ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma primo,
 n.   12,   legge  23  aprile  1981,  n.  154  (Norme  in  materia  di
 ineleggibilita'  ed  incompatibilita'  alle  cariche  di  consigliere
 regionale,  provinciale,  comunale e circoscrizionale e in materia di
 incompatibilita' degli  addetti  al  Servizio  sanitario  nazionale),
 promosso  con  ordinanza  emessa il 26 febbraio 1990 dal Tribunale di
 Roma nel procedimento vertente tra Portoghesi Paolo e  Amato  Antonio
 Filippo  ed  altri,  iscritta al n. 666 del registro ordinanza 1990 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  44,  prima
 serie speciale dell'anno 1990;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  Amato  Antonio Filippo, di
 Portoghesi Paolo e del Sindaco di Roma, nonche' l'atto di  intervento
 del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  29  gennaio  1991  il  Giudice
 relatore Aldo Corasaniti;
    Uditi  gli  avvocati  Giuseppe  Guarino  e  Sergio  Panunzio   per
 Portoghesi  Paolo;  Giuseppe  Abbamonte  e  Giulio Correale per Amato
 Antonio Filippo; Antonio Delfini per il Sindaco di Roma e  l'Avvocato
 dello  Stato  Gaetano  Zotta  per  il  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso di un giudizio promosso da Paolo Portoghesi, eletto
 al consiglio comunale  di  Roma  nelle  elezioni  dell'ottobre  1989,
 perche'  fosse dichiarata l'illegittimita' della deliberazione con la
 quale era stata dichiarata la sua decadenza della  carica  in  quanto
 ineleggibile,  perche'  consigliere comunale in carica di Calcata, in
 provincia di Viterbo, l'adito Tribunale di Roma, con ordinanza emessa
 il  26  febbraio  1990,  ha  sollevato  questione   di   legittimita'
 costituzionale,  in riferimento agli artt. 3 e 51, primo comma, della
 Costituzione, dell'art. 2, primo comma, n. 12,  della  l.  23  aprile
 1981,  n.  154,  recante  "Norme  in  materia  di  ineleggibilita' ed
 incompatibilita' alle cariche di consigliere regionale,  provinciale,
 comunale  e  circoscrizionale  e in materia di incompatibilita' degli
 addetti al Servizio sanitario nazionale", "nella parte in cui prevede
 come causa di ineleggibilita' a consigliere comunale la  qualita'  di
 consigliere comunale in carica in altro comune".
    L'autorita'  remittente  osserva,  in  punto  di rilevanza, che il
 ricorso potrebbe trovare accoglimento solo  nel  caso  in  cui  fosse
 dichiarata l'illegittimita' costituzionale della norma denunciata.
    Premesso che l'ineleggibilita' e' tradizionalmente correlata ad un
 triplice   ordine   di   situazioni:  1)  quelle  idonee  ad  indurre
 un'inopportuna influenza sulla volonta' degli elettori; 2) quelle in-
 tegrate da conflitto di funzioni; 3) quelle comportanti un  possibile
 conflitto  di  interessi, il giudice remittente osserva che l'ipotesi
 in esame e' estranea a quest'ultimo  gruppo,  mentre  il  secondo  e'
 costruito  dalla legge n. 154 del 1981 come causa di incompatibilita'
 (art.  4,  secondo  comma:  le  cariche  di  consigliere   regionale,
 provinciale,   comunale   e   circoscrizionale   sono   incompatibili
 rispettivamente con quelle di consigliere regionale di altra regione,
 di  consigliere  provinciale  di  altra  provincia,  di   consigliere
 circoscrizionale  di  altra  circoscrizione)  e  che  in ogni caso e'
 consentita (art. 7, secondo comma) la contemporanea candidatura a due
 consigli comunali, il che evidenzia come il legislatore abbia  inteso
 evitare restrizioni al diritto di elettorato passivo.
    Ora,  ad  avviso  del  giudice a quo, qualora la ratio delle norme
 fosse quella di evitare un conflitto di funzioni (secondo  gruppo)  o
 un  possibile  conflitto di interessi (terzo gruppo), apparirebbe del
 tutto irragionevole aver consentito la doppia candidatura e la doppia
 elezione allorche' le operazioni elettorali  siano  contemporanee  ed
 avere,  invece,  inibito l'una e l'altra allorche' ad un consiglio si
 sia stati gia' eletti, con conseguente palese violazione degli  artt.
