IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letta l'ultima ennesima richiesta del p.m. 22 ottobre 1990 di archiviazione per infondatezza della notizia di reato; Atteso che in detta sede si sostiene la inidoneita' degli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari a sostenere l'eventuale accusa in giudizio (v. al riguardo l'art. 125 delle disp. att. nuovo c.p.p.); Premesso che la complessita', peculiarita' e pregevolezza delle questioni giuridiche richiede un vasto excursus culturale che analizzi in modo approfondito il fondamento su cui poggiano le norme di legge relative al problema; Dovendosi iniziare la trattazione della problematica dell'art. 408 detto cod., problematica che scaturisce in relazione alla disciplina contemplata nell'ipotesi di non accoglimento della richiesta del pubblico ministero di archiviazione; Poiche' il detto petitum assolve, nel nuovo codice, la funzione che, sotto l'imperio dell'abrogato sistema, era svolta da due distinti strumenti, quali da un lato la richiesta di decreto di non doversi promuovere l'azione penale (di cui all'art. 74, terzo comma) e dall'ipotesi della richiesta di sentenza di proscioglimento all'esito di istruzione sommaria (di cui all'art. 395). Atteso che lato sensu l'"infondatezza della notizia di reato" comprende l'infondatezza tipica come insussistenza del fatto, gli altri casi tassativi di cui all'art. 411 del nuovo codice di procedura penale (mancanza di una condizione di procedibilita', estinzione del reato e mancata previsione del fatto come reato in sede legislativa), infine la casistica della infondatezza "soggettiva" (non aver commesso il fatto, non punibilita' per la presenza di una causa di giustificazione per qualsiasi altra ragione, fatta salva l'esigenza di applicazione di misura di sicurezza); Poiche' l'art. 408 si salda all'art. 125 delle disposizioni attive che inquadra il nesso genetico fra "infondatezza della notizia di reato" e "inidoneita' degli elementi acquisiti nelle indagini preliminari a sostenere l'accusa in giudizio" mentre l'originaria formulazione normativa agganciava l'infondatezza della detta notizia alla ritenuta assenza di "elementi sufficienti per la condanna dell'imputato" laddove al contrario l'attuale tipizzazione normativa tende a scoraggiare la prassi del rinvio a giudizio nonostante l'insufficienza degli elementi a carico, riscontrata sotto l'imperio della abrogata procedura, prassi all'opposto dell'attuale modello processuale accusatorio che tende a favorire la "deflazione dibattimentale"; posto che, nel sistema della nuova codificazione, stante una interpretazione letterale della norma, dovrebbe darsi luogo a richiesta di archiviazione anche in situazioni che nel vecchio sistema legislativo avrebbero concretizzato l'ipotesi dell'"insufficienza di prove", tali quindi da collocarsi non nella richiesta di archiviazione ex art. 74, terzo comma, bensi' nella sentenza istruttoria di proscioglimento con la detta formula dubitativa previo ovviamente necessario inderogabile esercizio dell'azione penale, con la conseguenza quindi che attualmente il giudice per le indagini preliminari si troverebbe coertato ad accogliere la detta richiesta di archiviazione, entrando tuttavia in contrasto con la formulazione dell'art. 425 del nuovo codice di procedura penale che seleziona la ipotesi in cui viene emessa sentenza di non luogo a procedere a fronte di riscontrata "evidenza"; Poiche' la detta difficolta' interpretativa non trova soluzione nella tesi, altrettanto riduttiva, tendente a rimuovere dubbi di costituzionalita', secondo cui l'art. 425 sarebbe attinente ad uno stadio piu' avanzato del procedimento penale "lato sensu" (quella dell'effettivo esercizio dell'azione penale in cui l'indagato- indiziato, cioe' la persona sottoposta alle indagini preliminari, e' ormai divenuta imputato tramite la richiesta di rinvio a giudizio "in senso tecnico", non ancora in sede dibattimentale ma in sede di udienza preliminare) riferendosi invece l'archiviazione alla fase delle indagini preliminari (precedente l'esercizio dell'azione