IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa promossa dagli Istituti riuniti di assistenza per invalidi ed anziani - I.R.A.I.A. con sede in Parma, rappresentati e difesi nel presente giudizio dall'avv. G. Ferrari, presso il cui studio in Parma eleggono domicilio come da delega in calce al ricorso del presidente e legale rappresentante signor Lanfranco Zerbini, attori, contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale - I.N.P.S. in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Liveri in virtu' di procura generale allegata, elettivamente domiciliato in Parma, via Salnitrara n. 5, presso la sede provinciale dell'istituto stesso, convenuto. F A T T O Con ricorso del 30 aprile 1990 diretto dal pretore di Parma in funzione di giudice del lavoro, gli Istituti riuniti di assistenza per invalidi ed anziani (I.R.A.I.A.) con sede in Parma convenivano in giudizio l'I.N.P.S., pr sentire accogliere le seguenti conclusioni in via principale: "Voglia il signor pretore Ill.mo, contrariis reiectis previa ogni declaratoria del caso e di legge: a) accertare e dichiarare la non debenza, da parte degli I.R.A.I.A. con sede in Parma via Cavestro n. 14 in persona del presidente pro-tempore, dei contributi assistenziali ex I.N.A.D.E.L. sull'indennita' integrativa speciale corrisposta ai propri dipendenti nel periodo 12 marzo 1978 - 11 marzo 1983, dichiarando anche, che nulla e' dovuto all'I.N.P.S. a titolo di somme aggiuntive conseguenti al mancato versamento dei contibuti stessi. Cio', previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale; b) conseguentemente dichiarare tenuto a condannare l'Istituto nazionale della previdenza sociale (I.N.P.S.) corrente in Roma, via Ciro il Grande n. 21 in persona del suo presidente pro-tempore, al pagamento in favore degli I.R.A.I.A., per i titoli di cui in premesse, della complessiva somma di L. 483.792.300, o di quell'altra, maggiore o minore eventualmente risultante dovuta in corso di causa, oltre alla rivalutazione monetaria del credito ex art. 1224 del c.c. ed agli interessi legali sulla somma rivalutata dal di' del dovuto al saldo". All'uopo gli I.R.A.I.A. premettevano testualmente che: "1) l'Istituto nazionale della previdenza sociale in data 20 dicembre 1986, in sede di visita ispettiva effettuata dall'ispettore Torinesi Corrado, contestava agli I.R.A.I.A. di Parma, il mancato versamento all'I.N.P.S. dei contributi assistenziali obbligatori ex I.N.A.D.E.L. sull'indennita' integrativa speciale, corrisposta, nel periodo 12 marzo 1978-11 marzo 1983, ai dipendenti in forza nel suddetto periodo. Cosi' l'I.N.P.S. rilevava esserne stato omesso il pagamento per la complessiva somma di L. 483.792.300, ripartita annualmente come da prospetto dimostrativo allegato al verbale di accertamento che si produce e che si dichiara costituire, per quanto qui richiamato, parte integrante dell'atto (doc. n. 3 - 4); 2) la pretesa dell'I.N.P.S., traeva fondamento dall'art. 24 della legge 11 novembre 1983, n. 638, il quale dispone: 'l'inclusione dell'indennita' integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, nella retribuzione imponibile ai fini della contribuzione per l'assistenza sanitaria.. e', da intendersi riferita a tutti i pubblici dipendenti cui venga corrisposta l'indennita' suddetta. Ai soli fini della eventuale regolarizzazione delle posizioni contributive pregresse alla data di entrata in vigore del presente decreto, (d.