 3 e 51 Cost.
    Ove,  invece,  si  volesse  individuare  la ragione giustificativa
 della  causa  di  ineleggibilita'  costituita   dalla   qualita'   di
 consigliere  comunale in carica nella esigenza di evitare la captatio
 benevolentiae sugli elettori del consiglio comunale, la norma neppure
 si sottrarrebbe al dubbo di incostituzionalita'.
    Rileva il Tribunale che,  sulla  scorta  della  giurisprudenza  di
 questa  Corte  -  secondo  cui  le  cause  di  ineleggibilita' devono
 rigorosamente contenersi entro i limiti di quanto sia ragionevolmente
 indispensabile per  garantire  la  soddisfazione  delle  esigenze  di
 pubblico  interesse  cui sono preordinate (sentt. nn. 46 del 1969, 58
 del 1972, 5 del 1978), ed ogni limite  che  il  legislatore  pone  in
 ordine  ai  requisiti di eleggibilita' ha carattere di eccezione e va
 calibrato con  estrema  cautela  in  stretta  aderenza  ai  princi'pi
 costituzionali   (sent.  n.  1020  del  1988)  -,  non  pare  che  un
 consigliere comunale in carica possa esercitare sugli elettori di  un
 altro  comune  una  influenza  tale  da  incidere  sulle  loro scelte
 elettorali al punto da giustificare la prevista  ineleggibilita'.  In
 ogni  caso, prosegue il giudice a quo, non puo' influire sulle scelte
 elettorali piu' di un consigliere regionale o provinciale in  carica,
 anche  nelle  regioni  o  province  nel  cui territorio il comune sia
 compreso (con conseguente parziale coincidenza del corpo elettorale),
 o piu' di un membro del Parlamento, un ministro o un sottosegretario,
 per nessuno dei quali l'ineleggibilita' e' prevista.
    Tanto  evidente  e'  la  contraddittorieta',  sul   punto,   della
 disciplina   in  vigore  che,  conclude  il  Tribunale  di  Roma,  la
 disposizione denunciata non  puo'  che  essere  il  risultato  di  un
 difetto  di  coordinamento, in sede redigente, tra gli artt. 2, 4 e 7
 della legge n. 154 del 1981.
    2. - Davanti a questa Corte si  e'  costituito  Paolo  Portoghesi,
 ricorrente  nel  giudizio a quo, concludendo per l'accoglimento della
 questione sollevata.
    Aderendo alla linea argomentativa  dell'ordinanza  di  rimessione,
 nell'atto difensivo si sottolinea come, secondo il fermo indirizzo di
 questa  Corte,  il  principio  stabilito dall'art. 51 Cost. vuole che
 l'eleggibilita'  sia  la  regola  e  l'ineleggibilita'   l'eccezione,
 sicche'  le cause di ineleggibilita' debbono contenersi nei limiti di
 quanto  sia  indispensabile  per  garantire  la  autenticita'   della
 competizione   elettorale,   evitando  la  possibilita'  di  captatio
 benevolentiae e, quindi, di inquinamento delle elezioni.
    Quando invece, come nella specie, una causa di ineleggibilita' sia
 stabilita in modo arbitrario - perche' non  si  puo'  ragionevolmente
 ritenere  vi  sia  pericolo  per  la  regolarita'  delle  elezioni  e
 l'ipotesi  non  e'   riconducibile   ad   un   fondamento   razionale
 obiettivamente riconoscibile - risultano violati i limiti posti dalle
 norme costituzionali.
    Nel  caso in esame, nessuna influenza puo' avere l'appartenenza al
 Consiglio comunale di un comune di 900 abitanti, come Calcata, che e'
 compreso in altra provincia, per la  elezione  a  consigliere  di  un
 comune con piu' di tre milioni di abitanti.
    La  difesa  del Portoghesi sottolinea infine l'incongruenza di una
 normativa  che  consente  l'eleggibilita'  al   consiglio   comunale,
 certamente  legittima,  di  ministri in carica - come e' avvenuto per
 quello delle  poste  e  telecomunicazioni  e  quello  del  turismo  e
 spettacolo  al comune di Roma - e non quella del consigliere comunale
 di un minuscolo e sconosciuto comune di altra provincia.
