IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letti gli atti del procedimento indicato in epigrafe; O S S E R V A In data 6 marzo 1990 militari dei carabinieri, appartenenti al n.a.s. di Milano, procedettero al sequestro di n. 67.000 confezioni del prodotto "post sting dopo puntura", perche', pur avendo caratteristiche di specialita' medicinale, veniva posto in commercio senza la necessaria registrazione. Sulla base della conseguente comunicazione di notizia di reato fu, poi, richiesto ed emesso a carico di Pasquini Renato, legale rappresentante della societa' che commercializzava, il prodotto, decreto penale di condanna alla pena di L. 450.000 di ammenda per il reato di cui all'art. 168 del t.u.ll.ss. Il decreto penale fu notificato presso l'abitazione dell'imputato mediante consegna a mano di persona temporaneamente convivente in data 20 settembre 1990 e contro di esso fu proposta opposizione solo in data 18 ottobre 1990, oltre il termine previsto dall'art. 461 del c.p.p., ad opera del difensore avv. Massimo Teti di Milano, nominato di fiducia in quello stesso giorno. Con l'opposizione si faceva richiesta di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 del c.p.p. e si eccepiva la illegittimita' costituzionale delle norme degli artt. 459, 460 e 461 del c.p.p. per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono la nomina di un difensore, cui vada notificato il decreto penale di condanna per l'esercizio di un autonomo diritto di opposizione. La normativa in vigore, infatti, non prevede la nomina di un difensore all'indagato, che ne sia privo, prima dell'emissione del decreto penale di condanna, non prevede la notificazione di tale decisione anche al difensore e prevede, poi, che l'opposizione possa essere proposta dal difensore solo come procuratore dell'imputato e nei termini per lui previsti (art. 461 del c.p.p.: ".. .. .. l'imputato.. .. .. personalmente o a mezzo del difensore eventualmente nominato.. .. .."). L'eccezione appare rilevante e non manifestamente infondata. Rilevante, poiche' dall'eventuale accoglimento di essa discenderebbe la possibilita' di autonoma opposizione da parte del difensore con un proprio termine per proporla, si' che quella in esame sarebbe tempestiva e non ne potrebbe essere dichiarata l'inammissibilita'; non manifestamente infondata per le argomentazioni, che di seguito si espongono. La questione della legittimita' costituzionale del procedimento per decreto penale in relazione all'art. 24 della Costituzione, per violazione del diritto di difesa, e' stata piu' volte proposta sotto la vigenza del precedente codice di procedura penale ed e' stata gia' risolta dalla Corte costituzionale con ordinanze che ne dichiararono l'infondatezza e con sentenze che dichiararono la parziale illegittimita' di alcune delle norme prese in esame. In tali pronunce, in merito alla necessita' della assistenza di un difensore, si era sottolineato che il diritto di difesa rimaneva assicurato, in quanto l'opposizione ".. .. .. si risolve in una richiesta di dibattimento, sul presupposto della ritenuta ingiustizia della condanna, richiesta resa agevole ed alla portata anche di persona priva di cognizioni tecniche in quanto puo' concretarsi nella mera contestazione degli elementi risultanti dal decreto penale. Ed ovviamente potra' essere sviluppata e dettagliata nella sede dibattimentale, ove e' assicurato l'intervento del difensore.. .. .." (Corte costituzionale: sentenza n. 189/1972, pres. Chiarelli, rel. Verzi). Si e' affermato, dunque, che il vaglio di costituzionalita' veniva superato perche' lo strumento era di agevole utilizzazione e alla portata di tutti e per se' solo non necessitava di assistenza tecnica: proprio per tali considerazioni in quella stessa sentenza fu dichiarata la parziale illegittimita' della norma dell'art. 509 del c.p.p. previgente, nella parte in cui prevedeva che alla mancata indicazione dei motivi conseguisse l'inammissibilita' dell'opposizione. Con le norme sul decreto penale del nuovo c.p.p., in special modo per il procedimento davanti al pretore, ma anche per quello innanzi al tribunale, l'atto di opposizione ha inevitabilmente perso quella semplicita' e quella naturalezza, gia' sottolineate dalla Corte, poiche' con esso occore operare delle scelte decisive e non semplici e per farle occorre aver ben chiare le conseguenze processuali e sostanziali delle scelte operate. Al condannato con decreto penale, infatti, si pone oggi l'alternativa (da sciogliere peraltro in brevi termini) tra la richiesta del dibattimento, la richiesta del giudizio immediato, la richiesta di applicazione della pena su accordo con il p.m., la richiesta di giudizio abbreviato, la richiesta di oblazione. E non e' utile argomentare a contrario che all'imputato e' comunque sufficiente dichiarare intanto la sua opposizione, non essendogli preclusa in un momento successivo, entro i termini previsti per i singoli istituti, la scelta ponderata ed assistita tra le varie opzioni possibili (la mancata indicazione di una qualsiasi scelta nell'atto di opposizione