penale), tesi secondo la quale, in sede di 425, si tratterebbe di diversa, successiva e piu' complessa fattispecie in cui l'evidenza della prova a discarico sarebbe l'effetto delle nuove prove dedotte e raccolte nella stessa udienza preliminare a norma dell'art. 422 del codice; Atteso che il ragionamento non puo' condividersi in quanto l'ipotesi del 422 e' meramente eventuale e limitata alla situazione in cui il giudici istruttore p., non disponendo di sufficienti elementi per la decisione, tempera la rigidita' del modello processuale accusatorio stimolando le parti a sollecitare l'impulso probatorio e provvedendo infine "allo stato degli atti" ove non ritenga dette richieste prove ammissibili e conferenti ai fini dell'eventuale rinvio a giudizio o dell'eventuale sentenza di non luogo a procedere ("manifesta decisivita'" nel primo caso, "evidente decisivita'" nel secondo caso) ed in quanto lo stesso pubblico ministero ex art. 417, n. 1), lett. c), e' tenuto all'indicazione delle fonti di prova acquisite nel corso delle indagini preliminari (v. in tal senso anche l'art. 416, n. 2) cioe' precedentemente all'esercizio dell'azione penale ex art. 326 (indagini necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale); Poiche' quindi le previsioni del 425 non appaiono in alcun modo dettate con esclusivo riferimento all'ipotesi di cui al 422, trattandosi di previsioni che disciplinano le ipotesi tipiche, gli sbocchi classici dell'udienza preliminare (rinvio a giudizio o proscioglimento) indipendentemente dal fatto che tale udienza si esaurisca "allo stato degli atti" ex art. 421 o dia luogo alle ulteriori acquisizioni probatorie di cui al 422; Ben potendosi ipotizzare una situazione processuale in cui da un lato non si riscontri l'"evidenza" della non colpevolezza, dall'altro ragionevolmente si ritengano gli elementi acquisiti a sostenere l'accusa in un eventuale giudizio non idonei, situazione che ridurrebbe al paradosso, incongruenza che segue: 1) ove tale situazione fosse rilevata dal pubblico ministero prima dell'esercizio dell'azione penale, condurrebbe all'archiviazione; 2) ove la stessa non fosse rilevata dal pubblico ministero e venisse, sia pure indebitamente, esercitata l'azione penale, tale "errore" o per lo meno tale "illogicita'" vincolerebbe il giudice all'osservanza dell'art. 425 con conseguente rinvio a giudizio e danno per l'imputato; 3) la prima ipotesi rientrerebbe nell'art. 125 delle disposizioni attive, la seconda ipotesi nel detto 425; Ritenendosi che l'unica strada per evitare la detta incongruenza (e le possibili censure di incostituzionalita') consista in una lettura ed analisi dell'art. 125 delle disposizioni att. che circoscriva l'idoneita' degli elementi in questione soltanto con riguardo alle prospettive di sbocco dell'udienza preliminare accettandosi l'eventualita' che detto sbocco sia costituito dal rinvio a giudizio, non identificandosi quest'ultimo con il solo dibattimento ma anche con l'udienza preliminare, fase quest'ultima che deve concludersi con una autentica pronuncia a carattere giurisdizionale ("decreto" nell'ipotesi di rinvio a giudizio, "sentenza" nell'ipotesi di non luogo a procedere, essendo il decreto una pronuncia avente la funzione di aprire la strada ad una fase ulteriore del procedimento processo (il processo e' un tipo particolare e piu' avanzato di procedimento), strada destinata a concludersi con apposita sentenza dibattimentale (di condanna od assolutoria), collegandosi il carattere giurisdizionale del provvedimento alla singola forma tipizzata dalla legge (decreto, ordinanza, sentenza) in quanto ogni tipo di pronuncia tende alla definizione, nel contraddittorio delle parti processuali, di un procedimento o di una sua fase ed il relativo nomen invis e' legato e vincolato dalla scelta peculiare della volonta' del legislatore. Ritenuto che la validita' della pregressa argomentazioni trova, ad avviso dello Scrivente, conforto nella gerarchia che concepisce la normativa di attuazione come strumentale rispetto alla normativa del codice (e non viceversa) e che tale lettura