    3. - Nel giudizio si e' altresi' costituito Filippo Antonio Amato,
 resistente nel giudizio a quo, cui era stato attribuito il seggio,  a
 seguito  della  decadenza  del  Portoghesi,  in  quanto primo dei non
 eletti  nella  stessa  lista,  ed  ha  concluso  per   la   manifesta
 infondatezza della questione.
    Ad  avviso  della  difesa dell'Amato, la ratio della norma a torto
 censurata va rinvenuta nella "potenzialita' di conflitti di interessi
 fra comuni".
    Quanto  all'incidenza  in  fatto  delle  due  situazioni  poste  a
 confronto  dal  giudice a quo, piu' che la captatio benevolentiae che
 puo' derivare dall'essere gia' consigliere in carica, la difesa della
 parte privata sottolinea il pericolo che  il  consigliere  in  carica
 trascuri  l'amministrazione  del  comune cui appartiene per dedicarsi
 alla preparazione della elezione in altro comune, ed individua  cosi'
 lo  scopo  della  norma  censurata  nel garantire la continuita' e la
 effettivita' dell'esercizio della funzione pubblica.
    Nell'atto difensivo, poi, si sottolinea che, nell'ipotesi  in  cui
 si  espungesse  la  norma denunciata dal sistema, si consentirebbe la
 permanenza di una stessa persona in due consigli comunali qualora non
 venisse promossa azione giudiziaria.
    La  difesa   dell'Amato   si   sofferma   infine   sul   carattere
 "sanzionatorio"  della  dichiarazione  di  decadenza  dalla carica di
 consigliere comunale, all'esito di  un  procedimento  garantito,  con
 riferimento  alla tesi, sostenuta dal ricorrente dinanzi al giudice a
 quo,  secondo  cui  la  mancata  partecipazione   all'attivita'   del
 consiglio  comunale  di  Calcata  doveva  far  ritenere  decaduto  il
 consigliere dalla carica.
    4. - Dinanzi a questa Corte si e' costituito il Sindaco  di  Roma,
 resistente  nel  giudizio  a  quo,  quale  Presidente  del  Consiglio
 comunale, nella persona di Franco Carraro, chiedendo che la questione
 sia dichiarata manifestamente infondata ovvero infondata.
    La difesa del Comune di Roma contesta in primo luogo l'iter logico
 seguito nell'ordinanza  di  rimessione,  sottolineando  come  vengono
 posti criteri guida, cui tradizionalmente sarebbero legate le ipotesi
 di ineleggibilita', non corrispondenti a norme di diritto positivo.
    Quanto   al   contrasto   con   l'art.   3   Cost.,  premesso  che
 "l'irragionevolezza di una norma non e' di per se'  un  elemento  che
 concreti  la  sua  illegittimita'  costituzionale",  si sottolinea la
 disomogeneita'  delle  situazioni  assunte  a  tertium  comparationis
 rispetto a quella regolata dalla norma denunciata.
    In   ordine   al  pericolo  della  inopportuna  influenza  che  un
 consigliere comunale in carica potrebbe esercitare sugli elettori del
 secondo  consiglio,  pericolo  escluso  dal  giudice  remittente,  ma
 ravvisato  in  qualche  misura  nell'ipotesi  di  candidatura  ad  un
 consiglio comunale di un membro del Parlamento, di un ministro  o  di
 un  sottosegretario  di  Stato,  o  di  un  consigliere  regionale  o
 provinciale  in  carica,  la  difesa  del  Comune  di  Roma  contesta
 l'assunto, rilevando come il consigliere comunale in carica, operando
 nello  "stesso  ambito in cui opera ed operera' il consiglio comunale
 per il quale concorre", ha molte piu' possibilita' di influenza degli
 altri soggetti cui si e' fatto cenno, i  quali  "non  influiscono  in
 ragione  della  carica  piu' di quanto non influisca una personalita'
 della politica o della cultura, anche se non ricopre alcuna carica.
    Infine, sulla possibilita' di conflitti di interessi, osserva come
 essa sussista tra comuni, anche se  territorialmente  distanti,  piu'
 che tra Stato, regione o provincia da una parte, e comune dall'altra.
