IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi riuniti n. 566/1988 proposto da De Col Maria e De Col Ada; n. 841/1989 proposto da De Col Ada; n. 842/1989 proposto da De Col Maria, rappresentate e difese dall'avv. Ezio Trampus, presso lo studio del quale, in Trieste, via Coroneo, 4, hanno eletto domicilio, come da mandato a margine dei ricorsi, contro (quanto al ricorso n. 566/1988): il comune di Azzano Decimo, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Steccanella e Luciano Sampietro, presso lo studio del quale ultimo in Trieste, via S. Francesco, 11, ha eletto domicilio, come da delibera consiliare n. 305 del 25 ottobre 1988, della g.m. 13 luglio 1989, n. 587 (rattificata dalla delibera consiliare n. 294 del 28 agosto 1989 e delibera della g.m. n. 1086 del 19 dicembre 1989 integrativa della precedente (ratificata con delibera consiliare 19 marzo 1990, n. 150) e da procura ad litem a margine dei controricorsi; la regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore, non costituta in giudizio; e contro (quanto ai ricorsi nn. 841/1989 e 842/1989: il comune di Azzano Decimo, in persona del sindaco pro-tempore, come sopra rappresentato e difeso; per l'annullamento: (quanto al ricorrso n. 566/1988): dalla concessione edilizia n. 11/15-86 del 2 marzo 1988, limitatamente alla parte in cui si determinano gli oneri di costruzione, con declaratoria della gratuita' della concessione e conseguente condanna dell'amministrazione comunale alla restituzione delle rate gia' riscosse, con rivalutazione monetaria e interessi legali; della delibera consiliare n. 251 del 25 ottobre 1982; del d.p.g.r. n. 0281 del 23 giugno 1983 e di ogni altro decreto del presidente della giunta regionale che disponesse la corresponsione dei contributi per il rilascio di concessioni relative ad interventi di demolizione e ricostruzione di edifici ex art. 9 della legge n. 10/1977, lettera d); (quanto ai ricorsi nn. 841/1989 e 842/1989): dell'ingiunzione di pagamento degli oneri ex artt. 3 e segg. della legge 28 gennaio 1977, n. 10, prot. n. 10194 del 28 settembre 1988; Visti i ricorsi, notificati, rispettivamente, il 16 settembre 1988, il 13 dicembre 1989 e il 5 dicembre 1989 e depositati presso la segreteria il 21 settembre 1988, il 15 dicembre 1989 e il 13 dicembre 1989 con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del comune di Azzano Decimo, depositati il 26 settembre 1989 e il 2 gennaio 1990; Viste le memorie prodotte dall'amministrazione resistente a sostegno delle proprie difese; Viste le proprie ordinanze nn. 30 e 31 del 20 gennaio 1990 di rigetto delle istanze di sospensione del provvedimento impugnato con i ricorsi nn. 841 e 842 del 1989; Visti gli atti tutti delle cause; Data per letta alla pubblica udienza del 14 novembre 1990 la relazione del consigliere Italo Franco ed uditi, altresi', gli avvocati Trampus per la parte ricorrente e Sbisa', in sostituzione di Sampietro, per il comune; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O Comproprietarie di un vetusto edificio adibito a propria abitazione e bisognoso di ristrutturazione anche in funzione antisismica e di miglioramenti igienici, le sorelle De Col chiedevano al resistente comune, con istanze in data 18 dicembre 1984 e 2 giugno 1986, di demolire il vecchio fabbricato e di ricostruirne un altro sostitutivo sul mappale adiacente (di loro proprieta'), con trasferimento della cubatura preesistente. Le stesse chiedevano contestualmente al comune se per tale ricostruzione erano dovuti i contributi ex art. 3 della legge n. 10/1977. L'amministrazione comunale, previa conforme deliberazione consiliare del 6 febbraio 1985 e parere favorevole della commissione edilizia del 29 aprile 1986, assentiva la richiesta demolizione e ricostruzione, comunicando che sarebbe stata rilasciata la concesione e preannunciando - con nota