IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letta  l'ultima  ennesima  richiesta  del  p.m. 22 ottobre 1990 di
 archiviazione per infondatezza della notizia di reato;
    Atteso che in detta sede si sostiene la inidoneita' degli elementi
 raccolti nel corso delle indagini preliminari a sostenere l'eventuale
 accusa in giudizio (v. al riguardo l'art. 125 delle disp. att.  nuovo
 c.p.p.);
   Premesso  che  la  complessita',  peculiarita' e pregevolezza delle
 questioni  giuridiche  richiede  un  vasto  excursus  culturale   che
 analizzi  in modo approfondito il fondamento su cui poggiano le norme
 di legge relative al problema;
    Dovendosi iniziare la trattazione della problematica dell'art. 408
 detto cod., problematica che scaturisce in relazione alla  disciplina
 contemplata  nell'ipotesi  di  non  accoglimento  della richiesta del
 pubblico ministero di archiviazione;
    Poiche' il detto petitum assolve, nel nuovo  codice,  la  funzione
 che,  sotto  l'imperio  dell'abrogato  sistema,  era  svolta  da  due
 distinti strumenti, quali da un lato la richiesta di decreto  di  non
 doversi  promuovere l'azione penale (di cui all'art. 74, terzo comma)
 e  dall'ipotesi  della  richiesta  di  sentenza  di   proscioglimento
 all'esito di istruzione sommaria (di cui all'art. 395).
    Atteso  che  lato  sensu  l'"infondatezza  della notizia di reato"
 comprende l'infondatezza tipica come  insussistenza  del  fatto,  gli
 altri  casi  tassativi  di  cui  all'art.  411  del  nuovo  codice di
 procedura penale  (mancanza  di  una  condizione  di  procedibilita',
 estinzione  del  reato  e  mancata previsione del fatto come reato in
 sede   legislativa),   infine   la   casistica   della   infondatezza
 "soggettiva"  (non  aver  commesso  il  fatto, non punibilita' per la
 presenza di una causa di giustificazione per qualsiasi altra ragione,
 fatta salva l'esigenza di applicazione di misura di sicurezza);
    Poiche' l'art. 408 si salda all'art. 125 delle disposizioni attive
 che  inquadra  il  nesso  genetico fra "infondatezza della notizia di
 reato"  e  "inidoneita'  degli  elementi  acquisiti  nelle   indagini
 preliminari  a  sostenere  l'accusa  in giudizio" mentre l'originaria
 formulazione normativa agganciava l'infondatezza della detta  notizia
 alla  ritenuta  assenza  di  "elementi  sufficienti  per  la condanna
 dell'imputato" laddove al contrario l'attuale tipizzazione  normativa
 tende  a  scoraggiare  la  prassi  del  rinvio  a giudizio nonostante
 l'insufficienza degli elementi a carico, riscontrata sotto  l'imperio
 della  abrogata  procedura,  prassi  all'opposto dell'attuale modello
 processuale  accusatorio  che  tende  a   favorire   la   "deflazione
 dibattimentale";  posto  che,  nel sistema della nuova codificazione,
 stante una interpretazione  letterale  della  norma,  dovrebbe  darsi
 luogo  a  richiesta  di  archiviazione  anche  in  situazioni che nel
 vecchio  sistema  legislativo   avrebbero   concretizzato   l'ipotesi
 dell'"insufficienza  di  prove",  tali quindi da collocarsi non nella
 richiesta di archiviazione ex art.  74,  terzo  comma,  bensi'  nella
 sentenza   istruttoria   di  proscioglimento  con  la  detta  formula
 dubitativa  previo  ovviamente  necessario   inderogabile   esercizio
 dell'azione  penale,  con  la  conseguenza  quindi che attualmente il
 giudice  per  le  indagini  preliminari  si  troverebbe  coertato  ad
 accogliere  la detta richiesta di archiviazione, entrando tuttavia in
 contrasto con la formulazione  dell'art.  425  del  nuovo  codice  di
 procedura  penale  che  seleziona  la  ipotesi  in  cui  viene emessa
 sentenza di non luogo a procedere a fronte di riscontrata "evidenza";
    Poiche' la detta difficolta' interpretativa  non  trova  soluzione
 nella  tesi,  altrettanto  riduttiva,  tendente  a rimuovere dubbi di
 costituzionalita', secondo cui l'art. 425 sarebbe  attinente  ad  uno
 stadio  piu'  avanzato  del  procedimento penale "lato sensu" (quella
 dell'effettivo  esercizio  dell'azione  penale  in  cui   l'indagato-
 indiziato,  cioe' la persona sottoposta alle indagini preliminari, e'
 ormai divenuta imputato tramite la richiesta di rinvio a giudizio "in
 senso tecnico", non ancora in  sede  dibattimentale  ma  in  sede  di
 udienza  preliminare)  riferendosi  invece  l'archiviazione alla fase