    5.  -  Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
    L'Avvocatura,   rilevando   la   peculiarita'  del  caso  previsto
 dall'art. 2, n. 12, della legge n. 154 del  1981,  osserva  anzitutto
 come  la ratio della norma vada ricercata in una pluralita' di motivi
 che,  accanto  all'intento  di  evitare  influenze  sugli   elettori,
 comprende  anche la finalita' di evitare che si determinino conflitti
 di interessi o di funzioni, con conseguente compromissione, oltre che
 dell'art. 51, degli artt. 48 e 97 Cost., in  quanto  certamente  "non
 gioverebbe  all'efficienza  dell'attivita' pubblica la coesistenza di
 incarichi elettivi in luoghi anche molto distanti  ed  in  situazioni
 locali difformi".
    In ipotesi, come quella considerata, "potenzialmente
 plurioffensive dell'ordinamento costituzionale", prosegue
 l'Avvocatura, richiamando anche un'autorevole posizione espressa in
 dottrina, "non e' possibile in radice un raffronto con altre
 situazioni" diversamente disciplinate, "proprio perche' si tratta di
 posizioni con differenti sfaccettature".
    Sottolineata  la  difformita'  fra  il  caso  previsto dalla norma
 denunciata ed uno  dei  tertia  utilizzati  dal  giudice  a  quo  (la
 candidatura contemporanea in due comuni), viene esclusa la violazione
 del  principio  di  eguaglianza  e,  ricordato  che  la  regola della
 generalita'  del  diritto  elettorale  passivo  va  contemperata  con
 principi  costituzionali come quello della legalita', imparzialita' e
 buon andamento della  p.a.  e  come  quello  dell'autonomia  e  della
 funzionalita'   degli   enti  locali,  viene  esclusa  la  violazione
 dell'art. 51 Cost., affermandosi  "la  concreta  impraticabilita'  di
 plurimi  incarichi elettivi in luoghi distanti e in situazioni locali
 difformi.
    6. - In  prossimita'  dell'udienza  ha  depositato  memoria  Paolo
 Portoghesi,   ricorrente  nel  giudizio  a  quo,  insistendo  per  la
 fondatezza della questione.
    Richiamando i lavori preparatori della legge n. 154 del  1981,  la
 difesa  del  Portoghesi  rileva  come  il  legislatore  abbia  inteso
 distinguere    piu'    rigorosamente    tra    ineleggibilita'     ed
 incompatibilita',  riconducendo  alla  prima  figura le situazioni in
 grado di influire sulla  competizione  elettorale,  ed  alla  seconda
 quelle in cui vi e' possibilita' di creare commistioni o conflitti di
 interesse,  non mancando poi di osservare come tale distinzione abbia
 trovato il conforto della giurisprudenza della Cassazione.
    Tutte le ipotesi previste dall'art. 2 sono nel  contempo  casi  di
 incompatibilita'   -  in  quanto  situazioni  inconciliabili  con  le
 funzioni connesse al  mandato  elettorale  -  e  di  ineleggibilita',
 perche' ritenute idonee a determinare anche la captatio benevolentiae
 degli  elettori,  di  talche',  in  relazione  ad  esse, e' possibile
 esercitare  tanto  l'azione  di  incompatibilita'   che   quella   di
 ineleggibilita'.
    Alla  luce  di quanto detto, pero', tale seconda azione e' diretta
 soltanto a far riconoscere la sussistenza  di  situazioni  idonee  ad
 influire  sul  regolare  svolgimento  dei  comizi  elettorali e sulla
 volonta' degli elettori.
    Oggetto del giudizio di questa Corte e'  quindi  valutare  se  "un
 consigliere  comunale  in  carica  possa esercitare sugli elettori di
 altro comune una captatio benevolentiae ovvero indurre  negli  stessi
 un metus potestatis sulle scelte del corpo elettorale da giustificare
 la prevista ineleggibilita'".
    7.   -  Ha  altresi'  depositato  memoria  Antonio  Filippo  Amato
 deducendo preliminarmente di aver presentato al  Tribunale  di  Roma,
 dopo  la  rimessione  degli atti a questa Corte, un'istanza di revoca
 dell'ordinanza, in quanto erano sopravvenuti documenti in  forza  dei
 quali  veniva  meno  la  rilevanza  della  questione  di legittimita'
 costituzionale.