esegetica conduce alla perfetta coincidenza fra i criteri sulla base dei quali il pubblico ministero deve richiedere l'archiviazione e quelli alla base della sentenza di non luogo a procedere; Atteso che le dette complesse argomentazioni si sono rese necessarie in quanto, dall'intero contesto degli atti processuali, fin dalla originaria richiesta di archiviazione, il pubblico ministero, di contrario avviso a quello del giudice che scrive, ha sostenuto la tesi, talora implicitamente, talora in forma esplicita, dell'inidoneita' degli elementi di prova ai fini dell'eventuale giudizio dibattimentale; Ritenendosi esaurito il commento all'art. 408 e dovendosi iniziare quello di cui al successivo 409; Atteso che la relativa disciplina normativa rispecchia la peculiarita' difficolta' della conciliazione fra i principi del sistema processuale accusatorio (ove il pubblico ministero dominus assoluto dell'azione penale e' l'unico soggetto del processo cui com- pete la valutazione circa la sussistenza o meno delle condizioni per farsi luogo a detta azione) con la obbligatorieta' dell'azione penale di cui all'art. 112 della Costituzione e la radicata tradizione di un controllo da parte del giudice sulla correttezza o meno di tale valutazione, con l'altrettanto logica conseguente possibilita' di una sostituzione, in caso di giudizio negativo, della volonta' del giudice a quella, carente, del pubblico ministero, tradizione che risale all'art. 6 del decreto legislativo luogotenenziale 14 settembre 1944, n. 288, con il quale si dispose la modifica radicale dell'art. 74 del vecchio codice di procedura penale, sottraendo al pubblico ministero il potere di disporre direttamente l'archiviazione nei casi in cui riteneva non promuovibile l'azione penale (c.d. "potere di cestinazione della notitia criminis") imponendogli, in detta ipotesi, di richiedere al giudice istruttore apposito decreto ed assegnando a detto giudice, nel caso di dissenso la possibilita', di disporre direttamente il procedersi nella strada dell'istruzione formale; Atteso che trattavasi, quanto alla abrogata discrezionalita', di conseguenza logica in un sistema ove il pubblico ministero rappresentava la longa manus del potere esecutivo, operando alle sue dirette dipendenze in un processo "inquisitorio" caratterizzato da discrezionalita' dell'azione penale, e di correttivo (il citato decreto legislativo luogotenenziale 1944) precedente all'entrata in vigore della Carta costituzionale che ha reso l'azione penale obbligatoria ed il terzo potere (autorita' giudiziaria) indipendentemente dai residui poteri (esecutivo e legislativo); Poiche' tuttavia il processo inquisitorio era, anche ante 1944 ed ante Costituzione, temperato dal principio processuale, conquista di civilta' giuridica ne procedat index ex officio e le dette esigenze, apparentemente in contrasto fra loro, venivano salvaguardate dal considerare anche l'archiviazione un modo di esercizio obbligatorio dell'azione penale, appunto in senso favorevole all'indiziato, non essendo il pubblico ministero vincolato all'accusa-condanna ma risultando al contrario autentico promotore del rispetto della norma di legge, vincolato alla legge stessa, parte nel senso processuale ma anche e particolarmente "parte pubblica" che tende all'accertamento della verita' materiale, connotazione quest'ultima, gia' accentuata dalla Corte costituzionale ed ancora ribadita dall'art. 358 del nuovo codice di procedura penale laddove statuisce che l'A.G.O. requirente compie ogni attivita' necessaria ai fini indicanti nell'art. 326 e svolge altresi' accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini; Essendo attualmente la detta difficolta' data dal contrasto fra il sistema accusatorio (che accentua il ne procedat index ex officio) e l'esigenza di fondo (gia' trattata) di un controllo sull'operato del pubblico ministero; Premesso che il primo comma del 409 risolve il caso, di ovvia soluzione, dell'archiviazione accolta dal g.i.p. con decreto motivato con altrettanto ovvia restituzione degli atti al pubblico ministero; Premesso altresi' che