 delle  indagini  preliminari  (precedente   l'esercizio   dell'azione
 penale),  tesi  secondo  la  quale, in sede di 425, si tratterebbe di
 diversa, successiva e piu' complessa fattispecie  in  cui  l'evidenza
 della prova a discarico sarebbe l'effetto delle nuove prove dedotte e
 raccolte  nella  stessa udienza preliminare a norma dell'art. 422 del
 codice;
    Atteso  che  il  ragionamento  non  puo'  condividersi  in  quanto
 l'ipotesi  del  422 e' meramente eventuale e limitata alla situazione
 in cui il  giudici  istruttore  p.,  non  disponendo  di  sufficienti
 elementi   per   la  decisione,  tempera  la  rigidita'  del  modello
 processuale accusatorio stimolando le parti a  sollecitare  l'impulso
 probatorio  e  provvedendo  infine  "allo  stato  degli atti" ove non
 ritenga dette  richieste  prove  ammissibili  e  conferenti  ai  fini
 dell'eventuale  rinvio  a  giudizio  o dell'eventuale sentenza di non
 luogo a procedere ("manifesta decisivita'" nel primo caso,  "evidente
 decisivita'"  nel  secondo  caso)  ed  in  quanto  lo stesso pubblico
 ministero ex art. 417, n. 1), lett.  c),  e'  tenuto  all'indicazione
 delle  fonti  di prova acquisite nel corso delle indagini preliminari
 (v. in tal senso  anche  l'art.  416,  n.  2)  cioe'  precedentemente
 all'esercizio dell'azione penale ex art. 326 (indagini necessarie per
 le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale);
    Poiche'  quindi  le  previsioni del 425 non appaiono in alcun modo
 dettate  con  esclusivo  riferimento  all'ipotesi  di  cui  al   422,
 trattandosi  di  previsioni  che disciplinano le ipotesi tipiche, gli
 sbocchi  classici  dell'udienza  preliminare  (rinvio  a  giudizio  o
 proscioglimento)  indipendentemente  dal  fatto  che  tale udienza si
 esaurisca "allo stato degli atti"  ex  art.  421  o  dia  luogo  alle
 ulteriori acquisizioni probatorie di cui al 422;
    Ben  potendosi  ipotizzare una situazione processuale in cui da un
 lato non si riscontri l'"evidenza" della non colpevolezza, dall'altro
 ragionevolmente si  ritengano  gli  elementi  acquisiti  a  sostenere
 l'accusa   in  un  eventuale  giudizio  non  idonei,  situazione  che
 ridurrebbe al paradosso, incongruenza che segue:
      1) ove tale situazione fosse  rilevata  dal  pubblico  ministero
 prima      dell'esercizio     dell'azione     penale,     condurrebbe
 all'archiviazione;
      2) ove la stessa non fosse rilevata  dal  pubblico  ministero  e
 venisse,  sia  pure  indebitamente,  esercitata l'azione penale, tale
 "errore" o per lo meno tale  "illogicita'"  vincolerebbe  il  giudice
 all'osservanza  dell'art.  425  con  conseguente  rinvio a giudizio e
 danno per l'imputato;
      3)  la  prima   ipotesi   rientrerebbe   nell'art.   125   delle
 disposizioni attive, la seconda ipotesi nel detto 425;
    Ritenendosi  che  l'unica strada per evitare la detta incongruenza
 (e le possibili  censure  di  incostituzionalita')  consista  in  una
 lettura   ed  analisi  dell'art.  125  delle  disposizioni  att.  che
 circoscriva l'idoneita' degli  elementi  in  questione  soltanto  con
 riguardo   alle   prospettive   di  sbocco  dell'udienza  preliminare
 accettandosi l'eventualita'  che  detto  sbocco  sia  costituito  dal
 rinvio  a  giudizio,  non  identificandosi  quest'ultimo  con il solo
 dibattimento ma anche con l'udienza  preliminare,  fase  quest'ultima
 che   deve  concludersi  con  una  autentica  pronuncia  a  carattere
 giurisdizionale  ("decreto"  nell'ipotesi  di  rinvio   a   giudizio,
 "sentenza"  nell'ipotesi di non luogo a procedere, essendo il decreto
 una pronuncia avente la funzione di aprire  la  strada  ad  una  fase
 ulteriore   del   procedimento  processo  (il  processo  e'  un  tipo
 particolare e piu' avanzato  di  procedimento),  strada  destinata  a
 concludersi  con  apposita  sentenza  dibattimentale  (di condanna od
 assolutoria),   collegandosi   il   carattere   giurisdizionale   del
 provvedimento  alla  singola  forma  tipizzata  dalla legge (decreto,
 ordinanza, sentenza) in quanto ogni  tipo  di  pronuncia  tende  alla
 definizione,  nel  contraddittorio  delle  parti  processuali,  di un
 procedimento o di una sua fase ed il relativo nomen invis e' legato e
 vincolato dalla scelta peculiare della volonta' del legislatore.
