IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi n. 2463/1988 e n.
 2456/1989  proposti  dall'Istituto  Santa  Margherita, in persona del
 commissario regionale in carica,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
 Carlo  Selvaggi  ed elettivamente domiciliato nel suo studio in Roma,
 via Nomentana n. 76 per delega in margine ai ricorsi contro il comune
 di Roma in persona del sindaco pro-tempore,  rappresentato  e  difeso
 dall'avv.   Luigi   Onofri,   e   domiciliato   presso   gli   uffici
 dell'avvocatura comunale, in via del Tempio di Giove n. 21, Roma, per
 delega in atti; e nei confronti del  signor  Giuseppe  Marrocco,  per
 l'annullamento:
      quanto  al  ricorso  n. 2643/1988, dell'ordinanza del presidente
 del consiglio della prima circoscrizione in data 28 maggio 1988,  che
 intima  anche  all'Istituto,  in  qualita'  di  proprieta'  del bene,
 l'immediata sospensione dei lavori e  la  demolizione  entro  novanta
 giorni delle opere consistenti in due manufatti attigui nonche' di un
 capannone,  abusivamente  realizzate  dal  signor  Giuseppe Marrocco,
 affittuario dell'area situata in via di Santa Balbina  n.  8,  previa
 diffida dell'acquisizione gratuita del fondo al patrimonio comunale;
      quanto  al  ricorso  n. 2456/1989, dell'ordinanza del presidente
 del consiglio della prima circoscrizione in data 10 aprile 1989,  che
 dispone  la  trascrizione nei pubblici registri dell'acquisizione del
 fondo al patrimonio comunale e la sua immissione in possesso da parte
 dell'amministrazione, previo lo sgombero di persone e da cose;
    Visti i ricorsi ed i relativi allegati;
     Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'amministrazione;
    Viste le memorie delle parti;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Nominato relatore alla pubblica udienza dell'11  giugno  1990,  il
 cons.  Lamberti, e uditi altresi' l'avv. Selvaggi per il ricorrente e
 l'avv. Onofri per il comune;
    Ritenuto e considerato quanto segue in fatto e in diritto;
                               F A T T O
    All'Istituto Santa Margherita, proprietario di un appezzamento  di
 terreno  dato  in  affitto  dal  signor  Giuseppe  Marrocco, e' stato
 intimato con  la  prima  delle  ordinanze  in  epigrafe,  l'immediata
 sospensione  dei  lavori e la demolizione entro novanta giorni, delle
 opere realizzate da costui in assenza di concessione, consistenti  in
 due manufatti attigui nonche' di un capannone.
    Con  la  seconda  delle riportate ordinanze, e' stata poi disposta
 nei confronti dell'Istituto, l'acquisizione di diritto  del  bene  al
 patrimonio  del  comune,  contemporaneamente  alla  trascrizione  nei
 pubblici registri immobiliari e lo sgombero del terreno da persone  e
 da  cose,  constatato  l'inadempimento  all'ordine  di demolizione in
 precedenza comminato.
    Ribadito che le predette opere, adibite a serra smontabile,  erano
 state  realizzate  dal  conduttore, signor Marrocco nei cui confronti
 era stata  iniziata  un'azione  di  rilascio  dopo  la  notifica  dei
 provvedimenti  del  comune,  l'Istituto ha opposto, con il ricorso n.
 2792/1988 avverso l'ordine di demolizione, quattro  distinte  censure
 di violazione di legge e di eccesso di potere.
    L'Ente  contesta  innanzitutto  la  propria  qualita' di legittimo
 destinatario dell'ordinanza impugnata, non avendo alcuna possibilita'
 di sospendere le opere o  demolirle:  non  ne  e',  infatti,  ne'  il
 committente  ne'  l'esecutore e neppure si trova, in quanto locatore,
 nel possesso  o  nella  detenzione  del  bene,  come  necessario  per
 ottemperare al precetto dell'amministrazione.
    Il  ricorrente  nega  poi  l'esistenza  del presupposto per subire
 l'acquisizione dell'area  al  patrimonio  del  comune,  data  la  sua
 obiettiva  carenza  di  responsabilita'  per  il  perpetrato illecito
 urbanistico, da ascrivere completamente in capo al conduttore  signor
 Marrocco, titolare della diretta disponibilita' del fondo.
    Viene  poi contestata l'inesattezza della delimitazione delle aree
 che  il  comune  intende  acquisire  e  la  mancanza   di   ulteriori
 provvedimenti  diretti  a  far constatare il formale inadempimento di
 quanto comminato dall'amministrazione, come, invece prevede l'art. 7,
 comma della legge 2 febbraio 1985, n. 47.
    Con il secondo ricorso n. 2358/1989, l'Istituto  impugna  l'ordine
 di  acquisizione gratuita al patrimonio del Comune, previa immissione
 in possesso e sgombero del fondo, data l'inottemperanza all'ordine di
 demolire e sospendere i lavori effettuati dal signor  Marrocco  sulla
 propria area.
    Nei  quattro  distinti  motivi  sono  stati  ribaditi per un verso
 l'estraneita' dell'ente alla  commissione  dell'abuso,  da  ascrivere
 unicamente  al  conduttore,  signor  Marrocco  Giuseppe,  il  solo  a
 travarsi nella situazione di poter  disporre  del  terreno  ove  sono
 state  realizzate  le  opere  perseguite,  e, per altro canto, il suo
 difetto di legittimazione  a  ricevere  la  sanzione  della  confisca
 dell'area,  non  avendo disposizione strumento alcuno per impedire al
 conduttore la  commissione  del  fatto  da  cui  essa  deriva,  salva
 l'azione di rilascio, prontamente esperita.