notificata il 16 marzo 1986 - che le interessate erano tenute a versare gli oneri ex art. 3 della legge n. 10/1977, nell'importo che sarebbe stato successivamente comunicato. Seguivano la nota n. 190 del 30 luglio 1986, recante la quantificazione di detti oneri (L. 11.831.500 per opere di urbanizzazione primaria e secondaria, L. 2.889.000 per costo di costruzione, per un totale di L. 14.720.500), e indi la vera e propria concessione edilizia, n. 190/1986 del 2 marzo 1988. Le interessate, che avevano gia' versato alcune rate di siffatto contributo, impugnavano tale ultima determinazione col ricorso n. 566/1988, deducendone l'illegittimita' nella parte in cui con esso si impone il versamento dei contributi predetti, che si assumono non dovuti, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 10/1977. Del pari denunciano l'illegittimita' della delibera consiliare 25 ottobre 1982, n. 251 e dell'impugnato d.p.g.r., nella parte che eventualmente impedisce il rilascio gratuito di concessioni edilizie, in violazione delle esenzioni previste dalla legge. Ad avviso delle ricorrenti, invero, l'imposizione di tali contributi si fonda sul presupposto dei maggiori carichi urbanistici connessi alla costruzione assentita, nel caso inesistenti dappoiche' preesisteva il vecchio fabbricato (di pari cubatura). Del resto, soggiunge la rispettiva difesa, l'art. 9 della legge n. 10/1977 prescrive che nessun contributo e' dovuto, tra l'altro per gli interventi di restauro, risanamento, ristrutturazione ed ampliamento in misura non superiore al 20% di edifici unifamiliari. Infine, nessun aggravio viene arrecato al suolo della cennata attivita' ricostruttiva. Concludono le deducenti con la domanda di annullamento in parte qua degli atti impugnati e di condanna del comune alla restituzione delle somme riscosse, con rivalutazione e interessi. Resisteva il comune eccependo l'inammissibilita', irricevibilita' ed infondatezza del gravame. Successivamente, sul presupposto dell'omesso versamento dei ripetuti contributi, il sindaco di Azzano Decimo ingiungeva alle ricorrenti - con atto del 21 gennaio 1989, reso esecutorio dal pre- tore di Pordenone il 28 settembre 1989 - il pagamento della complessiva somma di L. 14.720.500, salva l'irrogazione di eventuali sanzioni pecunarie per omesso o tardivo pagamento. Insorgevano le interessate avverso tale ingiunzione, con successivi separati ricorsi (nn. 841 e 842 del 1989), deducendone illegittimita' derivata per i medesimi vizi gia' censurati col precedente gravame e chiedendone l'annullamento. Ciascuna delle deducenti, con identici motivi di ricorso, ribadiscono l'asssunta gratuita' della concessione per la ripetuta ricostruzione (assimilata all'ipotesi, espressamente esentata, dalla ristrutturazione) chiedendone a questo giudice l'accertamento, nell'ambito della giurisdizione esclusiva ex art. 16 della legge n. 10/1977. Si costituiva anche in relazione a tali ricorsi il comune, il quale, ricostruito in fatto lo svolgimento della vicenda, eccepiva in primis l'inammissibilita' del ricorso (eccezione evidentemente riferita al precedente gravame), per non avere le interessate impugnato nei termini l'originaria determinazione del contributo (con atto in data 30 luglio 1986). Nel merito eccepisce la p.a. resistente l'infondatezza, ritenendo non ricorrere l'ipotesi di esenzione dai contributi ex artt. 3 e segg. della legge n. 10/1977, sul rilievo che trattasi, in ogni caso, di nuova costruzione, diversa per struttura e tipologia, oltretutto ubicata su area diversa da quella ove insisteva l'edificio demolito (con conseguente immutazione del suolo). Le domande incidentali di sospensione dell'atto avversato con i due successivi e identifici ricorsi venivano, intanto, respinte da questo tribunale amministrativo. Infine, con memorie conclusionali identiche per i tre ricorsi, il