    Ritenuto che la validita' della pregressa argomentazioni trova, ad
 avviso dello Scrivente, conforto nella gerarchia  che  concepisce  la
 normativa  di attuazione come strumentale rispetto alla normativa del
 codice (e non viceversa) e che tale lettura  esegetica  conduce  alla
 perfetta  coincidenza  fra i criteri sulla base dei quali il pubblico
 ministero deve richiedere l'archiviazione e quelli  alla  base  della
 sentenza di non luogo a procedere;
    Atteso   che  le  dette  complesse  argomentazioni  si  sono  rese
 necessarie in quanto, dall'intero contesto  degli  atti  processuali,
 fin   dalla   originaria  richiesta  di  archiviazione,  il  pubblico
 ministero, di contrario avviso a quello del giudice  che  scrive,  ha
 sostenuto  la tesi, talora implicitamente, talora in forma esplicita,
 dell'inidoneita' degli  elementi  di  prova  ai  fini  dell'eventuale
 giudizio dibattimentale;
    Ritenendosi esaurito il commento all'art. 408 e dovendosi iniziare
 quello di cui al successivo 409;
    Atteso   che   la  relativa  disciplina  normativa  rispecchia  la
 peculiarita' difficolta'  della  conciliazione  fra  i  principi  del
 sistema  processuale  accusatorio  (ove il pubblico ministero dominus
 assoluto dell'azione penale e' l'unico soggetto del processo cui com-
 pete la valutazione circa la sussistenza o meno delle condizioni  per
 farsi luogo a detta azione) con la obbligatorieta' dell'azione penale
 di cui all'art. 112 della Costituzione e la radicata tradizione di un
 controllo  da  parte  del  giudice  sulla  correttezza o meno di tale
 valutazione, con l'altrettanto logica conseguente possibilita' di una
 sostituzione, in  caso  di  giudizio  negativo,  della  volonta'  del
 giudice  a  quella,  carente,  del pubblico ministero, tradizione che
 risale  all'art.  6  del  decreto  legislativo   luogotenenziale   14
 settembre  1944, n. 288, con il quale si dispose la modifica radicale
 dell'art. 74 del vecchio codice di procedura  penale,  sottraendo  al
 pubblico ministero il potere di disporre direttamente l'archiviazione
 nei  casi  in  cui  riteneva  non  promuovibile l'azione penale (c.d.
 "potere di cestinazione della  notitia  criminis")  imponendogli,  in
 detta  ipotesi,  di richiedere al giudice istruttore apposito decreto
 ed assegnando a detto giudice, nel caso di dissenso la  possibilita',
 di  disporre  direttamente il procedersi nella strada dell'istruzione
 formale;
    Atteso che trattavasi, quanto alla abrogata  discrezionalita',  di
 conseguenza   logica   in   un  sistema  ove  il  pubblico  ministero
 rappresentava la longa manus del potere esecutivo, operando alle  sue
 dirette  dipendenze  in  un processo "inquisitorio" caratterizzato da
 discrezionalita' dell'azione  penale,  e  di  correttivo  (il  citato
 decreto  legislativo  luogotenenziale 1944) precedente all'entrata in
 vigore  della  Carta  costituzionale  che  ha  reso  l'azione  penale
 obbligatoria    ed    il   terzo   potere   (autorita'   giudiziaria)
 indipendentemente dai residui poteri (esecutivo e legislativo);
    Poiche' tuttavia il processo inquisitorio era, anche ante 1944  ed
 ante  Costituzione, temperato dal principio processuale, conquista di
 civilta' giuridica ne procedat index ex officio e le dette  esigenze,
 apparentemente  in  contrasto  fra  loro,  venivano salvaguardate dal
 considerare anche l'archiviazione un modo di  esercizio  obbligatorio
 dell'azione  penale,  appunto  in senso favorevole all'indiziato, non
 essendo  il  pubblico  ministero  vincolato  all'accusa-condanna   ma
 risultando  al contrario autentico promotore del rispetto della norma
 di legge, vincolato alla legge stessa, parte nel senso processuale ma
 anche e particolarmente "parte pubblica" che  tende  all'accertamento
 della  verita'  materiale, connotazione quest'ultima, gia' accentuata
 dalla Corte costituzionale ed ancora ribadita dall'art. 358 del nuovo
 codice di procedura penale laddove statuisce che l'A.G.O.  requirente
 compie  ogni  attivita'  necessaria ai fini indicanti nell'art. 326 e
 svolge altresi' accertamenti su fatti e circostanze  a  favore  della
 persona sottoposta alle indagini;
    Essendo attualmente la detta difficolta' data dal contrasto fra il
 sistema  accusatorio (che accentua il ne procedat index ex officio) e
 l'esigenza di fondo (gia' trattata) di un controllo sull'operato  del
 pubblico ministero;
    Premesso  che  il  primo  comma  del 409 risolve il caso, di ovvia
 soluzione, dell'archiviazione accolta dal g.i.p. con decreto motivato