-l. 12 settembre 1983, n. 462) si applica il termine di pescrizione quinquennale'; 3) in definitiva: la legge n. 638/1983, da un lato interpreta autenticamente una legge del 1959 e quindi rende dovuto, con effetto retroattivo, un versamento contibutivo mai effettuato nell'arco di ventiquattro anni; dall'altro, al fine evidente di circoscrivere le conseguenze economiche di una tanto estesa retroattivita', limita la possibilita' dell'I.N.P.S. di esigere i contributi assistenziali, al solo quinquennio anteriore al settembre 1983 (data di emanazione del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, di cui la legge n. 638/1983 costituisce atto di conversione); 4) che si tratti di norma di interpretazione autentica proprio non vi e' dubbio atteso, sia al tenore letterale dell'art. 24 citato, sia la relazione parlamentare alla legge n. 638/1983 nella quale si legge testualmente che 'la disposizione tende a dare una interpretazione autentica della legge 27 marzo 1959, n. 324, al fine di evitare disparita' di trattamento tra pubblici dipendenti'; 5) ad onta del carattere della norma citata, bisogna rilevare che la legge n. 324/1959, non riservava, tranne che al legislatore, alcuna incertezza interpretativa. Lo attesta il fatto che la giurisprudenza era stata pressoche' univoca, nell'arco di un ventennio, nel ritenere che i contributi assistenziali sull'indennita' integrativa speciale dei dipendenti degli enti locali, non fossero dovuti in quanto questa non costituiva emolumento in senso tecnico e quindi non concorreva a formare il coacervo delle voci retributive imponibili ai fini della contribuzione di malattia. In questo senso si era espresso il Consiglio di Stato, sezione I, con parere del 26 gennaio 1966, n. 74 (in Cons. Stato 1967, 1666), cosi', si era espressa pure la giurisprudenza di merito, anche lo- cale, con sentenza della pretura di Parma n. 22 del 12 febbraio 1976 ed il tribunale di Parma con sentenza 5 giugno 1976 (che si producono) (doc. n. 13-14); 6) sulla base della situazione in atto, anteriormente alla entrata in vigore della legge 11 novembre 1983, n. 638, anche gli I.R.A.I.A. si astennero dal versare i controversi contributi assistenziali al pari di tutti gli altri enti locali, considerato che il rapporto di lavoro intercorrente con gli I.R.A.I.A. e' assimilato, sul piano normativo, a quello dei dipendenti degli enti locali; 7) per cui l'art. 24 della legge n. 638/1983, sostanzialmente innovando alla pregressa situazione normativa, ha determinato, di fatto, l'insorgenza ex novo in capo agli I.R.A.I.A. dell'obbligo contributivo di cui si discute, relativamente al quinquennio anteriore al settembre 1983; 8) a fronte di tale situazione, e delle pure tardive richieste dell'I.N.P.S., notificate all'ente ricorrente solo l'8 febbraio 1987, gli I.R.A.I.A., presentavano, ai sensi della legge n. 689/1981, proprie controdeduzioni all'I.N.P.S., contestando di essere debitori dei contributi richiesti e' chiedendo di essere ascoltati ai sensi dell'art. 18 della citata legge sulla depenalizzazione (doc. n. 5); 9) l'I.N.P.S. sede provinciale di Parma, dato corso alla richiesta audizione, respingeva le difese rassegnate dagli I.R.A.I.A. reinvitando l'istituto stesso a versare sia la somma di L. 483.792.300 a titolo di contributi di malattia omessi, sia l'ulteriore e piu' ingente somma di L. 967.584.600, quali somme aggiuntive, liquidate a norma della legge 31 gennaio 1986, n. 11; 10) entrata in vigore, nel frattempo, a seguito del susseguirsi di vari decreti legge, poi confluiti nella legge n. 48/1988, la normativa concernente il cosiddetto condono previdenziale, gli I.R.A.I.A., in data 29 ottobre 1987, procedevano al versamento, in favore dell'I.N.P.S., della somma di L. 483.792.300, pari all'importo dei contributi assistenziali richiesto dall'I.N.P.S., al fine di fruire dei benefici accordati dalla richiamata normativa. Detto versamento, veniva effettuato, con espressa imputazione al capitale (imputazione accettata dall'I.N.P.S.), senza nulla riconoscere in merito all'esistenza del debito e con espressa riserva di ripetizione della somma pagata allorche' fosse risultata non dovuta (doc. n. 6 - 7); 11) il menzionato pagamento, avveniva con le seguenti modalita': quanto a L. 370.195.248, mediante versamento in conto corrente intestato all'I.N.P.S.; quanto a L. 113.597.052, mediante compensazione con un credito di pari importo che gli I.R.A.I.A. vantavano verso l'I.N.P.S., per le causali indicate nella documentazione che si produce e che si richiama come parte integrante dell'atto. Detta compensazione fu espressamente autorizzata dall'I.N.P.S., il quale sempre ha riconosciuto la debenza di tale somma (doc. n. 8 - 9) (doc. n. da 17 a 34); 12) a seguito dei fatti esposti, l'I.N.P.S., con propria lettera del 27 settembre 1988, ricevuta dal ricorrente il 10 ottobre, invitava gli I.R.A.I.A. a pagare la residua somma di L. 401.688.699 a titolo di interessi e somme aggiuntive, al tasso del 13% annuo ex d.