il secondo comma citata norma statuisce tassativamente che, nell'ipotesi di mancato accoglimento della detta richiesta, il giudice metta in moto il meccanismo dell'udienza in camera di consiglio (non certo della udienza preliminare che e' anch'essa udienza in camera di consiglio ma nella fase del "processo" e non piu' del "procedimento", udienza per l'imputato e non per la persona assoggettata alle indagini preliminari), udienza che si svolge "nelle forme previste dall'art. 127" (mentre l'udienza preliminare si sviluppa nelle forme di cui agli articoli 416 e 429 del nuovo codice di procedura penale, stante la sua "tipicita'" e peculiarita'); Posto che i singoli commi dell'art. 409 non possono leggersi isolatamente ma debbono collocarsi in un contesto gerarchico- esegetico, nel senso che il secondo comma e' preliminare ed introduttivo agli altri, ivi compreso il quinto comma in cui il giudice, quando non accoglie la richiesta di archiviazione, dispone con ordinanza che entro dieci giorni il pubblico ministero formuli l'imputazione ed entro due giorni dalla formulazione dell'accusa fissa con decreto l'udienza, preliminare per la quale, in quanto applicabili e compatibili, si applicano le disposizioni degli articoli 418 e 419 (att. 128), cio' in quanto lo stesso quinto comma specifica, all'inizio del periodo, che l'ipotesi si verifica "Fuori del caso previsto dal quarto comma" cioe' di quel supplemento di indagini preliminari ritenuto necessario dal giudice istruttore p. a seguito dell'udienza "camerale" ed indicato con ordinanza al pubblico ministero con annessa fissazione di un termine indispensabile per il compimento di esse; Poiche' quindi non puo' assolutamente ritenersi, dal tenore letterale, esplicito e sostanziale della norma, che il giudice possa ordinare quanto sancito dal quinto comma omettendo la preventiva e prodomica convocazione delle parti in camera di consiglio; Poiche' in ogni caso l'archiviazione, stante l'intero art. 409, non puo' considerarsi atto dovuto, mentre la fissazione dell'udienza preliminare di cui al quinto comma avviene ex officio laddove al contrario, ove si ritenga che il pubblico ministero non abbia esaurientemente svolto le indagini, il meccanismo di controllo impone la comunicazione della data d'udienza (fissata all'uopo dal giudice) al p.g. che e' facoltizzato ex art. 412, secondo comma, del nuovo codice di procedura penale (il p.g. puo' altresi' disporre l'avocazione a seguito della comunicazione prevista dall'art. 409, terzo comma), e si e' al riguardo ritenuta la detta facoltativita' (anziche' l'obbligatorieta') senza violare l'art. 112 della Costituzione, in quanto, nel momento di fissazione da parte del giudice istruttore p. dell'udienza "camerale" il rapporto processuale fra il giudice controllore e verificatore ed il pubblico ministero "controllato" non si e' ancora esaurito, giacche', nell'ipotesi di ulteriori indagini, ben potrebbe il pubblico ministero di prima istanza rivedere le proprie posizioni nel merito ed esercitare l'azione penale richiedendo al giudice la fissazione dell'udienza preliminare e non puo' quindi ancora parlarsi di mancato esercizio dell'azione penale, che solo (insieme con la mancata richiesta di archiviazione di cui all'art. 412, primo comma) impone al p.g. presso la corte d'appello l'avocazione con decreto motivato delle indagini preliminari (di contro all'inerzia "processuale" del pubblico ministero di prima istanza), atto quindi dovuto a titolo di sostituzione processuale resosi manifesta con l'inutile decorso dei termini per le indagini preliminari (articoli 406 e 407 stesso codice) entro i quali il pubblico ministero avrebbe dovuto formulare le sue antitetiche richieste; Premesso che l'udienza preliminare di cui al quinto comma dell'art. 409 non ricalca pedissequamente l'udienza preliminare di cui al 416 ma e' sui generis, certo con la presenza necessaria del pubblico ministero senza tuttavia l'atto tipico introduttivo della richiesta di rinvio a giudizio con indicazione della fonti di prova, consistendo il tutto nel meccanismo sostitutivo