 con altrettanto ovvia restituzione degli atti al pubblico ministero;
    Premesso altresi' che il  secondo  comma  citata  norma  statuisce
 tassativamente  che, nell'ipotesi di mancato accoglimento della detta
 richiesta, il giudice metta in moto  il  meccanismo  dell'udienza  in
 camera  di  consiglio  (non  certo  della  udienza preliminare che e'
 anch'essa udienza in camera di consiglio ma nella fase del "processo"
 e non piu' del "procedimento", udienza per l'imputato e  non  per  la
 persona  assoggettata  alle  indagini  preliminari),  udienza  che si
 svolge  "nelle  forme  previste  dall'art.  127"  (mentre   l'udienza
 preliminare  si  sviluppa  nelle forme di cui agli articoli 416 e 429
 del nuovo codice di procedura penale, stante  la  sua  "tipicita'"  e
 peculiarita');
    Posto  che  i  singoli  commi  dell'art.  409 non possono leggersi
 isolatamente  ma  debbono  collocarsi  in  un  contesto   gerarchico-
 esegetico,   nel  senso  che  il  secondo  comma  e'  preliminare  ed
 introduttivo agli altri, ivi compreso  il  quinto  comma  in  cui  il
 giudice,  quando  non accoglie la richiesta di archiviazione, dispone
 con ordinanza che entro dieci giorni il  pubblico  ministero  formuli
 l'imputazione  ed  entro  due  giorni  dalla formulazione dell'accusa
 fissa con decreto l'udienza, preliminare  per  la  quale,  in  quanto
 applicabili   e  compatibili,  si  applicano  le  disposizioni  degli
 articoli 418 e 419 (att. 128), cio' in quanto lo stesso quinto  comma
 specifica,  all'inizio  del periodo, che l'ipotesi si verifica "Fuori
 del caso previsto dal quarto comma"  cioe'  di  quel  supplemento  di
 indagini  preliminari ritenuto necessario dal giudice istruttore p. a
 seguito dell'udienza "camerale" ed indicato con ordinanza al pubblico
 ministero con annessa fissazione di un termine indispensabile per  il
 compimento di esse;
    Poiche'  quindi  non  puo'  assolutamente  ritenersi,  dal  tenore
 letterale, esplicito e sostanziale della norma, che il giudice  possa
 ordinare  quanto  sancito  dal quinto comma omettendo la preventiva e
 prodomica convocazione delle parti in camera di consiglio;
    Poiche' in ogni caso l'archiviazione, stante  l'intero  art.  409,
 non  puo' considerarsi atto dovuto, mentre la fissazione dell'udienza
 preliminare di cui al quinto comma  avviene  ex  officio  laddove  al
 contrario,  ove  si  ritenga  che  il  pubblico  ministero  non abbia
 esaurientemente svolto le indagini, il meccanismo di controllo impone
 la comunicazione della data d'udienza (fissata all'uopo dal  giudice)
 al  p.g.  che  e'  facoltizzato ex art. 412, secondo comma, del nuovo
 codice  di  procedura  penale  (il  p.g.   puo'   altresi'   disporre
 l'avocazione  a  seguito  della comunicazione prevista dall'art. 409,
 terzo comma), e si e' al riguardo ritenuta  la  detta  facoltativita'
 (anziche'   l'obbligatorieta')   senza   violare   l'art.  112  della
 Costituzione, in quanto, nel  momento  di  fissazione  da  parte  del
 giudice istruttore p. dell'udienza "camerale" il rapporto processuale
 fra  il  giudice  controllore e verificatore ed il pubblico ministero
 "controllato" non si e' ancora esaurito,  giacche',  nell'ipotesi  di
 ulteriori  indagini,  ben  potrebbe  il  pubblico  ministero di prima
 istanza rivedere  le  proprie  posizioni  nel  merito  ed  esercitare
 l'azione  penale  richiedendo  al  giudice la fissazione dell'udienza
 preliminare e non puo' quindi ancora parlarsi  di  mancato  esercizio
 dell'azione  penale,  che  solo  (insieme con la mancata richiesta di
 archiviazione di cui all'art. 412, primo comma) impone al p.g. presso
 la corte d'appello l'avocazione con decreto motivato  delle  indagini
 preliminari   (di   contro  all'inerzia  "processuale"  del  pubblico
 ministero  di  prima  istanza),  atto  quindi  dovuto  a  titolo   di
 sostituzione  processuale  resosi manifesta con l'inutile decorso dei
 termini per le  indagini  preliminari  (articoli  406  e  407  stesso
 codice)  entro i quali il pubblico ministero avrebbe dovuto formulare
 le sue antitetiche richieste;
    Premesso  che  l'udienza  preliminare  di  cui  al  quinto   comma
 dell'art.  409  non  ricalca pedissequamente l'udienza preliminare di
 cui al 416 ma e' sui generis, certo con la  presenza  necessaria  del
 pubblico  ministero  senza  tuttavia l'atto tipico introduttivo della
 richiesta di rinvio a giudizio con indicazione della fonti di  prova,
 consistendo  il  tutto nel meccanismo sostitutivo di fissazione della