-l. 28 agosto 1987, n. 358. Tale liquidazione, ovviamente, per effetto della normativa condonatoria, sostituiva quella effettuata all'atto dell'accertamento ispettivo (L. 967.584.600), operata sulla base della ormai abrogata legge n. 11/1986 (doc. n. 10); 13) avverso tale ulteriore richiesta di pagamento, gli I.R.A.I.A. presentavano ricorso amministrativo, in unico grado, al Comitato esecutivo dell'I.N.P.S., tramite la sede provinciale di Parma, ulteriormente contestando le pretese dell'istituto previdenziale, sia perche' in se' destituite di fondamento, sia perche' non dovuto era il capitale. Detto ricorso e' stato rigettato dall'I.N.P.S., il quale, dandone comunicazione con lettera 3 marzo 1990 agli I.R.A.I.A., ha rinnovato l'intimazione a pagare, entro trenta giorni dal ricevimento della summenzionata comunicazione, la somma di L. 401.683.599 per somme aggiuntive (oltre L. 5.100 per spese postali) (doc. n. 11 - 12)". Dopo la notifica del ricorso e del decreto, l'I.N.P.S. si e' costituito in giudizio a mezzo di memoria difensiva, ivi concludendo per la infondatezza della domanda attrice e per la manifesta infondatezza della eccezione di incostituzionalita' dell'art. 24 della legge n. 638/1983. CONSIDERAZIONI IN DIRITTO Invero, la pretesa dell'I.N.P.S. trova il proprio fondamento giuridico nell'art. 24 della legge 11 novembre 1983, n. 638, di conversione, con modificazioni, del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463. L'art. 24 citato recita testualmente: "l'inclusione dell'indennita' integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, nella retribuzione imponibile ai fini della contribuzione per l'assistenza sanitaria, disposta dal terzo comma dell'art. 4 della legge 6 dicembre 1971, n. 1053, e' da intendersi riferita a tutti i pubblici dipendenti cui venga corrisposta l'indennita' integrativa speciale suddetta". "Ai soli fini della eventuale regolarizzazione delle posizioni contributive pregresse alla data di entrata in vigore del presente decreto, si applica il termine di prescrizione quinquennale". Tale disposizione, secondo l'espressione adoperata dal legislatore ("l'inclusione...... e' da intendersi.....") vuole avere all'evidenza carattere interpretativo delle disposizioni richiamate; nonche' del terzo comma dell'art. 4 della legge n. 1053/1971 che con decorrenza dal 1 gennaio 1973 determinava l'aliquota del contributo dovuto per l'assistenza sanitaria all'ente nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti Statali; dovendosi di conseguenza ritenere esclusi dall'anzidetta statuizione gli altri dipendenti pubblici, quali quelli degli enti locali, iscritti all'I.N.A.D.E.L. Ma, se l'art. 24, citato della legge n. 7638/1983 riguarda anche questi ultimi dipendenti, esso assume allora carattere innovativo e non interpretativo della legge precedente, la quale si riferiva solo ai dipendenti statali e non agli altri dipendenti pubblici, riguardo ai quali, fino all'entrata in vigore del d.