    Da certificazione della  Commissione  elettorale  circondariale  -
 allegata  alla  memoria - risulta infatti che il Portoghesi non aveva
 presentato, per l'elezione per cui e' giudizio, l'accettazione  della
 candidatura,  come  prescritto dagli artt. 32, commi nono e decimo, e
 33, primo comma, lett. c) del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, avendola
 invece presentata per l'elezione al consiglio circoscrizionale. Cio',
 ad avviso della difesa del Sindaco,  avrebbe  fatto  venir  meno  nel
 Portoghesi   la   legittimazione   a   proporre  ricorso  avverso  la
 declaratoria  della  sua  decadenza,  per  difetto  del  "presupposto
 richiesto per la sua inclusione nelle liste dei candidati".
    L'istanza era stata restituita dalla cancelleria del giudice a quo
 in  quanto  l'intero  fascicolo  di  causa era stato rimesso a questa
 Corte.
    La documentazione prodotta, tuttavia, puo' nel presente giudizio -
 secondo  la  difesa  dell'Amato  -  condurre  ad  una  pronuncia   di
 inammissibilita'  ovvero  alla  restituzione degli atti all'autorita'
 remittente per un nuovo esame della questione.
    Nel merito, illustrando le  eccezioni  gia'  svolte,  insiste  per
 l'infondatezza  della  questione, sottolineando, tra l'altro, come la
 limitazione in parola all'eleggibilita' ad uno degli enti considerati
 dalla   norma   denunciata   e'   giustificata    dalla    necessita'
 dell'effettivita'  della  rappresentanza, pregiudicata, per piu' enti
 dello stesso livello, dalla omogeneita'  della  natura  dei  relativi
 impegni di carica.
    In  altri  termini,  la norma censurata intende tutelare "l'eguale
 diritto  di  tutte  le   comunita'   ad   essere   rappresentate   ed
 amministrate".
    8.   -   Ha  altresi'  depositato  memoria  il  Sindaco  di  Roma,
 associandosi in primo  luogo  all'eccezione  di  inammissibilita',  a
 seguito delle produzioni documentali cui si e' fatto cenno, formulata
 dalla difesa dell'Amato.
    In   proposito,  fa  presente  che  quest'ultimo  ha  avanzato  al
 Consiglio  comunale  di  Roma,  il  17  maggio   1990,   istanza   di
 annullamento   in   parte  qua  della  deliberazione  consiliare  che
 dichiarava decaduto il  Portoghesi,  indicando  un  nuovo  motivo  di
 nullita'   della   elezione  nella  mancanza  di  accettazione  della
 candidatura, sottolineando l'inammissibilita' e  l'ininfluenza  della
 questione di legittimita' sollevata.
    Nel  merito,  illustrando  ulteriormente  i  rilievi  svolti nella
 precedente difesa, anche confrontando  la  disciplina  censurata  con
 quella  previgente,  e  rilevando, sulla scorta di richiami ai lavori
 preparatori,   che   scopo   delle   affermate   ineleggibilita'   ed
 incompatibilita'  orizzontali  fra  cariche  analoghe e' "favorire un
 sempre maggior impegno nell'espletamento del mandato", insiste per la
 manifesta infondatezza ovvero infondatezza della questione.
                        Considerato in diritto
    1. - Nel  giudizio  di  impugnazione,  promosso  da  un  candidato
 eletto,  contro  la deliberazione del Consiglio comunale di Roma, con
 la quale  non  era  stata  convalidata  la  sua  elezione,  e'  stata
 sollevata questione di legittimita', in riferimento agli artt. 3 e 51
 della  Costituzione,  dell'art.  2, primo comma, n. 12 della legge 23
 aprile  1981,  n.  154  (Norme  in  materia  di  ineleggibilita'   ed
 incompatibilita'  alle cariche di consigliere regionale, provinciale,
 comunale e circoscrizionale e in materia  di  incompatibilita'  degli
 addetti al Servizio sanitario nazionale), vale a dire della norma che
 sancisce   l'ineleggibilita'  alla  carica  di  consigliere  comunale
 (provinciale,  regionale)  di  chi  rivesta  quella  di   consigliere
 comunale  (provinciale,  regionale)  presso  altro  Comune  (o  altra
 Provincia o Regione).