 detta udienza iussu indicis cioe' ex officio, ove cioe' l'accusa  non
 e'  formulata  dal pubblico ministero ma dal giudice senza che questo
 infici la titolarita' costituzionale, in capo all'a.g.o.  requirente,
 del   potere  d'accusa,  trattandosi  di  incombenza,  nella  specie,
 meramente tecnica, ritenendosi quindi, malgrado la lacunosita'  della
 norma  e  la  sua  formulazione  troppo sintetica e riduttiva, che la
 "formulazione dell'imputazione"  venga  redatta  preliminarmente  dal
 g.i.p.   dissenziente,   con   obbligo   per   il  p.m.  (altrettanto
 dissenziente  in  senso  opposto)  di  recepire   tale   formulazione
 attenendosi al dettato giudiziale ("volonta' necessitata"), diretta a
 far   si'   che  il  giudice  disponga  apposito  rinvio  a  giudizio
 all'udienza preliminare (non certo e  non  ancora  al  dibattimento),
 puro e semplice adempimento, lo si ribadisce, di ordine tecnico, atto
 a  porre  il giudice nelle condizioni di poter decidere, con sentenza
 (nell'ipotesi di non luogo a procedere) o con  decreto  (nell'ipotesi
 di rinvio a giudizio);
    Ritenuto  che  tale incombenza tecnica non certa in alcun modo ne'
 la volonta' del p.m. ne' quella del g.i.p. in ordine al merito  della
 questione   in   quanto  lo  stesso  resta  impregiudicato  all'esito
 dell'udienza preliminare prossima  ventura,  ove  non  si  esclude  a
 priori  ne'  che  il  p.m.  possa  rivedere  le  proprie  posizioni e
 richiedere il  rinvio  a  giudizio  ne'  (tantomeno  che  il  giudice
 richiesto  o no dal p.m., e comunque in tutta autonomia rispetto alle
 richieste di tutte le parti  (pubbliche  e  private)  possa  emettere
 sentenza favorevole all'imputato, ad un riesame del merito;
   Poiche'  del  resto  il p.m. non potrebbe, ad avviso di chi scrive,
 essere costretto a formulare il capo d'accusa (che non  la  convince)
 sulla  base di indicazioni generiche da parte del g.i.p. (senza cioe'
 circostanziare  il  fatto)  perche'  si  tratterebbe   di   autentica
 forzatura,  dovendo  quindi  egli  redigendo  sulla  base  di una ben
 precisa  traccia  da  parte  del  giudice,  con  l'unica  (peculiare)
 differenza   (rispetto   al  vecchio  c.p.p.)  che  il  g.i.  dominus
 dell'istruzione  formale  rimaneva  "dominus"  anche  del   fascicolo
 processuale  mentre  nel  nuovo sistema la titolarita' delle indagini
 rimane al p.m. e quella della decisione al g.i.p.;
    Atteso  che  il  giudice  puo'  ancora  disporre  l'archiviazione,
 inizialmente non accolta, nell'ipotesi di un espletato supplemento di
 indagini preliminari (ed  ove  ovviamente  il  p.m.  all'esito  delle
 stesse  insista  sull'archiviazione) come puo' farlo anticipatamente,
 senza cioe' disporre le medesime, all'esito dell'udienza in camera di
 consiglio ove del resto la presenza del p.m. e' facoltativa) (in tali
 casi si archivia tramite ordinanze);  premesso  che  il  ricorso  per
 cassazione  avverso l'ordinanza di archiviazione concerne i soli casi
 di nullita' formale di cui all'art. 127, quinto comma;
    Dovendosi  in  questa  sede  analizzare  piu'  in   dettaglio   il
 meccanismo di cui al quarto comma della cit. norma;
    Sembrando,  nella  specie,  che  il termine "indispensabile" debba
 intendersi come "strettamente necessario";
    Poiche' i (termini di cui agli articoli 4 o 5, 4 o 6 e 4 o 7  sono
 la  premessa  per  la  richiesta  di  archiviazione  di  cui  al 408;
 ritenendosi  che  l'ordinanza  del  g.i.p.  che  dispone   il   detto
 supplemento   non   debba   essere   vincolata  riduttivamente  dalla
 precedente normativa  perche'  altrimenti,  ove  ad  es.  il  giudice
 dovesse  tenere  conto del decorso dei detti termini, l'archiviazione
 diverrebbe "atto dovuto" e quindi al contrario e' lo stesso giudice a
 disporre d'ufficio la proroga dei termini per le indagini preliminari
 (non richiesta dal p.m.) a differenza  dell'ipotesi  di  cui  al  406
 anche  come  recentemente  modificato  intesi  in  cui  e'  il  p.m.,
 ovviamente prima della scadenza e per giusta causa, a  richiedere  la
 proroga  del  termine  previsto dall'art. 405 (art. 406, primo comma)
 per un tempo non superiore a sei mesi, ed ulteriori proroghe (art.  4
 o  6,  secondo  comma)  ciascuna  per non oltre sei mesi "nei casi di
 particolare  complessita'  delle  indagini"  ovvero   "di   oggettiva
 impossibilita'  di  concludere entro il termine prorogato", mentre la
 durata massima del termine non puo' comunque eccedere i 18 mesi fatto
 salvo l'art. 393, quarto comma, in tema di incidente probativo  (art.