di fissazione della detta udienza iussu indicis cioe' ex officio, ove cioe' l'accusa non e' formulata dal pubblico ministero ma dal giudice senza che questo infici la titolarita' costituzionale, in capo all'a.g.o. requirente, del potere d'accusa, trattandosi di incombenza, nella specie, meramente tecnica, ritenendosi quindi, malgrado la lacunosita' della norma e la sua formulazione troppo sintetica e riduttiva, che la "formulazione dell'imputazione" venga redatta preliminarmente dal g.i.p. dissenziente, con obbligo per il p.m. (altrettanto dissenziente in senso opposto) di recepire tale formulazione attenendosi al dettato giudiziale ("volonta' necessitata"), diretta a far si' che il giudice disponga apposito rinvio a giudizio all'udienza preliminare (non certo e non ancora al dibattimento), puro e semplice adempimento, lo si ribadisce, di ordine tecnico, atto a porre il giudice nelle condizioni di poter decidere, con sentenza (nell'ipotesi di non luogo a procedere) o con decreto (nell'ipotesi di rinvio a giudizio); Ritenuto che tale incombenza tecnica non certa in alcun modo ne' la volonta' del p.m. ne' quella del g.i.p. in ordine al merito della questione in quanto lo stesso resta impregiudicato all'esito dell'udienza preliminare prossima ventura, ove non si esclude a priori ne' che il p.m. possa rivedere le proprie posizioni e richiedere il rinvio a giudizio ne' (tantomeno che il giudice richiesto o no dal p.m., e comunque in tutta autonomia rispetto alle richieste di tutte le parti (pubbliche e private) possa emettere sentenza favorevole all'imputato, ad un riesame del merito; Poiche' del resto il p.m. non potrebbe, ad avviso di chi scrive, essere costretto a formulare il capo d'accusa (che non la convince) sulla base di indicazioni generiche da parte del g.i.p. (senza cioe' circostanziare il fatto) perche' si tratterebbe di autentica forzatura, dovendo quindi egli redigendo sulla base di una ben precisa traccia da parte del giudice, con l'unica (peculiare) differenza (rispetto al vecchio c.p.p.) che il g.i. dominus dell'istruzione formale rimaneva "dominus" anche del fascicolo processuale mentre nel nuovo sistema la titolarita' delle indagini rimane al p.m. e quella della decisione al g.i.p.; Atteso che il giudice puo' ancora disporre l'archiviazione, inizialmente non accolta, nell'ipotesi di un espletato supplemento di indagini preliminari (ed ove ovviamente il p.m. all'esito delle stesse insista sull'archiviazione) come puo' farlo anticipatamente, senza cioe' disporre le medesime, all'esito dell'udienza in camera di consiglio ove del resto la presenza del p.m. e' facoltativa) (in tali casi si archivia tramite ordinanze); premesso che il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza di archiviazione concerne i soli casi di nullita' formale di cui all'art. 127, quinto comma; Dovendosi in questa sede analizzare piu' in dettaglio il meccanismo di cui al quarto comma della cit. norma; Sembrando, nella specie, che il termine "indispensabile" debba intendersi come "strettamente necessario"; Poiche' i (termini di cui agli articoli 4 o 5, 4 o 6 e 4 o 7 sono la premessa per la richiesta di archiviazione di cui al 408; ritenendosi che l'ordinanza del g.i.p. che dispone il detto supplemento non debba essere vincolata riduttivamente dalla precedente normativa perche' altrimenti, ove ad es. il giudice dovesse tenere conto del decorso dei detti termini, l'archiviazione diverrebbe "atto dovuto" e quindi al contrario e' lo stesso giudice a disporre d'ufficio la proroga dei termini per le indagini preliminari (non richiesta dal p.m.) a differenza dell'ipotesi di cui al 406 anche come recentemente modificato intesi in cui e' il p.m., ovviamente prima della scadenza e per giusta causa, a richiedere la proroga del termine previsto dall'art. 405 (art. 406, primo comma) per un tempo non superiore a sei mesi, ed ulteriori proroghe (art. 4 o 6, secondo comma) ciascuna per non oltre sei mesi "nei casi di particolare complessita' delle indagini" ovvero "di oggettiva impossibilita' di concludere entro il termine prorogato", mentre