    2. - Secondo il giudice a quo le ragioni per le quali  e'  sancita
 l'ineleggibilita' vanno ricondotte a una delle seguenti:
      1) possibilita' di inquinamento delle scelte elettorali mediante
 influenze  esercitabili sugli elettori (captatio benevolentiae, metus
 potestatis) da parte di candidati gia' investiti di  date  cariche  o
 posizioni privilegiate;
      2)  possibilita'  di  scorretto esercizio, da parte di candidati
 una volta eletti, delle funzioni che essi sono chiamati  a  svolgere:
 a) per conflitto tra funzioni, in ragione della difficolta' materiale
 derivante  dal  contemporaneo esercizio di altre funzioni o attivita'
 da essi svolte anche se in relazione a queste non sia ipotizzabile un
 conflitto di interessi; b) per conflitti  di  interessi,  in  ragione
 della  mancata  garanzia di imparzialita' derivante dal contemporaneo
 esercizio di altre funzioni o attivita' da essi svolte  in  relazione
 alle quali tale conflitto sia invece ipotizzabile.
    Secondo  il  detto  giudice,  relativamente all'ineleggibilita' in
 questione le ipotesi di cui al n. 2 sarebbero escluse: quella sub  b)
 da  cio',  che non e' configurabile in relazione alla carica elettiva
 gia' coperta un conflitto di interessi; quella sub  a)  da  cio'  che
 tale ipotesi e' costruita come causa di incompatibilita' dall'art. 4,
 secondo  comma,  della  legge n. 154, e da cio' che l'art. 7, secondo
 comma, della stessa legge ammette la contemporanea candidatura a  due
 consigli  comunali.  Residuerebbe  l'ipotesi  sub  a).  Ma sotto tale
 profilo,  sempre  secondo  il  giudice  a  quo,  la  norma  impugnata
 apparirebbe   irragionevole,   non  vedendosi  come  il  sospetto  di
 esercitare  indebite  influenze  sulla  volonta' degli elettori possa
 prender corpo, nel caso di elezioni comunali, a carico  di  chi  gia'
 ricopra  la carica di membro di altro consiglio comunale (nel caso di
 elezioni  provinciali,  quella   di   membro   di   altro   consiglio
 provinciale;  nel  caso  di  elezioni  regionali, quella di membro di
 altro consiglio regionale: "ineleggibilita' orizzontale") e non anche
 a carico di chi ricopra quella di membro di una delle due  Camere,  o
 di  Ministro,  o  di  Sottosegretario  di Stato o quella di membro di
 consiglio  provinciale  o  regionale  (nonostante   le   non   minori
 possibilita'  per  chi  la copre di esercitare influenze sulle scelte
 elettorali, tanto piu' quando si tratti di consiglio della regione  o
 della  provincia  nel  cui territorio e' compreso il Comune della cui
 elezione si tratta).
    3. - Va disattesa anzitutto l'eccezione di inammissibilita'  della
 questione,  -  sollevata dal candidato eletto subentrato al candidato
 eletto la cui elezione non  era  stata  convalidata  -  per  asserita
 mancanza di legittimazione di quest'ultimo ad impugnare il diniego di
 convalida promuovendo il giudizio a quo, a causa di asserita mancanza
 di accettazione da parte sua della candidatura ai sensi dell'art. 32,
 nono comma, n. 2 del Testo Unico delle leggi per la composizione e la
 elezione  degli  organi  delle Amministrazioni comunali approvato con
 d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570.
    Cio' in quanto la  mancanza  di  legittimazione  a  promuovere  il
 giudizio  a  quo  e' materia di eccezione opponibile soltanto in tale
 giudizio.
    4. - La questione non e' fondata.
