IL TRIBUNALE Come sopra costituito; Letti gli atti ed udito il relatore, sulla questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 2, secondo e quinto comma, della legge 23 aprile 1981, n. 154, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, sollevato dalla difesa del resistente, premesso. IN FATTO Salvatore De Leo, in occasione delle ultime consultazioni elettorali per il rinnovo del consiglio comunale di Foggia, veniva eletto consigliere nella lista n. 8 della "Democrazia Cristiana", previo inoltro al Sindaco, in data 9 aprile 1990, della lettera di dimissione dalla carica di componente la commissione amministratrice della locale azienda municipalizzata - A.M.G.A.S. allo scopo di rimuovere la causa di ineleggibilita' da lui ritenuta connessa a tale carica; Luigi Pietricola, con ricorso del 7 agosto 1990, quale elettore iscritto nelle liste del comune di Foggia, impugnava la deliberazione del 21 giugno 1990, emessa dal consiglio comunale, nella parte in cui convalidava l'elezione del De Leo, deducendo che costui, malgrado la lettera di dimissioni, non era cessato dalle funzioni entro la data dell'11 aprile 1990 stabilita per la presentazione della candidatura, cioe', entro il termine utile previsto dall'art. 2, secondo comma, della legge n. 154/1981 per la rimozione della causa di ineleggibilita', ne' era cessato entro dieci giorni dal 12 giugno 1990 (data della sua proclamazione a consigliere comunale, da parte dell'ufficio elettorale centrale): giorno in cui la carica dal medesimo rivestita si sarebbe concretata, comunque, in una causa di incompatibilita'. Osserva. IN DIRITTO La questione appare rilevante e non manifestamente infondata. Deve negarsi, in primo luogo, fondamento alla tesi difensiva della parte resistente secondo cui un'interpretazione del secondo, quinto e sesto comma dell'art. 2 della legge n. 154/1981 coerente con i principi costituzionali in materia di detto elettorato, indurrebbe ad identificare il momento di presentazione delle dimissioni con quello nel quale si verifica la rimozione della causa di ineleggibilita', mentre gli effetti indicati dal quinto comma riguarderebbero unicamente il rapporto interno tra candidato e p.a.; onde nella spe- cie non sussisterebbe ineleggibilita', avendo il De Leo presentato la domanda di dimissione non oltre la scadenza dell'11 aprile 1990. A tale significato si oppone la chiara formulazione letterale della normativa in essere, che non attribuisce alcuna efficacia alla sola domanda di dimissioni stabilendo espressamente che gli effetti, accompagnati dalla reale cessazione delle funzioni, si verificano all'atto del provvedimento di accettazione, da parte della p.a., o, in mancanza di esso, a decorrere dal quinto giorno successivo alla presentazione della domanda. Tale inequivoco disposto letterale, peraltro, si armonizza con il principio di carattere generale, che non collega la risoluzione di un qualsiasi rapporto di lavoro con la p.a., o comunque la cessazione di una carica pubblica alla mera domanda di dimissione, richiedendosi pur sempre il provvedimento formale di accettazione, da parte dell'ente destinatario, senza del quale l'istanza come atto unilaterale resterebbe di per se' carente di efficacia. Proprio per agevolare il diritto costituzionale di elettorato passivo, l'art. 5, costituente, nella materia, disposizione speciale, valorizza giuridicamente il silenzio della p.a. statuendo che, in mancanza di provvedimento formale, la denuncia di dimissioni acquista efficacia, ai fini che ne ampiano, dal quinto giorno successivo alla sua presentazione e cosi' introducendo una presunzione uris et de iure di presa d'atto. In secondo luogo - contrariamente a quanto prospettato, questa volta, dalla difesa del ricorrente - occorre rilevare come detta disciplina speciale non sia incompatibile, con riferimento specifico alla carica rivestita dai componenti le commissioni amministratrici delle aziende municipalizzate, con la disposizione dell'art. 18 del d.P.R. n. 102/1986, alla cui stregua, essi restano in carica "fino allo insediamento dei loro successori". Trattasi di norma, invero, che regola l'ipotesi peculiare della cessazione dalla carica per scadenza del termine quinquennale di sua durata (art. 5, quarto comma, del r.d. n. 2578/1925) e non si estende percio' ad altre ipotesi di cessazione, come quelli per decadenza o dimissioni, inconciliabili