comune ribadisce l'eccezione di tardivita' e inammissibilita', sul rilievo che non e' configurabile, nel caso, un'ipotesi di diritto soggettivo; infatti, avendo la p.a. qualificato la fattispecie quale nuova costruzione, non si puo' porre in discussione l'esistenza del potere impositivo ex art. 9 della legge n. 10/1977, ma solo il suo esercizio (cui si correla una posizione di interesse legittimo). Di poi la rispettiva difesa riprende la gia' prospettata eccezione di infondatezza nel merito, ulteriormente svolgendola. All'udienza di trattazione i patroni delle parti hanno richiamato i rispettivi scritti difensivi, ribadendo le rispettive domande ed eccezioni, dopo di che le cause sono state introitate per la decisione. D I R I T T O 1. - Con coeva sentenza parziale e' stata disposta la riunione dei tre giudizi, per l'evidente connessione fra i medesimi. Con la stessa sono state, altresi', risolte le questioni di rito, rigettando le eccezioni di inammissibilita' e irricevibilita' sollevate dal resistente comune sotto diversi profili in relazione al piu' antico dei tre ricorsi riuniti, rinviando al definitivo la soluzione di ogni altra questione, nel merito e sulle spese, dopo la risoluzione dell'incidente di costituzionalita'. 2. - La risoluzione del punto di diritto attinente al merito della controversia - residuata dopo la definizione delle questioni di rito - e' incentrata sull'applicabilita' o meno, alla fattispecie, di una delle ipotesi di esenzione dal contributo (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) previste nell'art. 9 della legge 28 gennaio 1977, n. 10. La parte ricorrente sostiene, al riguardo, che ricorre, sostanzialmente, l'ipotesi di cui alla lett. d) del prefato art. 9 ("interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari"). Sia pure ellitticamente, la rispetiva difesa si richiama alla teorizzazione (in merito alla natura giuridica dei ripetuti contributi ex art. 3 della legge n. 10/1977, a quanto ne consta non ancora soddisfacente chiarita) che legittima la loro imposizione sul presupposto del maggiore "incarico urbanistico" derivante al suolo dalla costruzione assentita (teoria richiamata o affermata da non poche sentenze dei giudici amministrativi). Invero, nel caso di specie, essendo stata eretta la nuova costruzione su area adiacente a quella ove insisteva il preesistente edificio adibito ad abitazione (oltretutto con vantaggio della collettivita' e dall'amministrazione comunale, conseguente alla possibilita' di allargare la strada stretta adiacente al vecchio fabbricato, cosa segnalata al comune fin dalla prima domanda di demolizione e ricostruzione), non vi sarebbero maggiori carichi urbanistici, per l'identita' di cubatura del vecchio e del nuovo fabbricato, ne' vi sarebbero aggravi o mutamento apprezzabile per il suolo, su cui gia' insisteva il preesistente edificio. Nell'esporre le proprie tesi (fondate sul richiamo di Consiglio di Stato, sezione quinta, 29 maggio 1986, n. 287), la difesa attorea implicitamente ricomprende l'intervento edilizio in questione (demolizione e ricostruzione su area adiacente, di un edificio adibito ad abitazione come quello preesistente, e di pari cubatura) nell'ipotesi di ristrutturazione, con ampliamento massimo del 20%, di cui alla lett. d) dell'art. 9 della legge n. 10/1977. 