 407, primo comma);
    Atteso che ex art. 407, n. 3, qualora il p.m. non abbia esercitato
 l'azione  penale  o  richiesto  l'archiviazione nel termine stabilito
 dalla legge o prorogato dal giudice, gli atti  di  indagine  compiuti
 dopo  la  scadenza  del  termine non possono essere utilizzati, ed al
 riguardo deve  ritenersi  che  il  disposto  della  norma  non  possa
 automaticamente  estendersi  anche alla proroga "impropria" di cui al
 405,  quarto  comma,  non  attivate  dal  p.m.,  e  che  tuttavia  il
 riferimento  sia valido, al contrario, nel senso che il p.m. tenuto a
 svolgere, nolente (comunque non sua sponte) ulteriori  indagini,  non
 potra'  utilizzare  le  risultanze  ove  ecceda  la  proroga  ex lege
 proveniente dal g.i.p.
    Poiche'  in  ogni  caso,  ove  le  indagini   risultino   comunque
 effettuate  entro  i  termini,  ordinari  o  prorogati,  di  cui alla
 normativa  405  e  407,  l'inosservanza  da  parte  del  p.m.   della
 contemplata   scadenza   non   produce   conseguenze  processualmente
 apprezzabili, essendo il termine "indispensbile"  di  cui  al  quarto
 comma,  in  difetto  di esplicita previsione, non stabilito a pena di
 decadenza.
    Rilevato che, ove si facesse automatico riferimento agli artt. 405
 e 407, si produrebbe l'iniquo paradosso secondo cui, nell'ipotesi  di
 richiesta  di  archiviazione  formulata  alla scadenza dei termini di
 durata massima delle indagini, il giudice non potrebbe che accogliere
 la  richiesta  ed  ordinare  la  formulazione  dell'imputazione,  che
 diverrebbero   atti   dovuti   in  contrasto  con  l'art.  112  della
 Costituzione.
    Atteso che in sede di richiesta 29 maggio 1990 di declaratoria  di
 incompetenza  per  materia  il p.m. ha fatto preliminarmente presente
 che "circa la richiesta c.t.u. si e' approvato ecc.. .. ..", che egli
 ha sostituito "quale valida scelta alternativa" con la  "verifica  in
 fatto della situazione dei laboratori artigiani analoghi a quello del
 Gallina",  "verificando caso per caso attivita' dei mezzi impiegati e
 caratteristiche  dell'attivita'  svolta",  considerazioni  senz'altro
 degne di rispetto in quanto analitiche e motivate ma che configurano,
 pur sempre, una sostanziale inottemperanza da parte del p.m. "tenuto"
 all'osservanza  delle  prescrizioni di cui all'ordinanza ex art. 405,
 quarto comma, del c.p.p., "tenuto" e  non  "facoltizzato"  in  quanto
 altrimenti  il  provvedimento  del  giudice  che implicitamente si e'
 riservato di archiviare  o  di  ordinare  la  formulazione  del  capo
 d'imputazione  all'esito  del supplemento di indagine, si troverebbe,
 allo stato degli atti, con insufficienti elementi per  la  decisione,
 cio'  anche nel caso di inottemperanza soltanto parziale, non essendo
 ammissibili equipollenti sostitutivi  se  non  nel  caso  ad  es.  di
 impossibilita' delle indagini (es.: avvenuta distruzione o sparizione
 di un bene oggetto di c.t.u.).
    Poiche'  comunque, nel merito della questione, l'articolazione dei
 quesiti peritali sul concetto di impresa artigiana era stata e rimane
 particolarmente elaborata avendo la stessa individuato, sulla scia  e
 seguendo  le direttive della giurisprudenza della Corte di cassazione
 e dello stesso cod. civ., i parametri di  indagine  peritale,  e,  si
 insiste,  la  c.t.u.  non  e'  stata  richiesta  dal  giudice  bensi'
 disposta, appartenendo la richiesta al p.m., alla persona  sottoposta
 alle indagini, alla parte offesa, cioe' a tutte le parti (pubbliche e
 private) ma non al giudicante.
    Poiche'   tuttavia   quella   che,   ad  avviso  dello  scrivente,
 costituisce errata interpretazione della  norma,  e'  stata  generata
 dalla  sua  non  chiara,  se non addirittura equivoca interpretazione
 ("se ritiene necessarie nuove indagini", le indica con  ordinanza  al
 p.m.),  dettato che non sembra evidenziare a sufficienza il carattere
 ordinatario della disposizione di legge.
    Premesso altresi', particolare questo  molto  importante,  che  il
 p.m.  in  sede  di  richiesta  29  maggio  1990, se da un lato non ha
 richiesto  l'archiviazione,  spostando  quest'ultima   in   sede   di
 successiva   richiesta  22  ottobre  1990,  dall'altro,  pur  istando
 formalmente per decleratoria di  incompetenza  per  materia,  non  ha
 esplicitamente  escluso  in  detta  sede  la  detta archiviazione, in
 quanto si e' limitato a qualificare in estratto  il  reato  sotto  la
 fattispecie  di  cui all'art. 323, primo comma, del c.p. (art. 13, n.