-l. n. 463/1983, valeva certamente il regime di esenzione della indennita' integrativa speciale dai contributi assistenziali di malattia. Tale era l'interpretazione univocamente espressa, quale "diritto vivente" sia dalla giurisprudenza di merito, sia dal Consiglio di Stato in sede consultiva, che con parere della sezione I del 26 gennaio 1966, n. 74 (in Cons. Stato, 1967, 1666) aveva ritenuto il carattere alimentare e non retributivo dell'indennita' in questione e che con riferimento proprio ai dipendenti degli enti locali, nell'interpretare l'art. 2 della legge n. 116/1952, aveva espresso il parere che l'indennita' integrativa speciale, per il suo carattere alimentare e non retributivo, non era assoggettabile a contribuzione da parte dell'I.N.A.D.E.L. Ne discende allora che l'art. 24 della legge n. 638/1983, sub spe- cie di interpretazione autentica, ha sovvertito, senza alcuna logica e plausibile ragione, un assetto normativo vigente da molti anni, il cui significato giuridico non era stato oggetto di significativi contrasti interpretativi. Infatti, anteriormente, al 1983 non esisteva alcuna incertezza in ordine alla interpretazione resa dalla giurisprudenza sia ordinaria che amministrativa nel senso che l'indennita' integrativa speciale corrisposta ai dipendenti degli enti locali ed equiparati, non doveva essere assoggettata a contribuzione assistenziale, non rivestendo carattere retributivo, ma alimentare; carattere che era insito nella stessa legge n. 324/1959, avente la funzione di adeguare continuamente la retribuzione al costo della vita. Ne discende che l'art. 24 della legge n. 638/1983, sotto forma di interpretazione autentica, non affatto giustificata per mancanza dei relativi presupposti normativi, assume sostanzialmente carattere innovativo, con effetto retroattivo, limitato inspiegabilmente al quinquennio precedente l'entrata in vigore della legge medesima. E' vero, come talora e' stato ritenuto, che quando oggetto di discussione e' la retroattivita' della norma "e' indifferente che il legislatore disponga l'operativita' di una legge anche per il passato, anziche' mediante una apposita norma, mediante un diverso strumento, qual'e', come nella specie, l'autodefinizione di interpretazione autentica". (Cfr. Corte costituzionale n. 36 del 7/13 febbraio 1985). Ma, e' anche vero che nel caso di specie il legislatore, attribuendo a una norma sostanzialmente innovativa una falsa veste interpretativa, senza alcuna giustificazione logica, ha invaso un'area operativa riservata al potere giurisdizionale. A tale riguardo autorevole dottrina ha affermato.. .. .. "puo' darsi che non ricorra il presupposto consistente nella incertezza della legge antecedente e che sotto specie di 'interpretazione' si introducano norme in realta' innovative affinche' l'innovazione riesca meno appariscente o, che per mezzo della retroattivita' si eserciti da altri organi statali una indebita ingerenza nella decisione di cause pendenti o future cosi' da minacciare l'indipendenza degli organi giurisdizionali. Tutti inconvenienti innegabili codesti, ma che in regime costituzionale ordinato, in cui il congegno dell'interpretazione autentica non sia di troppo agevole accesso, si presentano come eventualita' rare e remote almeno in tempi normali.. .. ...". Infatti, non pare rispondente a giustizia sostanziale che a mezzo di norme solo formalmente interpretative, ci si debba opporre alle istanze di parte ricorrente e alla interpretazione giurisprudenziale favorevole (V. sentenza Corte costituzionale n. 123 del 10 aprile 1987). Ne discende allora che l'art. 24, legge n. 638/1983 si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della irragionevolezza o ingiustizia del suo valore retroattivo limitato ai cinque anni anteriori, nel corso dei quali i contribuenti avevano confidato, in base all'assetto normativo del tempo, nella esenzione della indennita' in questione della contribuzione assistenziale di malattia. Ne' si puo' fare ricorso al criterio della scelta discrezionale del legislatore, il quale se e' libero di sottoporre a contribuzione l'indennita' integrativa speciale, cio' puo' fare con apposita norma, ma con efficacia ex nunc, e non retroattivamente con norma falsamente interpretativa, perche' chiaramente innovativa. Infatti, per il passato, gli interessati non potevano non fare legittimo affidamento sulla applicazione della esenzione contributiva in base alla interpretazione giurisprudenziale e alla