3. - Preliminarmente, anche se la questione non e' posta da nessuna delle parti, si rileva (a fini chiarificatori) che non e' legittimo - allo scopo di verificare se sussista o meno la ricorrenza dell'esecuzione ex art. 9 della legge n. 10/1977 - fra oneri di urbanizzazione e costo di costruzione (le due componenti contemplate dall'art. 3 e diversamente disciplinate, rispettivamente, dagli artt. 5 e 6 della medesima legge). Invero, l'esenzione e' contemplata dall'art. 9 - in relazione alle varie ipotesi elencate - per "il contributo di cui al precedente art. 3" (vale a dire nella sua totalita'). In secondo luogo, deve rilevarsi che, fra le varie ipotesi di gratuita' della concessione (di cui al ripetuto art. 9), non e' contemplato espressamente il caso della ricostruzione (seguita alla totale demolizione di edificio preesistente). E' stata, a giurisprudenza che, chiamata a pronunciarsi sulla questione, ha stabilito, con orientamento assolutamente prevalente, doversi fare rientrare varie specie di ricostruzione nell'(elastico) concetto di ristrutturazione, a fini evidentemente equitativi, in cio' richiamando a volte anche l'art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457. Questa norma, invero, espressamente prevede che l'organismo edilizio risultante dalla ristrutturazione possa essere "in tutto o in parte diverso dal precedente" (si vedano, al riguardo: Consiglio di Stato, sezione quinta, 21 dicembre 1984, n. 958; idem, 17 ottobre 1987, n. 637; idem 11 maggio 1989, n. 275). Alla luce del richiamato orientamento il collegio potrebbe pervenire all'accoglimento della tesi della gratuita' dell'intervento di demolizione e integrale ricostruzione, ricorrendone tutti gli altri presupposti. Tuttavia, non ritiene di poterlo fare senz'altro nel caso di specie, in considerazione di un elemento peculiare dello stesso e consistente nella gia' evidenziata circostanza che la ricostruzione e' avvenuta su area diversa (per quanto adiacente a quella ove insisteva il preesistente fabbricato, in piu' col ripetuto vantaggio per l'amministrazione comunale e la collettivita', per la rilevata posssibilita' di allargamento della strada). Cio' non ritiene il collegio, in considerazione del fatto che gia' la rilevata ricomprensione della ricostruzione nell'ipotesi di ristrutturazione, con l'estendere, in tal modo, l'esonero per quest'ultima espressamente prevista dalla norma, e' stata ottenuta dalla giurisprudenza in via interpretativa. A una successiva estensione ad ipotesi ancora ulteriori (come quella in discussione) potrebbe pervenirsi ancora una volta con un'operazione ermeneutica, ma, per cosi' dire, di secondo livello. Cio' sembra al collegio andare troppo oltre la lettera della norma (di cui si postula l'estensione). Cio' nondimeno, sembrando sussistere un'affinita' (se non identita') di ragioni giustificatrici della gratuita' della concessione fra le ripetute ipotesi, il collegio medesimo ritiene di non poter negare, nel caso di specie, la richiesta estensione. Invero, sembra ricorrere una simile affinita', non tanto e non solo sotto il profilo dell'inclusione della fattispecie della (demolizione e successiva) ricostruzione nell'ipotesi di ristrutturazione (cio' che e' un risultato gia' attinto dalla giurisprudenza, come si e' visto), quanto sotto il profilo della non immutazione dello stato del territorio, nonche' dei carichi urbanistici non ulteriormente gravati dalla nuova costruzione. Infatti, sembra fuori discussione che, essendo il nuovo edificio adibito ad abitazione come quello preesistente, e in piu' della medesima cubatura rispetto a quello, non risulta di certo un maggior carico urbanistico dalla nuova costruzione sia per quanto attiene alle opere di urbanizzazione primaria che secondaria, del resto nella specie entrambe gia' esistenti. Il fatto che essa non sorge sulla stessa area su cui insisteva il precedente edificio, ma su altra immediatamente adiacente (evidentemente ricompresa in zona classificata allo stesso modo dagli strumenti urbanistici, cio' che puo' pacificamente dedursi dall'assenza di qualsivoglia eccezione al riguardo, oltre che da una ragionevole induzione), non muta in maniera apprezzabile la situazione. Insomma, sembra potersi affermare che, contrariamente alla tesi sostenuta dal comune (trattarsi, cioe', di costruzione diversa e nuova rispetto alla precedente), nel caso di