 1, della legge n. 86/1990 che  ha  informato  la  materia  dei  reati
 contro   la   p.a.,   stante  la  prevalenza  della  nuova  normativa
 incriminatrice rispetto alla norma piu' antica (art. 324 del c.p.) in
 quanto espressione del favor  rei,  e  per  il  residuo  ha  lasciato
 intendere,  senza  dirlo  per  esplicito,  l'avvenuta  chiusura delle
 indagini preliminari laddove a f. 2 e' detto "tutto cio' premesso  si
 ritiene  che, attraverso l'approfondimento d'indagine richiesto dalla
 S.V. siano effettivamente stati acquisiti nuovi elementi suscettibili
 di  valutazione",  considerazioni  ribadite  piu'   avanti   (v.   in
 particolare  il  periodo  da  "Orbene,  l'ulteriore  indagine" a "per
 procedere  ad  opportuna  rivalutazione  probatoria  delle  stesse"),
 tenore  che,  lo  si  ribadisce,  sembra   a   tutti   gli   effetti,
 univocamente,  far  desumere  il  raggiunto  stadio di chiusura delle
 indigini  preliminari,  almeno  per  quanto  concerne  la  fase   del
 "procedimento  (fatte  salve  eventuali ulteriori indagini nelle more
 del futuro altrettanto eventuale processo davanti al g.i.p.) (seguono
 considerazioni meramente giuridiche  sulla  successione  normativa  e
 sulla competenza-incompetenza per materia).
    Poiche'  comunque lo stesso p.m. fa presente la propria parziale e
 rilevante   inottemperanza   in   tema   di   indagini    preliminari
 ulteriormente disposte ("e non richieste").
    Ribadito,  per  l'ennesima  volta,  che  un adempimento parziale e
 frammentario all'ordinanza costituisce pur  sempre  un  inadempimento
 autentico  e  pone  il  problema delle conseguenze processuali (fatta
 salva l'eventualita', appunto facoltativa, di avocazione da parte del
 p.g. ex art. 412, secondo  comma)  per  cui  il  p.m.  inottemperante
 dovrebbe  a  tal  punto  richiedere  addirittura il rinvio a giudizio
 sulla base delle stesse acquisizioni che, in precedenza,  lo  avevano
 indotto   a   richiedere  l'archiviazione  (con  la  prospettiva  che
 presumibilmente, il giudice provvedera' in udienza ai sensi dell'art.
 422, primo comma), o, al limite, reiterare, sempre sulla  base  delle
 originarie acquisizioni, la richiesta di archiviazione, eventualmente
 con  nuove  motivazioni  (quest'ultima  pervenuta  ad  ogni  modo ben
 tardivamente  in  sede  di  richiesta  22  ottobre  1990,  non  certo
 formulata   il   29   maggio  1990,  sostituita  dalla  richiesta  di
 declaratoria d'incompetenza, peraltro rigettata dal g.i.p.).
    Premesso,  da  parte  dello  scrivente,  che  si   nutrono   forti
 perplessita'  su  questa seconda possibilita' (reiterare la richiesta
 di declaratoria  sembrerebbe  difatti  contraddittorio  nel  casi  di
 inottemperanza  alle  "determinanti  e  decisive  ulteriori  indagini
 preliminari") cosi' come le si nutrono sul  meccanismo  eventualmente
 successivo  in  cui  il  giudice,  ove non ritenga di accogliere tale
 nuova richiesta, potrebbe, a sua volta, previa  fissazione  di  nuova
 udienza, o reiterare l'ordinanza di effettuazione di nuove indagini o
 imitare il p.m. alla formulazione dell'imputazione, tutte conseguenze
 queste  ultime  non strettamente logiche e che rischino di rendere il
 procedimento contraddittorio, ivi compreso il  provvedere,  ancora  e
 per  l'ennesima  volta,  in  sede di udienza preliminare ex art. 422,
 primo comma, con il che la procedura diverrebbe addirittura  prolissa
 e defatigatoria, non piu' rispondente a ragioni di economia, premesso
 che  con  ordinanza 19 giugno 1990 il g.i.p. ha dichiarato la propria
 competenza per materia ed ordinato la formulazione  dell'imputazione,
 valida  come  espediente  processuale  di  "riserva"  all'esito delle
 comunque parziali (troppo parziali) indagini svolte  dalla  p.g.,  ed
 anche  alla  detta  ordinanza  non si e' ottemperato non ritenendo il
 p.m. chiusa la fase delle indagini preliminari (gli atti  sono  stati
 restituiti dal g.i.p. al p.m. per l'ulteriore corso con provvedimento
 29 giugno 1990 a fronte di richiesta in identica data).
    Atteso  che  la  detta  formulata  imputazione  recava  la precisa
 indicazione del reato in ordine al quale il giudice riteneva  doversi
 procedere,    rispondente    quindi   all'imprescindibile   requisito
 costituzionale della motivazione, e nell'ipotesi  di  ottemperare  la
 predetta,  una volta fatta propria (solo tecnicamente ovviamente) dal
 p.m.,  sarebbe  sfociata  nel  decreto  del  giudice  di   fissazione
 dell'udienza  preliminare,  decreto  contenente  gli  elementi di cui
 all'art. 417, lettere a), b)  e  c),  in  base  a  quanto  prescritto
 dall'art. 128 delle disp. att.