prassi amministrativa consolidata loro favorevole, tanto da configurare una sorta di diritto quesito. Appare evidente, quindi che senza una plausibile ragione di carattere sostanziale, se non di economia finanziaria, il legislatore, interferendo nalla giurisdizione, ha inteso con norma innovativa retroattiva procurarsi un'entrata, facendo pero' mal governo della sua prerogativa d'interprete d'autorita' del diritto. Invero, nello stato di diritto, il giudice e' "soggetto" alla legge (art. 101 della Costituzione) e anzi "soltanto alla legge" (e non anche al legislatore). E cio' comporta che - potendo la legge essere anche retroattiva (salvo i limiti costituzionali) - il legislatore che disponga retroattivamente, si impone percio'-stesso anche in tal caso al giudice che la legge deve applicare indefettibilmente. Torna allora opportuno rammentare quanto rilevato da codesta Corte nella sentenza n. 123/1987: "il giudice, per costituzione soggetto alla legge, percio' stesso, ma solo in questo senso, in auctoritate legislatoris, e' tenuto ad interpretare il ius superveniens, applicandolo al caso singolo sottoposto alla sua cognizione, per deciderne il merito". Ma, proprio perche' il vincolo del giudice, (l'unico vincolo) e' quello dell'applicazione della legge cui e' soggetto, al fine della decisione delle controversie, ne discendono dei limiti insuperabili per il legislatore anche ove esso legiferi retroattivamente o con norma di interpretazione autentica. Uno di questi limiti e' quello che essa "soddisfi l'esigenza sociale della certezza e dell'eguaglianza di trattamento giuridico, sempre che ne ricorra il presupposto nell'incertezza e conseguente possibilita' di interpretazioni,divergenti". Infatti, allora, non si puo' dire che, essa violi, col suo sopravvenire, aspettative certe o interessi sicuramente protetti, giacche' le aspettative che trovano fondamento in interpretazioni dubbie "non acquistano mai certezza: la certezza che caratterizza i c.d. diritti acquisiti". E nella specie - lo si ribadisce - prima del 1983 non vi era alcuna incertezza interpretativa; talche' con Corte costituzionale n. 349 del 17 dicembre 1985 si puo' dire che "gli interventi del legislatore su diritti quesiti non possono trasmodare in un regolamento irrazionale o arbitrariamente incidere su situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando cosi' anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto". Infine, e' d'uopo rammentare che la Corte costituzionale ha accolto una analoga questione con la sentenza del 25 maggio 1989, n. 283, in cui e' stata rilevata la illegittimita' costituzionale della norma che dopo molto tempo aveva modificato, anche per il passato, una precedente norma, attraverso un intervento interpretativo attuato in assenza di contrasti sulla norma medesima, compromettendo la funzione giurisdizionale in violazione dell'art. 101 della Costituzione, e pur considerando che il legislatore puo', "concorrendo scelte politiche discrezionali coerenti, imporre determinati significati a precedenti norme". Infatti, nella specie, cio' che appare irrazionale e incoerente e' quella parte della norma che, assumendo una falsa veste interpretativa, dispone arbitrariamente anche per il passato, sacrificando diritti sulla cui esistenza gli interessati avevano ragione di confidare perche' acquisiti in base a una interpretazione consolidata; atteso che la norma medesima, stante il suo carattere chiaramente innovativo, nell'ambito della discrezionalita' del legislatore, avrebbe dovuto legittimamente disporre solo per il futuro. Invero, uno dei limiti (invalicabili) che il legislatore di uno Stato di diritto deve sempre porsi, va ravvisato nel fatto che l'intervento legislativo soddisfi l'esigenza di certezza del diritto e non si traduca, invece, nel dettare nuove regole destinate a incidere, in violazione dei principi di razionalita' e di giustizia, su posizioni giuridiche pregresse e da tempo consolidatesi.