    Il giudice a quo sembra rifarsi, nel tracciare la distinzione  fra
 impedimenti   ostativi   alla  liberta'  e  genuinita'  della  scelta
 elettorale  e  impedimenti  ostativi  al  corretto  esercizio   delle
 funzioni  che  l'eletto  e' chiamato a svolgere, a elaborazioni della
 dottrina e della giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn. 45, 129
 del 1977, 162 del 1985: tutte  pronunciate  in  riferimento  a  leggi
 elettorali  diversa  da  quella  n.  154  del  1981).  Egli mostra di
 assumere come frutto di tali elaborazioni l'affermazione che,  stante
 la  forza  e  generalita' del principio, espresso dall'art. 51, primo
 comma, della Costituzione, secondo il quale  l'accesso  alle  cariche
 pubbliche e' aperto a tutti i cittadini, le previsioni da parte della
 legge,  che pur vi e' abilitata dallo stesso precetto costituzionale,
 delle limitazioni all'accesso - particolarmente di quelle piu' gravi,
 consistenti nella ineleggibilita' dei soggetti portatori di posizioni
 ritenute dalla legge come suscettive di dar luogo alle dette indebite
 influenze, - vanno verificate nella loro ragionevolezza. E mostra  di
 intendere  la  verifica  come diretta a stabilire, ancor prima che se
 siano ipotizzabili le esigenze cui si connettono le limitazioni e  se
 queste  siano  strumento congruo alla tutela di quelle, se, alla luce
 del costume storicamente invalso o della  situazione  socio-economica
 maturata,  le  posizioni  ritenute  tali  dalla legge siano realmente
 suscettive delle temute influenze. Ovvero il controllo  se  lo  siano
 comunque  piu'  di  altre posizioni, in relazione alle quali la legge
 non prevede limitazioni  al  diritto  di  elettorato  passivo,  o  ne
 prevede meno gravi, quali ad esempio l'incompatibilita' fra posizione
 preesistente e nuova carica elettiva, con la conseguente possibilita'
 per  il  portatore  di sperimentare il cimento elettorale e di optare
 successivamente, in caso di sua elezione, fra l'una e l'altra.
    Peraltro  non  e'  necessario indugiare in relazione alla legge n.
 154 del 1981 sulla problematica concernente la cennata distinzione  e
 la  necessita'  o  no  di  differenziare  nettamente  il regime della
 limitazione all'accesso alle  cariche  pubbliche  (ineleggibilita'  o
 incompatibilita')  a  seconda  che  ricorrano  impedimenti dell'una o
 dell'altra categoria. E cio' a prescindere dalla considerazione  che,
 malgrado  i  richiami  alla  distinzione  stessa contenuti nei lavori
 preparatori, la legge in parola da un lato mostra di  non  attribuire
 eccessiva   rilevanza   alle   indebite   influenze   sulla  liberta'
 dell'elettore quando ammette che la  maggior  parte  delle  cause  di
 ineleggibilita'  derivanti  da  cariche  coperte  possa  cessare  per
 "aspettativa" (cioe' temporaneamente), dall'altro mostra di attenuare
 le differenze fra i due tipi di impedimenti nonche' quelle fra il re-
 gime  delle  cause  di  ineleggibilita'  e  quello  delle  cause   di
 incompatibilita',  quando  ammette  che  le  prime possano cessare al
 momento della presentazione delle candidature anziche', come  secondo
 altre  leggi  elettorali  (quali  il  d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 in
 materia di elezioni politiche, e gia' la L. 17 febbraio 1968, n.  108
 in materia di elezioni regionali) a un momento anteriore.
    Ed e' del pari superfluo indugiare sulla validita' degli argomenti
 specificamente  addotti  dal  giudice  a quo per mettere in dubbio la
 ragionevolezza della ineleggibilita'  di  cui  si  tratta  in  quanto
 riferita  alla  garanzia  della  liberta'  della  scelta  elettorale,
 perche' il  fondamento  dell'ineleggibilita'  stessa  e'  diverso  da
 quello  cosi'  individuato  dal  detto  giudice  e  dagli altri sopra
 enunciati. Esso va infatti rinvenuto nel  principio,  introdotto  con
 l'art. 20, nono comma, del d. legisl. luogotenenziale 7 gennaio 1946,
 n.  1,  agli  albori  della  rinascita  democratica del nostro Paese,
 secondo il quale un soggetto non puo' far  parte  di  piu'  assemblee
 rappresentative  di  altrettante collettivita' comunali: principio il
 cui contenuto e la cui forza  rendono  comprensibili  e  giustificate
 quelle   che   il   giudice  a  quo  ritiene  discrasie  o  segni  di
 irragionevolezza.
    5. - Il detto principio  -  ora  ripreso,  esteso  alle  assemblee
 rappresentative provinciali e regionali, e articolato con riferimento
 a  varie  fasi o vicende del procedimento elettorale, dalla norma ora
 impugnata in combinazione con gli artt. 4 e 7 della stessa  legge  n.