    Poiche' la detta imputazione, del resto, non essendo il termine di
 giorni  dieci  a  pena  di decadenza, avrebbe potuto essere formulata
 anche oltre i dieci giorni di rito senza alcuna negativa  conseguenza
 processuale.
    Ritenuto  che  le  pregresse considerazioni inducono a ritenere la
 norma 409 macroscopicamente lacunosa  e  contraddittoria,  di  tenore
 incerto   ed   i   cui   vuoti   non  possono  essere  tutti  colmati
 dall'interpretazione di merito, con  il  rischio  di  un  relativismo
 estremo demolitore della certezza del diritto.
    Poiche'  quindi  il  quarto  (e  non  il quinto) comma si appalesa
 costituzionalmente illegittimo contrastando  con  gli  artt.  2  e  3
 nonche'  97  della  Costituzione,  essendo quest'ultimo leso nel buon
 andamento della p.a.  (fra  cui  ovviamente  l'amministrazione  della
 giustizia)  trattandosi  di  norma  procedurale e quindi strumentale-
 organizzativa, non delineando oltretutto in modo completamente chiaro
 e trasparente le competenze ed  attribuzioni  dei  rispettivi  uffici
 giudiziari,  con  ulteriore riferimento quindi al secondo comma della
 norma costituzionale 97.
    Atteso che ogni valutazione al riguardo circa  le  indagini  nella
 parte espletata e' assorbita dalle pregresse copiose argomentazioni.
    Poiche'  la  detta  incostituzionalita'  si  concretizza,  per  la
 precisione,  laddove  la  norma  non  prevede  esplicite  conseguenze
 processuali  nell'ipotesi di mancata ottemperanza, anche parziale, da
 parte del p.m., nell'ordinanza  del  giudice  che  dispone  ulteriori
 indagini  preliminari  e laddove il termine "indica" non viene inteso
 in senso ordinatorio.
    Ritenuta   l'esigenza,   a   tal   punto,   di    verificare    la
 costituzionalita'  dell'art.  412,  secondo  comma,  del nuovo c.p.p.
 laddove rende facoltativa l'avocazione da parte del  p.g.  a  seguito
 della  comunicazione  prevista  dall'art.  409,  terzo  comma,  senza
 distinguere fra l'ipotesi in cui il p.m. effettua le nuove indagini e
 quella  in  cui  non  vi  ottemperi  (globalmente   o   parzialmente)
 contrastando  detta  facolta'  (e  non  potere-dovere  come nel primo
 comma) con l'obbligatorieta' dell'azione penale di cui  all'art.  112
 della Costituzione, e dell'art. 412 anche al primo comma laddove, nel
 suo contenuto ordinatorio, non specifica che fra le situazioni in cui
 il  p.m.  non  esercita  l'azione  penale trovasi anche quella in cui
 detto  esercizio  derivi  dall'ordine   del   g.i.p.   di   formulare
 l'imputazione,   nell'ipotesi   ovviamente   di  inottemperanza,  non
 supplendo a fini interpretativi l'art. 127 delle disp.  att.  che  si
 limita  a  contemplare  la trasmissione settimanale al p.g., da parte
 della segreteria del p.m.,  dell'apposito  elenco  delle  notizie  di
 reato  contro  persone  note  per  le  quali  non e' stata esercitata
 l'azione penale o richiesta l'archiviazione entro il termine previsto
 dalla legge o prorogato dal giudice.
    Atteso che, sia pure limitatamente  alla  differente  species  dei
 procedimenti   di   pretura,  la  Corte  costituzionale  si  e'  gia'
 pronunciata su questione, appunto non certo identica, ma similare con
 sentenza n. 445 del 26 settembre 1990 dep. il
 12 ottobre 1990.
    Ritenuto  che  lo  stesso  p.g.,  una  volta  investito  d'obbligo
 dell'esercizio dell'azione penale, non sarebbe, ovviamente, in  alcun
 modo  vincolato,  a  richiedere,  in  sede  di udienza preliminare il
 rinvio a giudizio (e neppure in sede  di  udienza  dibattimentale)  e
 pertanto  il  suo  obbligo  sarebbe,  come  vuole  logica  giuridica,
 limitato a richiedere il rinvio a giudizio "tecnico" finalizzato alla
 celebrazione dell'udienza  preliminare,  cio'  per  coerenza  con  la
 natura  imperativa  dell'ordine  da  parte  del g.i.p., come ennesime
 volte ribadito, ordine che ha  come  destinatario  il  p.m.  titolare
 dell'azione   penale,   dello   stesso   non   esercitata,  il  tutto
 sottolineandosi il concetto (comune tanto al primo quanto al  secondo
 comma  del  412)  dell'avocazione delle indagini preliminari da parte
 del p.g.