la durata massima del termine non puo' comunque eccedere i 18 mesi fatto salvo l'art. 393, quarto comma, in tema di incidente probativo (art. 407, primo comma); Atteso che ex art. 407, n. 3, qualora il p.m. non abbia esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati, ed al riguardo deve ritenersi che il disposto della norma non possa automaticamente estendersi anche alla proroga "impropria" di cui al 405, quarto comma, non attivate dal p.m., e che tuttavia il riferimento sia valido, al contrario, nel senso che il p.m. tenuto a svolgere, nolente (comunque non sua sponte) ulteriori indagini, non potra' utilizzare le risultanze ove ecceda la proroga ex lege proveniente dal g.i.p. Poiche' in ogni caso, ove le indagini risultino comunque effettuate entro i termini, ordinari o prorogati, di cui alla normativa 405 e 407, l'inosservanza da parte del p.m. della contemplata scadenza non produce conseguenze processualmente apprezzabili, essendo il termine "indispensbile" di cui al quarto comma, in difetto di esplicita previsione, non stabilito a pena di decadenza. Rilevato che, ove si facesse automatico riferimento agli artt. 405 e 407, si produrebbe l'iniquo paradosso secondo cui, nell'ipotesi di richiesta di archiviazione formulata alla scadenza dei termini di durata massima delle indagini, il giudice non potrebbe che accogliere la richiesta ed ordinare la formulazione dell'imputazione, che diverrebbero atti dovuti in contrasto con l'art. 112 della Costituzione. Atteso che in sede di richiesta 29 maggio 1990 di declaratoria di incompetenza per materia il p.m. ha fatto preliminarmente presente che "circa la richiesta c.t.u. si e' approvato ecc.. .. ..", che egli ha sostituito "quale valida scelta alternativa" con la "verifica in fatto della situazione dei laboratori artigiani analoghi a quello del Gallina", "verificando caso per caso attivita' dei mezzi impiegati e caratteristiche dell'attivita' svolta", considerazioni senz'altro degne di rispetto in quanto analitiche e motivate ma che configurano, pur sempre, una sostanziale inottemperanza da parte del p.m. "tenuto" all'osservanza delle prescrizioni di cui all'ordinanza ex art. 405, quarto comma, del c.p.p., "tenuto" e non "facoltizzato" in quanto altrimenti il provvedimento del giudice che implicitamente si e' riservato di archiviare o di ordinare la formulazione del capo d'imputazione all'esito del supplemento di indagine, si troverebbe, allo stato degli atti, con insufficienti elementi per la decisione, cio' anche nel caso di inottemperanza soltanto parziale, non essendo ammissibili equipollenti sostitutivi se non nel caso ad es. di impossibilita' delle indagini (es.: avvenuta distruzione o sparizione di un bene oggetto di c.t.u.). Poiche' comunque, nel merito della questione, l'articolazione dei quesiti peritali sul concetto di impresa artigiana era stata e rimane particolarmente elaborata avendo la stessa individuato, sulla scia e seguendo le direttive della giurisprudenza della Corte di cassazione e dello stesso cod. civ., i parametri di indagine peritale, e, si insiste, la c.t.u. non e' stata richiesta dal giudice bensi' disposta, appartenendo la richiesta al p.m., alla persona sottoposta alle indagini, alla parte offesa, cioe' a tutte le parti (pubbliche e private) ma non al giudicante. Poiche' tuttavia quella che, ad avviso dello scrivente, costituisce errata interpretazione della norma, e' stata generata dalla sua non chiara, se non addirittura equivoca interpretazione ("se ritiene necessarie nuove indagini", le indica con ordinanza al p.m.), dettato che non sembra evidenziare a sufficienza il carattere ordinatario della disposizione di legge. Premesso altresi', particolare questo molto importante, che il p.m. in sede di richiesta 29 maggio 1990, se da un lato non ha richiesto l'archiviazione, spostando quest'ultima in sede di successiva richiesta 22 ottobre 1990, dall'altro, pur istando formalmente per decleratoria di incompetenza per materia, non ha esplicitamente escluso in detta sede la detta archiviazione, in quanto si e' limitato a qualificare