specie una inscindibile connessione fra la nuova e la vecchia abitazione sia senz'altro ravvisabile in senso giuridico, finanche negli stessi atti del comune (solo in senso fisico o materiale e' ravvisabile una autonomia o indipendenza fra i due edifici, sotto il profilo giuridico potendo, invece, sostenersi che non si tratta di nuova costruzione). Per quanto concerne la giurisprudenza, affermano il principio che, ove non vi sia immutazione dei carichi urbanistici preesistenti (pur in presenza di mutamento di destinazione), non e' dovuto il contributo ex art. 3: Consiglio di Stato, sezione quinta, 29 maggio 1986, n.287; idem, 27 dicembre 1988, n. 852; t.a.r. Brescia, 10 dicembre 1987, n. 1081; t.a.r. Perugia, 25 novembre 1983, n. 595. Tuttavia, al risultato favorevole alle ricorrenti si e' dell'avviso che si possa pervenire solo a seguito della risoluzione della questione di costituzionalita' dell'art. 9 della ripetuta legge n. 10/1977, lett. e), che il collegio solleva d'ufficio. Invero, l'incostituzionalita' di tale norma sembra sussistere nella parte in cui non ricomprende nella previsione di esenzione, accanto all'ipotesi di ristrutturazione e ampliamento nei limiti del 20%, anche quella della integrale ricostruzione del fabbricato demolito (adibito ad abitazione unifamiliare), eventualmente anche su area immediatamente adiacente non diversamente classificato dal p.r.g. La questione di costiutuzionalita' non sembra manifestamente infondata, dal momento che, se la ragione giustificatrice dell'imposizione dei contributi connessi al rilascio di concessione edilizia e' legata (almeno in parte preponderante, in assenza di ulteriori specificazioni legislative e alla stregua dei risultati raggiunti dalla giurisprudenza) al maggior carico urbanistico e alla trasformazione del suolo su cui sorge la costruzione, in via puramente logica e conseguenziale, la norma che prevede esecuzioni ed esoneri da tali contributi non poteva non ricomprendere, accanto alle varie ipotesi di ristrutturazione, anche quella della demolizione con integrale ricostruzione dell'edificio preesistente anche se ricostruito su area adiacente a quella ove insisteva il vecchio fabbricato. La mancanza di tale previsione esonerativa tanto piu' vistosa, ove si rifletta sul fatto che la legge ha inteso esonerare oltre alle ristrutturazioni, anche gli ampliamenti (nei limiti del 20%, senza peraltro specificare se tale percentuale vada riferita alla superficie del volume). Insomma la norma sembra palesemente carente e come tale fonte di sperequazione fra i soggetti che chiedono di ristrutturare soltanto, ovvero di ampliare entro il ripetuto limite, e chi chiede di abbattere totalmente le abitazioni vetuste cadenti e insufficienti anche sotto il profilo igienico, eventualmente anche su area adiacente. Sussiste, pertanto, sotto l'evidenziato profilo, contrasto fra la lett. d) dell'art. 9 della legge n. 10/1977 e l'art. 3 della Costituzione. Contrasto sussiste, altresi', con l'art. 23 della Costituzione, nei limiti in cui l'espressione testuale della lett. d) del ripetuto art. 9 della legge n. 10/1977 impone alle deducenti una prestazione patrimoniale che si puo' fondamente ritenere non dovuta, per le ragioni suesposte. Il collegio, conseguenzialmente, solleva d'ufficio la questione di costituzionalita' della norma citata, nei termini suesposti. Per quanto attiene alla rilevanza della proposta questione ai fini della decisione, sembra evidente che, ove la Corte costituzionale accedesse alla tesi dell'incostituzionalita', seguirebbe, con la fondatezza delle prospettazioni attoree, l'accoglimento dei ricorsi. In caso contrario gli stessi dovrebbero essere rigettati. Va disposta, conclusivamente, la sospensione dei giudizi riuniti e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, affinche' si pronunci sulla proposta questione.