non ne determina l'inammissibilita' - anche se, per il vero, per il procedimento innanzi al pretore l'art. 565 del c.p.p., a differenza dell'art. 461.3, con l'uso del verbo "chiede" nel tempo indicativo, sembra imporla - ma comporta solo lo svolgimento del giudizio nelle forme ordinarie): anche la prima e fondamentale decisione, e cioe' quella di proporre o meno opposizione, non e' priva di possibili conseguenze negative per l'imputato, ha rilevanza sostanziale, poiche' oggi l'accettazione del decreto penale consente un beneficio rilevante in termini di pena (fino alla meta' della pena minima edittale, art. 459 del c.p.p.), si' che potrebbe essere piu' conveniente accettare la condanna a pena molto mite invece che affidarsi all'esito del giudizio. Le conseguenze di tali scelte non sono indifferenti e spesso non sono semplici, poiche' da esse possono conseguire effetti allo stesso tempo favorevoli e sfavorevoli per l'imputato: ad esempio, opporsi al decreto penale di condanna e richiedere l'applicazione di pena ex art. 444 del c.p.p., puo' significare rinunciare ad una eccezionale diminuzione della pena minima edittale, superiore a quella ottenibile con il diverso giudizio speciale, e, quindi, assoggettarsi a pena piu' grave, e tuttavia conseguire i minori effetti pregiudizievoli della sentenza di "patteggiamento". Cosi', per continuare nell'esempio, l'imputato del reato di guida senza patente (art. 80, quattordicesimo comma, del c.s.), condannato a pena pecuniaria con decreto penale nel quale viene contestualmente disposta la confisca del motociclo ai sensi dell'art. 80- bis del c.s., si trova a dover scegliere tra lo svantaggio di assoggettarsi ad una pena detentiva (non essendo raggiungibile il minimo per la conversione della pena detentiva in pena pecuniara senza l'eccezionale diminuzione prevista nel procedimento per decreto) ottenendo pero' il vantaggio della restituzione del motociclo di sua proprieta', come avverrebbe se proponesse opposizione e fosse accolta la sua istanza di applicazione di pena ai sensi dell'art. 444 del c.p.p., e, al contrario, il vantaggio di assoggettarsi a sola pena pecuniaria perdendo, pero', la proprieta' di quel bene, come avverrebbe non opponendosi al decreto. Pare, in conclusione, che le prospettive che la nuova normativa offre e le conseguenze che l'atto di opposizione oggi comporta rendano quella decisione non semplice, tale da imporre l'assistenza di un difensore tecnico. E, pertanto, proprio alla stregua delle motivazioni svolte dalla Corte e sopra riportate, pare necessario sottoporre nuovamente al suo vaglio la questione. Un altro profilo di illegittimita' si prospetta in relazione alla norma dell'art. 76 della Costituzione, poiche' non appare osservata la direttiva data in materia dalla legge delega per il nuovo c.p.p. e il contrasto tra legge delega e legge delegata si risolve in violazione della norma costituzionale, come e' stato gia' indicato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 3/1957 e sentenza n. 49/1957). Nella legge 16 febbraio 1987, n. 81, di delegazione legislativa, si pone, all'art. 2, primo comma, innanzitutto l'obbligo di ".. .. .. adeguarsi alle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale.. .. .."; alla direttiva n. 46 dello stesso articolo, poi, si pone l'obbligo di prevedere il procedimento per decreto ".. .. .. con tutte le garanzie per la difesa nella fase dell'opposizione.. .. ..". Entrambe le direttive non sembra siano state pienamente osservate con la norma in esame sull'opposizione al decreto penale. Nella convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (legge 4 agosto 1955, n. 848) l'art. 6.3, lettere b) e c) prevede che ogni accusato ha diritto a disporre del tempo e della possibilita' necessari a preparare la difesa e ad essere assistito da un avvocato d'ufficio quando lo esigono gli interessi della giustizia; analoga formulazione si riscontra nel patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966 (legge 25 ottobre 1977, n. 881), nell'art. 14.3, lettere b) e d). Orbene, l'attuale formulazione delle norme degli artt. 461 e 565 del c.p.p. non pare soddisfi all'obbligo di assicurare all'accusato un difensore, anche d'ufficio, in presenza delle non semplici scelte sopra evidenziate, che integrano senza dubbio quella "esigenza nell'interesse della giustizia", secondo la formulazione delle convenzioni internazionali richiamate. Nemmeno pare soddisfare all'obbligo di assicurare "tutte" le garanzie di difesa (non alcune, ma "tutte"), poiche' a questo aggettivo indefinito di quantita' non puo' essere attribuito un significato che non sia quello proprio, omnicomprensivo, che gli attribuisce la lingua italiana, se non violando l'intendimento del legislatore delegante, il quale evidentemente, a compensazione della innegabile esemplarita' e drasticita' del giudizio per decreto, voleva assicurare all'imputato ogni possibile difesa e, quanto meno, le stesse garanzie e le stesse possibilita' di conoscenza e di reazione riconosciute a chi viene condannato in seguito a giudizio ordinario.