in estratto il reato sotto la fattispecie di cui all'art. 323, primo comma, del c.p. (art. 13, n. 1, della legge n. 86/1990 che ha informato la materia dei reati contro la p.a., stante la prevalenza della nuova normativa incriminatrice rispetto alla norma piu' antica (art. 324 del c.p.) in quanto espressione del favor rei, e per il residuo ha lasciato intendere, senza dirlo per esplicito, l'avvenuta chiusura delle indagini preliminari laddove a f. 2 e' detto "tutto cio' premesso si ritiene che, attraverso l'approfondimento d'indagine richiesto dalla S.V. siano effettivamente stati acquisiti nuovi elementi suscettibili di valutazione", considerazioni ribadite piu' avanti (v. in particolare il periodo da "Orbene, l'ulteriore indagine" a "per procedere ad opportuna rivalutazione probatoria delle stesse"), tenore che, lo si ribadisce, sembra a tutti gli effetti, univocamente, far desumere il raggiunto stadio di chiusura delle indigini preliminari, almeno per quanto concerne la fase del "procedimento (fatte salve eventuali ulteriori indagini nelle more del futuro altrettanto eventuale processo davanti al g.i.p.) (seguono considerazioni meramente giuridiche sulla successione normativa e sulla competenza-incompetenza per materia). Poiche' comunque lo stesso p.m. fa presente la propria parziale e rilevante inottemperanza in tema di indagini preliminari ulteriormente disposte ("e non richieste"). Ribadito, per l'ennesima volta, che un adempimento parziale e frammentario all'ordinanza costituisce pur sempre un inadempimento autentico e pone il problema delle conseguenze processuali (fatta salva l'eventualita', appunto facoltativa, di avocazione da parte del p.g. ex art. 412, secondo comma) per cui il p.m. inottemperante dovrebbe a tal punto richiedere addirittura il rinvio a giudizio sulla base delle stesse acquisizioni che, in precedenza, lo avevano indotto a richiedere l'archiviazione (con la prospettiva che presumibilmente, il giudice provvedera' in udienza ai sensi dell'art. 422, primo comma), o, al limite, reiterare, sempre sulla base delle originarie acquisizioni, la richiesta di archiviazione, eventualmente con nuove motivazioni (quest'ultima pervenuta ad ogni modo ben tardivamente in sede di richiesta 22 ottobre 1990, non certo formulata il 29 maggio 1990, sostituita dalla richiesta di declaratoria d'incompetenza, peraltro rigettata dal g.i.p.). Premesso, da parte dello scrivente, che si nutrono forti perplessita' su questa seconda possibilita' (reiterare la richiesta di declaratoria sembrerebbe difatti contraddittorio nel casi di inottemperanza alle "determinanti e decisive ulteriori indagini preliminari") cosi' come le si nutrono sul meccanismo eventualmente successivo in cui il giudice, ove non ritenga di accogliere tale nuova richiesta, potrebbe, a sua volta, previa fissazione di nuova udienza, o reiterare l'ordinanza di effettuazione di nuove indagini o imitare il p.m. alla formulazione dell'imputazione, tutte conseguenze queste ultime non strettamente logiche e che rischino di rendere il procedimento contraddittorio, ivi compreso il provvedere, ancora e per l'ennesima volta, in sede di udienza preliminare ex art. 422, primo comma, con il che la procedura diverrebbe addirittura prolissa e defatigatoria, non piu' rispondente a ragioni di economia, premesso che con ordinanza 19 giugno 1990 il g.i.p. ha dichiarato la propria competenza per materia ed ordinato la formulazione dell'imputazione, valida come espediente processuale di "riserva" all'esito delle comunque parziali (troppo parziali) indagini svolte dalla p.g., ed anche alla detta ordinanza non si e' ottemperato non ritenendo il p.m. chiusa la fase delle indagini preliminari (gli atti sono stati restituiti dal g.i.p. al p.m. per l'ulteriore corso con provvedimento 29 giugno 1990 a fronte di richiesta in identica data). Atteso che la detta formulata imputazione recava la precisa indicazione del reato in ordine al quale il giudice riteneva doversi procedere, rispondente quindi all'imprescindibile requisito costituzionale della motivazione, e nell'ipotesi di