IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale n. 75/1990 r.g. a carico di: 1) Puiatti Mario, nato a Pordenone il 7 settembre 1949; 2) Coral Italo, nato a Pordenone il 14 ottobre 1935, imputati del reato di cui all'art. 664 del c.p. per aver staccato, lacerato e resi inservibili i manifesti del "4 novembre" fatti affiggere dalle autorita' civili. FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con rapporto 7 novembre 1989 i CC di Pordenone segnalavano alla procura di questa pretura, che il 5 novembre 1989 sul quotidiano "Il Gazzettino" edizione di Pordenone era apparsa la notizia che Puiatti Mario e Corai Italo, attivisti della lista per l'alternativa, avevano staccato i manifesti fatti affiggere per la festa del 4 novembre dall'autorita' civile. Il fatto era avvenuto pubblicamente alla presenza di fotografi, giornalisti e televisione. Il g.i.p., su richiesta del p.m. emetteva nei confronti dei due decreti di condanna alla pena di L. 400.000 di ammenda. Avverso tale decreto proponevano rituale opposizione i prevenuti che, quindi, venivano citati per l'odierno dibattimento. In limine litis la difesa degli imputati, ha eccepito la illegittimita' costituzionale dell'art. 664, primo comma, del c.p. nella parte in cui prevede la punibilita' di colui che stacca, lacera o rende comunque inservibili o illegibili scritti o disegni fatti affiggere dalle autorita' civili o da quelle ecclesiastiche al di fuori dei luoghi e dei modi consentiti dalla legge o dall'autorita', con riferimento all'art. 3 della Costituzione. Osserva la difesa che, mentre il contravventore al predetto dettato dal secondo comma dell'art. 664 del c.p. e' punito solo quando gli scritti e disegni sono affissi dai privati nei luoghi e modi consentiti, colui che stacca o lacera maniesti fatti affiggere dalle autorita' civili od ecclesiastiche e' punito quand'anche tali scritti e disegni siano affissi nei luoghi e nei modi non consentiti. In buona sostanza, alla p.a. ed alle autorita' ecclesiastiche verrebbe assicurata una discrizionalita' assoluta nella scelta degli spazi e delle modalita' di affissione e la tutela penale si concretizzerebbe in una palese disparita' di trattamento a favore delle autorita' civili ed ecclesiastiche (primo comma) rispetto ai soggetti privati (secondo comma), con corrispondente disuguaglianza di trattamento sanzionatorio verso i contravventori dell'una o dell'altra disposizione. D I R I T T O Giova premettere, innanzitutto, che non e' qui in discussione il potere discrezionale che compete alla p.a. nell'esercizio delle sue funzioni istituzionali e per il perseguimento degli scopi ad esse inerenti. Laddove la p.a., ad esempio in occasione di calamita', pericoli o che altro di normale od eccezionale riguardi l'interesse della collettivita', decida di far affiggere manifesti su tutti i muri della citta', essa agirebbe nell'ambito che le e' peculiare e la norma esplicherebbe appieno e legittimamente la sua efficacia protettiva. Diverso e', invece, il caso in cui la p.a. agisca uti civis, avendo cioe' di mira interessi analoghi a quelli del privato cittadino, ovvero quando esorbiti dai poteri istituzionali. In queste ipotesi, e' pacifico che alla p.a. non puo' essere riservata una tutela piu' intensa di quella garantita ai privati. Nel caso di specie, (messaggio celebrativo della ricorrenza del 4 novembre), pare evidente che il Sindaco, lungi dal perseguire uno scopo di interesse pubblico, abbia agito piuttosto, iure privatorum o, piu' propriamente, nell'ambito di quelle manifestazioni politiche, che fanno parte del corredo consolidato delle cariche istituzionali e son'anche legittime, ma non possono inquadrarsi, di certo, nel novero delle funzioni di carattere pubblicistico. Per completezza sembrerebbe opportuno segnalare l'ancor piu' stridente violazione del principio costituzionale, laddove l'art. 664 del c.p. estende la tutela privilegiata alle affissioni delle autorita' "ecclesiastiche". La lettera della norma non consente, infatti, di ritenere che tale protezione sia limitata alle affissioni che avvengano all'interno od esterno degli edifici destinati al culto, il che sarebbe perfettamente conforme all'art. 2 del Concordato stipulato fra la Santa sede e l'Italia il 27 maggio 1929, confermato dall'art. 7, quarto comma, della legge di ratifica 25 marzo1985, n. 121, ma comprenda tutte le affissioni disposte dalle autorita' ecclesiastiche, in qualunque modo e luogo avvengano. Suffraga questa deduzione, il periodo storico in cui e' stato promulgato il codice penale, che vedeva una netta prevalenza dell'autorita' in genere, fosse pubblica od ecclesiastica, sul privato cittadino ed una collocazione privilegiata della religione cattolica nell'ambito dello Stato. Orbene, se una evidente influenza sul legislatore poteva avere, al tempo, l'autorita' ecclesiastica, che in virtu' dell'art. 1 del trattato tra la Santa sede e l'Italia altri non era che quella cattolica apostolica romana, attualmente non si gustificherebbe piu'. Oggi, dopo l'avvento della Repubblica, il processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia nel dopoguerra e la progressiva laicizzazione della societa', parlare ancora di autorita' ecclesiastica o, comunque, parificarla all'autorita' civile e' fuori luogo. Senza dire che, a norma del paragrafo 1 del protocollo addizionale all'accordo di modificazione del concordato lateranense, recepito dalla legge 25 marzo 1985, n. 121, non e' piu' in vigore il principio richiamato dai patti lateranensi della religione cattolica come religione dello Stato italiano. Alla luce delle considerazioni sopra espresse, la denunzia d'illegittimita' costituzionale della norma appare degna di considerazione. La decisione sul punto, poi, e' senz'altro rilevante ai fini della definizione del giudizio, posto che una decisione della Corte, nel senso indicato dalla presente ordinanza, porterebbe al proscioglimento con formula piena degli imputati.