LA CORTE DI CASSAZIONE A pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da: Roberta De Vitali, nata a Milano il 27 gennaio 1969, contro la sentenza 8 giugno 1990 della corte d'appello di Milano. Sentita la relazione del consigliere Fattori e udito il p.g., in persona del dott. Bruno Frangini, il quale ha chiesto la dichiarazione di manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale e il rigetto del ricorso. La Corte osserva, in fatto o in diritto, quanto segue. Roberta De Vitali e' stata chiamata a rispondere del reato di cui all'art. 72 primo comma della legge 22 dicembre 1975, n. 685 (fatto accertato in Milano il 29 dicembre 1989). Si e' proceduto con il rito abbreviato e il tribunale della predetta citta' (sent. 12 gennaio 1990) ha dichiarato l'imputata colpevole del reato ascrittole e, con attenuanti generiche e la diminuente di cui all'art. 442 secondo comma nuovo cod. proc. pen., l'ha condannata alla pena di dieci mesi e venti giorni di reclusione e duecentomila lire di multa, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione. Su appello della De Vitali, la Corte di Milano (sent. 8 giugno 1990) ha dichiarato inammissibile l'appello stesso, trattandosi di pena che - in forza della sospensione concessa - non deve essere eseguita. L'imputata ha tuttavia proposto ricorso per cassazione, deducendo tra l'altro: che vi e' stata violazione dell'art. 443 n. 2 nuovo c.p.p., giacche' - si asserisce nei motivi di gravame - anche la pena irrogata a seguito di giudizio abbreviato e' stata sospesa l'appello deve comunque ritenersi consentito; che, diversamente opinando, va ritenuta l'incostituzionalita' della norma suddetta, alla luce degli artt. 3 e 24 (primo e secondo comma) della Costituzione. Cio' posto, occorre anzitutto rilevare come, secondo l'interpretazione di questa s.c. (c.f.r. sez. IV, 12 ottobre 1990, ric. Petrolini), sostanzialmente conforme alle poche voci che in dottrina si sono espresse sull'argomento, la norma, di cui all'art. 443 n. 2 c.p.p. del 1988 vada appunto intesa nel senso che, in caso di sospensione condizionale della pena, l'appello non e' consentito, ferma la conversione, ex art. 580 stesso codice, dell'eventuale ricorso per cassazione in appello, ove quest'ultimo mezzo di impugnazione sia esperito da coimputato condannato a pena eseguibile (cfr. cass. pen. sez. VI, 3 dicembre 1990, ric. Di Bella). Ma - ad avviso di questo collegio - se cosi' la norma de qua dev'essere interpretata, la questione di legittimita' costituzionale formulata nei motivi di gravame, non puo' ritenersi manifestamente infondata, non tanto in relazione all'art. 24 primo comma o all'art. 24 secondo comma della Costituzione (che mal si vede come potrebbero riferirsi alla norma di cui si discute), ma in relazione all'art. 3 primo comma della Costituzione medesima (principio d'equaglianza). E' necessario infatti sottolineare che il rito abbreviato corrisponde ad un'esigenza d'immediatezza o comunque di sollecitudine di giudizio che e' comune, oltre che ad imputato colpevoli, ad imputati che sono e vogliono essere riconosciuti innocenti. Conseguentemente, nel caso in cui il giudizio stesso si conclude con una condanna (anche se a pena condizionalmente sospesa), viene delusa l'aspettativa dell'imputato il quale fonda la propria convinzione di innocenza su una valutazione degli elementi di giudizio gia' acquisiti diversa da quella compiuti dalla sentenza e, al contempo, gli si impedisce di sperimentare l'appello, unico mezzo di impugnazione con cui possono essere dedotti motivi di merito e con il quale percio' potrebbe ottenere una rivalutazione dei predetti elementi in conformita' alle sue aspettative. In tal modo, gli imputati a pena sospesa vengono a trovarsi - contro la logica e l'equita' - in condizione deteriore rispetto ad imputato meno "positivi": rispetto a quelli cioe' che subiscano una condanna senza il beneficio della sospensione condizionale. E questa situazione d'ingiusta disparita' appare ancor piu' rilevante allorche', in caso di appello proposto da coimputato condannato a pena non sospesa, l'eventuale ricorso per cassazione di chi ha beneficiato della sospensione si converta appunto in appello, giacche' i motivi di ricorso non possono evidentemente consentire al giudice di secondo grado quell'ampiezza di valutazione che potrebbero invece permettergli motivi d'appello. E' appena il caso d'aggiungere che la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 443 n. 2 del nuovo c.p.p. e', nel caso concreto, rilevante, dovendosi appunto decidere se l'appello proposto dalla De Vitali fosse o no ammissibile.