 154  del  1981  -  era  correlato,  nel  decreto n. 1 del 1946, a una
 profonda trasformazione delle amministrazioni comunali.
    Si  trattava,  come  chiarito  dal  titolo  di  quel  decreto,  di
 ricostituire  le  amministrazioni comunali su base elettiva, e quindi
 di  strutturarle  come  organi  di  autogoverno  delle  collettivita'
 locali,  abbandonandosi  la  concezione  degli enti locali quali mere
 articolazioni amministrative di uno  Stato  fortemente  unitario,  ed
 anzi autoritario e accentratore.
    Si  trattava  altresi' di superare l'idea, connessa all'originario
 collegamento della  rappresentanza  con  la  contribuzione,  che  gli
 organi degli enti locali siano investiti sostanzialmente della tutela
 degli  interessi  patrimoniali  dei  contribuenti, tali per avventura
 rispetto a piu' Comuni, e che  fino  all'introduzione  del  suffragio
 universale   (di  poco  anteriore  alle  ultime  elezioni  dell'epoca
 prefascista) di quegli organi erano  i  soli  elettori.  E  cosi'  di
 approdare alla concezione, cui sospingeva la cennata introduzione del
 suffragio  universale, degli organi di governo delle comunita' locali
 come  organi  rappresentativi  degli  interessi  generali delle dette
 comunita'  viste  nell'interezza  della   popolazione   di   cui   si
 sostanziano.
    Orbene, mentre la contemporanea partecipazione di un soggetto alle
 assemblee  elettive  di  piu'  Comuni era coerente alla superata idea
 degli organi  dell'amministrazione  locale  come  rappresentativi  di
 interessi  di censo, alla nuova concezione e' coerente invece che chi
 di  una  di  tali  amministrazioni  fa  parte  si   consideri   cosi'
 strettamente legato da doveri e da responsabilita' verso la comunita'
 prescelta da non potere partecipare agli organi rappresentativi degli
 interessi   omologhi  di  altra  comunita'  dello  stesso  tipo,  con
 l'assunzione di altrettali doveri e responsabilita' verso di essa.
    Di qui la previsione dell'ineleggibilita' di chi sia  gia'  membro
 dell'assemblea rappresentativa di altro ente (art. 2, primo comma, n.
 12,  L.  n.  154  del  1981  e,  per  i  Comuni, art. 20, nono comma,
 d.lg.lgt. n. 1 del 1946), ineleggibilita' che puo' essere scongiurata
 solo se la precedente appartenenza ad altra assemblea venga meno  per
 "dimissioni"  (cioe' definitivamente) prima della presentazione delle
 candidature (art. 2, terzo comma, L. n. 154  del  1981);  di  qui  il
 limite  che,  pur  potendo il soggetto porre la propria candidatura a
 piu' elezioni che si svolgano contemporaneamente, cio' possa avvenire
 per due soli Comuni (o Province o Regioni) (artt. 4, secondo comma  e
 7  della  legge  n.  154 del 1981 e gia', per i Comuni, art. 20, nono
 comma, d.lg.lgt. n. 1 del 1946); di qui la previsione, per il caso di
 elezione contemporanea in due Comuni (o Province  o  Regioni),  della
 incompatibilita'  fra  le  due  cariche  (art. 4, secondo comma, e 7,
 secondo comma, della legge n. 154 del  1981)  e  di  un  procedimento
 particolarmente rigoroso per quel che riguarda le modalita' e i tempi
 dell'opzione,  e  addirittura  di  una presunzione di opzione, per il
 caso che questa manchi, secondo una regola inspirata evidentemente al
 criterio della rappresentativita', con l'effetto di  escludere  o  di
 ridurre al minimo la possibilita' di contemporanea qualita' di eletto
 a far parte di due assemblee rappresentative omogenee.
    Certo   la   previsione  dell'ineleggibilita'  presuppone  che  il
 legislatore  abbia  avvertito  con  particolare  intensita'   e   con
 particolare  rigore l'esigenza di dare attuazione al princi'pio della
 rappresentativita' democratica nel governo degli enti locali. Ma cio'
 si spiega con la  primarieta'  del  valore  espresso  nel  princi'pio
 suindicato,  valore  e princi'pio cui del resto si coordina lo stesso
 diritto di elettorato passivo.