    Sono  stati  poi  ribaditi l'inosservanza dell'onere del comune di
 richiedere   il   preventivo   avviso   dell'assessorato    regionale
 all'urbanistica    e   dell'obbligo   di   adottare   gli   ulteriori
 provvedimenti   di   accertamento   inotteperanza    all'ordine    di
 demolizione,  prima  di  procedere  alla  confisca  dell'area, la cui
 superficie neppure risulta esattamente delimitata.
    Il comune si e' costituito in ambedue  i  ricorsi  chiedendone  il
 rigetto, data la conformita' del proprio comportamento alla normativa
 in vigore.
    In   due  distinte  memorie,  comuni  ad  ambedue  i  ricorsi,  il
 ricorrente ha ribadito  la  propria  estraneita'  all'abuso  per  cui
 dovrebbe  essere  assoggettato alla confisca del bene, che, una volta
 eseguita, lo esporrebbe ad  una  responsabilita'  per  fatto  altrui,
 incompatibile  rispetto  alla  conformita' della sanzione ai precetti
 costituzionali.
    Analoghi  argomenti  sono  stati  rappresentati  nel  corso  della
 discussione  orale  all'udienza  dell'11  giugno  1990,  terminata la
 quale, la causa e' stata passata in decisione.
                             D I R I T T O
    I ricorsi devono essere riuniti e decisi  con  un'unica  pronunzia
 per evidenti motivi di connessione.
    Comune  ad  entrambi  e'  la censura inerente l'illegittimita' del
 trasferimento gratuito del fondo, comminato  quale  sanzione  per  le
 opere  abusive  ivi  realizzate  dal  terzo  detentore  a  titolo  di
 locazione, nonostante il proprietario non abbia  concorso  alla  loro
 realizzazione  ne'  si  sia  trovato  nella materiale possibilita' di
 ottemperare all'ordine di demolizione.
    L'art.  7  della  legge  2 febbraio 1985, n. 47, prevede, infatti,
 l'acquisizione di  diritto  al  patrimonio  del  comune  del  bene  e
 dell'area  di sedime, nonche' di quella necessaria alla realizzazione
 di opere analoghe a quelle abusive, se il responsabile dell'abuso non
 provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi nel
 termine dei novanta giorni dall'intimazione a demolire.
    Il propritario viene, dunque, indifferentemente assoggettato  alla
 perdita  del  bene  sia  quando  abbia realizzato di persona le opere
 sanzionate, si allorche'  l'abuso  debba  imputarsi  del  tutto  alla
 condotta  del terzo detentore, che lo abbia perpetrato a sua insaputa
 o nella sua materiale impossibilita' di opporvisi.
    Parimenti, il  proprietario  subisce  la  confisca  dell'area  sia
 quando   abbia   la   possibilita'   di   ottemperare  all'ordine  di
 demolizione, sia quando  tale  possibilita'  per  lui  non  sussista,
 essendo  il  bene  da  demolire  nella disponibilita' giuridica di un
 altro soggetto, quale e' il conduttore nel rapporto locativo.
    Cio' qualifica, nel presente ricorso, la rilevanza della questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma terzo, della  legge
 2 febbraio 1985, n. 47, la cui non manifesta infondatezza risiede, ad
 avviso  del Collegio, nel pari trattamento sanzionatorio di posizioni
 oggettivamente dissimili  sotto  il  profilo  dell'imputabilita'  del
 comportamento  che  la legge mira a reprimere, nonche' delle concrete
 possibilita'  di  sottrarsi  alla  sanzione  mediante  l'ottemperanza
 all'ordine di ripristino.
    L'ordinamento  non  puo' trattare allo stesso modo il proprietario
 che sia autore delle opere abusive, e quello che non lo sia.
    Ne' a pari trattamento sanzionatorio puo' essere  assoggettato  il
 proprietario  che  ha  gli  opportuni strumenti d'ingerenza sul bene,
 tramite i quali sia possibile scindere la sua posizione da quella del
 detentore che ha operato contra  legem,  ottemperando  all'ordine  di
 ripristino   dell'amministrazione,   ed   il  proprietario  che  tali
 strumenti non possiede.
    Non distinguere, nell'irrogazione della confisca, la posizione del
 proprietario che sia  l'autore  immediato  dell'illecito  edilizio  e
 quella  della  sua estraneita' all'abuso, perche' privo del godimento
 del bene, implica dunque il sacrificio, a titolo  di  responsabilita'
 oggettiva, del diritto del proprietario per un fatto altrui.
    Sotto  questo  profilo  il  collegio  ritiene  il  contenuto della
 disposizione predetta inadeguato ai precetti costituzionali di logica
 e di parita' di trattamento e ravvisa, pertanto, la necessita' di una
 pronunzia diretta ad equilibrare l'incidenza sanzionatoria con le di-
 verse situazioni in cui puo'  versare  il  titolare  del  diritto  di
 proprieta'.
    Nei riguardi del proprietario che sia non responsabile dell'abuso;
 ne'  giuridicamente  ne'  sia  materialmente in grado di ovviarvi, la
 perdita della titolarita' del  diritto  appare  inoltre  al  collegio
 un'eccedenza  del mezzo rispetto al fine, incompatibile con i vigenti
 principi costituzionali in materia di tutela della proprieta',  oltre
 che con il criterio di coerenza dell'azione amministrativa.
    E'  pertanto  necessario  sospendere il presente giudizio ai sensi
 dell'art. 23, della legge 11 marzo 1953,  n.  87,  e  rimettere  alla
 Corte costituzionale l'esame della presente questione.