con tale previsione. Sulla stessa norma, ad ogni modo, prevarrebbe la disposizione art. 2, quinto comma, che, nel disciplinare gli effetti delle dimissioni ai fini della rimozione delle cause di ineleggibilita', si configura come legge di carattere eccezionale a tutela del diritto di elettorato passivo costituzionalmente garantito. Consegue, pertanto, in applicazione del secondo e quinto comma della legge n. 154/1981, secondo l'interpretazione teste' propugnata, che le dimissioni del De Leo, essendo mancato un formale e temepstivo provvedimento di presa d'atto del Consiglio comunale competente al riguardo (artt. 16 e segg. del citato d.P.R. n. 902/1986), hanno avuto effetto solo a decorrere dal 16 aprile 1990 (la domanda risulta protocollata l'11 aprile 1990), e cioe' dopo la scadenza del termine per la presentazione delle liste dei candidati, con conseguente invalidita' della sua elezione che la carica rivestita in seno alla Commissione amministratrice della A.M.G.A.S. - in quanto azienda dipendente dal comune - costituisca causa di ineleggibilita' (in tal senso, del resto, cfr. Cass. n. 5524/1984 richiemata in ricorso). Qualora pero' la disciplina in esame fosse viziata di legittimita' costituzionale - cosi' come prospetta la difesa del resistente - nella parte in cui non prevede che le dimissioni acquistano efficacia fin dal momento della loro presentazione, l'eventuale pronunzia di illegittimita' costituzionale renderebbe valida l'elezione del De Leo, dal momento che la sua domanda di dimissioni risulta pervenuta al comune di Foggia in data 11 aprile 1990, e quindi avrebbe determinato tempestivamente la rimozione della causa di ineleggibilita'. E' evidente, da quanto esposto, la rilevanza della questione. La difesa del De Leo ritiene anche non manifestamente infondata la questione poiche' la disciplina applicabile al caso concreto si porrebbe, da un lato, in contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione e dall'altro, rappresenterebbe un'ingiustificata quanto arbitraria limitazione dei diritti per l'esercizio dell'elettorato passivo garantito dall'art. 51 della Costituzione. Il collegio condivide la questione sotto entrambi i profili. In ordine al primo, non sembra dubbio che le disposizioni del secondo e quinto comma come sopra correttamente interpretate determinino, senza ragionevole fondamento, una discriminazione tra i soggetti che versano in alcuna delle situazioni di ineleggibilita' previste dai 4, 9 e 10 e quello per i quali, invece, sussistono cause di ineleggibilita' ipotizzate dai restanti numeri. Sta di fatto che nella prima ipotesi le dimissioni hanno effetto immediato, al momento della loro presentazione, restando la relativa domanda sottratta alle operativita' dei disposti del quinto comma; sicche' esse possono essere presentate fruttuosamente fino al termine ultimo fisso per la presentazione delle candidature (cfr. anche Corte costituzionale 26 marzo 1969, n. 46). Cio', invece, non e' possibile nei casi tipizzati dagli altri numeri (e tra cui il n. 11 che prevede l'ineleggibilita' nella quale versa il De Leo), in quanto la rimozione della causa di ineleggibilita' dev'essere anticipata almeno al sesto giorno che pre- cede detto termine. Quanto al secondo profilo, un'obbiettiva compromissione del diritto di elettorato passivo e' ipotizzabile per il fatto che la rimozione della causa di ineleggibilita' deve necessariamente avvenire con congruo anticipo rispetto alla presentazione delle liste di candidati: cio' potrebbe realmente esporre l'interessato all'evenienza della rinuncia alla propria carica ancor prima di acquisire la certezza dell'inserimento nella lista da lui prescelta; laddove l'art. 51 della Costituzione assicura l'accesso di tutti i cittadini alle cariche elettive in condizioni di effettiva eguaglianza, senza possibili restrizioni o detrimento per determinate categorie di soggetti. Il collegio, peraltro, non ignora che la Corte costituzionale, come ricordato dalla difesa del Petricola, ha gia' esaminato la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, quinto comma, della legge n. 194/1981 (cfr. sent. n. 47 del 17 febbraio 1987 in giur. cost. 1987, I, 235) sotto il primo dei profili teste' enunciati, ma essa nessun giudizio ha formulato sulla sua fondatezza, essendosi limitata a dichiararne l'inammissibilita' per carenza di motivazione sulla rilevanza.