ottemperare la predetta, una volta fatta propria (solo tecnicamente ovviamente) dal p.m., sarebbe sfociata nel decreto del giudice di fissazione dell'udienza preliminare, decreto contenente gli elementi di cui all'art. 417, lettere a), b) e c), in base a quanto prescritto dall'art. 128 delle disp. att. Poiche' la detta imputazione, del resto, non essendo il termine di giorni dieci a pena di decadenza, avrebbe potuto essere formulata anche oltre i dieci giorni di rito senza alcuna negativa conseguenza processuale. Ritenuto che le pregresse considerazioni inducono a ritenere la norma 409 macroscopicamente lacunosa e contraddittoria, di tenore incerto ed i cui vuoti non possono essere tutti colmati dall'interpretazione di merito, con il rischio di un relativismo estremo demolitore della certezza del diritto. Poiche' quindi il quarto (e non il quinto) comma si appalesa costituzionalmente illegittimo contrastando con gli artt. 2 e 3 nonche' 97 della Costituzione, essendo quest'ultimo leso nel buon andamento della p.a. (fra cui ovviamente l'amministrazione della giustizia) trattandosi di norma procedurale e quindi strumentale- organizzativa, non delineando oltretutto in modo completamente chiaro e trasparente le competenze ed attribuzioni dei rispettivi uffici giudiziari, con ulteriore riferimento quindi al secondo comma della norma costituzionale 97. Atteso che ogni valutazione al riguardo circa le indagini nella parte espletata e' assorbita dalle pregresse copiose argomentazioni. Poiche' la detta incostituzionalita' si concretizza, per la precisione, laddove la norma non prevede esplicite conseguenze processuali nell'ipotesi di mancata ottemperanza, anche parziale, da parte del p.m., nell'ordinanza del giudice che dispone ulteriori indagini preliminari e laddove il termine "indica" non viene inteso in senso ordinatorio. Ritenuta l'esigenza, a tal punto, di verificare la costituzionalita' dell'art. 412, secondo comma, del nuovo c.p.p. laddove rende facoltativa l'avocazione da parte del p.g. a seguito della comunicazione prevista dall'art. 409, terzo comma, senza distinguere fra l'ipotesi in cui il p.m. effettua le nuove indagini e quella in cui non vi ottemperi (globalmente o parzialmente) contrastando detta facolta' (e non potere-dovere come nel primo comma) con l'obbligatorieta' dell'azione penale di cui all'art. 112 della Costituzione, e dell'art. 412 anche al primo comma laddove, nel suo contenuto ordinatorio, non specifica che fra le situazioni in cui il p.m. non esercita l'azione penale trovasi anche quella in cui detto esercizio derivi dall'ordine del g.i.p. di formulare l'imputazione, nell'ipotesi ovviamente di inottemperanza, non supplendo a fini interpretativi l'art. 127 delle disp. att. che si limita a contemplare la trasmissione settimanale al p.g., da parte della segreteria del p.m., dell'apposito elenco delle notizie di reato contro persone note per le quali non e' stata esercitata l'azione penale o richiesta l'archiviazione entro il termine previsto dalla legge o prorogato dal giudice. Atteso che, sia pure limitatamente alla differente species dei procedimenti di pretura, la Corte costituzionale si e' gia' pronunciata su questione, appunto non certo identica, ma similare con sentenza n. 445 del 26 settembre 1990 dep. il 12 ottobre 1990. Ritenuto che lo stesso p.g., una volta investito d'obbligo dell'esercizio dell'azione penale, non sarebbe, ovviamente, in alcun modo vincolato, a richiedere, in sede di udienza preliminare il rinvio a giudizio (e neppure in sede di udienza dibattimentale) e pertanto il suo obbligo sarebbe, come vuole logica giuridica, limitato a richiedere il rinvio a giudizio "tecnico" finalizzato alla celebrazione dell'udienza preliminare, cio' per coerenza con la natura imperativa dell'ordine da parte del g.i.p., come ennesime volte ribadito, ordine che ha come destinatario il p.m. titolare dell'azione penale, dello stesso non esercitata, il tutto sottolineandosi il concetto (comune tanto al primo quanto al secondo comma del 412) dell'avocazione delle indagini preliminari da parte del p.g.