di qualsiasi altro, ivi compreso quello della applicabilita' del regime di parziale rimovibilita' del vincolo di indivisibilita' di cui all'art. 10 della legge n. 1078/1940, atteso che l'accertamento delle numerose condizioni procedurali e sostanziali poste dal legislatore in tale disposizione sarebbe reso superfluo dalla sussistenza di un regime di libera frazionabilita' del fondo che scaturirebbe dalla dichiarata fondatezza della questione di incostituzionalita' della norma su citata che il tribunale ritiene pertanto di dover sollevare d'ufficio.