ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 119, lett. a), della legge 26 marzo 1958, n. 425 (Stato giuridico del personale delle Ferrovie dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 19 gennaio 1990 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Augusto Armando e l'Ente Ferrovie dello Stato, iscritta al n. 598 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1990; Visto l'atto di costituzione di Augusto Armando; Udito nell'udienza pubblica del 12 febbraio 1991 il Giudice relatore Francesco Greco; Udito l'avv. Nicola Picardi per Augusto Armando; Ritenuto in fatto 1. - Il Pretore di Roma, adito da Augusto Armando, licenziato in tronco, sotto forma di destituzione di diritto, in data 13 aprile 1988, dall'Ente Ferrovie dello Stato, a seguito della sentenza definitiva di condanna del 22 dicembre 1987 per uno dei reati indicati nell'art. 119, lettera a), della legge 26 marzo 1958, n. 425, nel rilievo che, per effetto della riforma dell'Ente di cui alla legge n. 210 del 1985, il rapporto di lavoro era di natura privata e che, quindi, in applicazione delle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori), il licenziamento senza giusta causa era illegittimo, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 119, lett. a), della citata legge n. 425 del 1958 la quale, prevedendo la destituzione automatica ed escludendo il procedimento disciplinare, importerebbe violazione degli artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione. Seguendo la tesi dell'Ente Ferrovie ha osservato che nella fattispecie non trovavano applicazione ne' le leggi invocate dal ricorrente ne' il contratto collettivo del 5 febbraio 1988, ma la disposizione censurata in quanto, siccome la delibera dell'Ente del 13 aprile 1988 e' meramente dichiarativa, la situazione di diritto si era gia' verificata al 22 dicembre 1987. In base ai principi affermati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 971 del 1988, sussisteva la violazione dei precetti costituzionali richiamati, che sanciscono la tutela del diritto al lavoro ed esigono la ragionevolezza delle norme di legge, mentre in mancanza del procedimento disciplinare e' esclusa la possibilita' di graduare la misura della sanzione al caso concreto. 2. - Nel giudizio si e' costituita la parte privata, la quale ha eccepito la inammissibilita' della questione in quanto la fattispecie non e' regolata dalla disposizione impugnata. Nel merito ha concluso per la fondatezza della questione, richiamando la sentenza di questa Corte n. 971 del 1988. Nella imminenza dell'udienza la parte privata ha presentato memoria con la quale ha insistito sulle tesi svolte nella comparsa di costituzione, indicandone a fondamento anche la mancata risposta da parte dell'Ente alla domanda di riammissione in servizio presentata ai sensi della legge n. 19 del 1990. Considerato in diritto 1. - La Corte e' chiamata a verificare se l'art. 119, lettera a), della legge 26 marzo 1958, n. 425, nella parte in cui, per i dipendenti dell'Ente Ferrovie dello Stato, prevede la destituzione di diritto, con l'esclusione del procedimento disciplinare, in caso di condanna definitiva per uno dei reati indicati dalla stessa norma, violi gli artt. 4 e 35 della Costituzione per la mancata assicurazione della tutela del diritto al lavoro, l'art. 3 della Costituzione per la irrazionalita' della disposizione e l'art. 97 per lesione del principio del buon andamento dell'amministrazione. 2. - Si premette che il giudice remittente ritiene applicabile alla fattispecie la norma denunciata e non le leggi n. 604 del 1986 e n. 300 del 1970 siccome il rapporto di lavoro di cui trattasi, al momento della condanna definitiva del ricorrente, non era ancora divenuto di natura privatistica per effetto della interpretazione, adottata dallo stesso giudice, degli artt. 14, secondo comma, 21, primo comma, e 1 della legge n. 210 del 1985 e 2093, secondo e terzo comma, del codice civile. Ora, a disciplinare la materia della destituzione dei pubblici dipendenti, successivamente alla ordinanza di remissione, sono intervenuti gli artt. 9 e 10 della legge del 7 febbraio 1990, n. 19. Inoltre il ricorrente ha presentato nei termini di legge la domanda di riammissione in servizio, come richiesto dalle suddette disposizioni. In tale situazione, la rilevanza della sollevata questione va riesaminata alla stregua della citata legge 7 febbraio 1990, n. 19, per cui gli atti vanno restituiti al giudice remittente.