Ricorso del presidente della giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia, rappresentato e difeso dall'avv. Gaspare Pacia, con domicilio eletto presso l'ufficio di Roma della regione Friuli-Venezia Giulia in Roma, piazza Colonna n. 355, come da procura a margine, nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri per la risoluzione del conflitto di attribuzioni, determinato dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 gennaio 1991 (in Gazzetta Ufficiale n. 12 del 15 gennaio 1991) contenente "atto di indirizzo e coordinamento alle regioni in materia di organizzazione degli Uffici di statistica". I. - Con l'art. 24 della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo fu delegato "ad emanare norme aventi valore di legge ordinaria perd la riforma degli enti e degli organismi pubblici di informazione statistica", in base ad una serie di principi e criteri direttivi, fra i quali fu evidenziata l'esigenza "che siano attribuiti all'Istat i compiti di indirizzo e coordinamento". Dando un'appropriata definizione di tali compiti, codesta ecc.ma Corte, con sentenza n. 242/1989, osservo' che essi "non rientrano concettualmente nella funzione di indirizzo e di coordinamento che lo Stato esercita nei confronti delle regioni.. .. .. ma rappresentano, piuttosto, una forma di coordinamento tecnico, che ha il solo scopo di unificare o di rendere omogenee le metodologie statistiche utilizzate dai vari centri pubblici di informazione statistica e che, come tale, non incide sul potere - spettante alle regioni ed alle province di Trento e Bolzano entro i limiti di autonomia loro imposti - di programmare, dirigere e gestire l'attivita' dei propri uffici statistici secondo i propri bisogni". Successivamente, con decreto legislativo delegato n. 322 del 6 settembre 1989, al primo, secondo e terzo comma dell'art. 5, fu stabilito: (primo comma) "spetta a ciascuna regione ed alle province di Trento e Bolzano istituire con proria legge uffici di statistica"; (secondo comma) "Il Consiglio dei Ministri adotta atti di indirizzo e di coordinamento ai sensi dell'art. 2, terzo comma, lett. d), della legge 23 agosto 1988, n. 400, per assicurare unicita' d'indirizzo dell'attivita' statistica di competenza delle regioni e delle province autonome"; (terzo comma) "L'Istat esercita nei confronti degli uffici, di cui al primo comma, poteri di indirizzo e coordinamento tecnici, allo scopo di renderne omogenee le metodologie". Nel secondo e terzo comma, appena trascritti, fu resa evidente la distinzione fra indirizzo e coordinamento politico-amministrativo (di spettanza del Governo e da esercitarsi nei confronti delle regione delle province autonome) ed indirizzo e coordinamento di carattere tecnico (di spettanza dell'Istat e da esercitarsi nei confronti degli uffici di statistica, istituiti dalle regioni e province autonome). Sulle norme delegate, appena trascritte, essendo state sollevate questioni di legittimita' costituzionale, codesta ecc.ma Corte, con sentenza n. 139/1990, ebbe modo di rilevare: a) in relazione al primo comma dell'art. 5, che la statuizione ivi contenuta (cioe' l'obbligo, posto a carico delle regioni e prov- ince autonome, di "istituire con propria legge uffici di statistica") intende solo affermare che saranno esse regioni e province a costituire i predetti uffici "in base alle norme regolatrici delle loro competenze", mentre il successivo inciso - con propria legge - "e' semplicemente diretto a richiamare il principio costituzionale della riserva (relativa) di legge in materia di ordinamento di uffici pubblici"; b) in relazione al secondo comma dello stesso art. 5, che la previsione ivi enunciata (secondo cui il Consiglio dei Ministri adotta atti di indirizzo e di coordinamento, per assicurare unicita' di indirizzo dell'attivita' statistica delle regioni e delle province autonome) rende "chiara la volonta' del legislatore ordinario di non innovare e di non arrecare deroghe alle norme vigenti in materia di esercizio della relativa funzione governativa", posto che la previsione anzidetta "si limita a ribadire il requisito procedurale della deliberazione del Consiglio dei Ministri e le finalita' generali che ogni atto d'indirizzo e coordinamento non puo' non avere". Fra le altre norme emanate con il d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, interessa ricordare al fine del presente ricorso, l'art. 21, lett. c), dove e' stabilito che "le direttive e gli atti d'indirizzo" del comitato di indirizzo e coordinamento dell'informazione statistica (organo dell'Istat, giusta la previsione degli articoli 14 e 17 stesso d.lgs.) hanno ad oggetto "i criteri organizzativi e la funzionalita'" degli uffici di statistica facenti parte del sistema statistico nazionale e, quindi, anche gli uffici si statistica delle regioni, che di tale sistema fanno parte (art. 2). Anche sulla disposizione appena richiamata insorsero dubbi di legittimita' sostituzionale, essendo sembrato che essa pesantemente interferisse nella competenza delle regioni in materia di ordinamento dei propri uffici. Ma, rimuovendo tali dubbi con la sentenza n. 139/1990, codesta ecc.ma Corte osservo' che "l'espressione usata dell'art. 21, lett. c), non puo' essere intesa come se si riferisse all'organizzazione amministrativa o alla distribuzione del personale negli uffici di statistica delle regioni e delle province autonome", poiche' "questa materia rientra a pieno titolo nelle competenze regionali"; ma che l'espressione anzidetta "dev'essere interpretata in relazione alla finalita' per la quale e' stata posta e che l'art. 5, terzo comma, definisce come lo scopo di rendere omogenee le metodologie statistiche applicate dai vari uffici di statistica delle regioni e delle province autonome". II. - Nella cornice normativa sopra tracciata e' venuto ora a calarsi il d.P.C.M. 10 gennaio 1991 (in Gazzetta Ufficiale n. 12 del 15 gennaio 1991), emanato in applicazione dell'art. 5, secondo comma, del d.lgs. n. 322/1989, dichiaratamente, come "atto di indirizzo e coordinamento alle regioni in materia di organizzazione degli uffici di statistica". Questo d.P.C.M. invade la sfera di competenza della regione Friuli-Venezia Giulia nei punti ed in relazione ai parametri che vengono qui' appresso elencati secondo l'ordine degli articoli. Nell'art. 1, primo comma, si prescrive che gli uffici di statistica delle regioni "sono l'unico interlocutore del sistema statistico nazionale per quanto di competenza delle rispettive re- gion". La prescrizione e' in contrasto, per il Friuli-Venezia Giulia, con le previsioni dello statuto speciale di autonomia (l.c. 31 gennaio 1963, n. 1), che disciplinano le attribuzioni della giunta regionale (art. 46), del presidente (art. 42) e degli assessori (art. 34); ed e', quindi, lesiva delle competenze della regione che attraverso tali organi si esprimono. Nell'art. 2, secondo comma, e' stabilito che "ciascuna regione, attraverso il proprio ufficio di statistica, fa pervenire all'Istat il programma delle rilevazioni statistiche di suo interesse, affinche' possa essere preso in considerazione per l'inserimento nel programma statistico nazionale, predisposto ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. n. 322/1989". Questa disposizione - nella parte in cui sembra dequalificare il programma delle rilevazioni statistiche della regione, prefigurando la eventualita' che esso possa non essere preso in considerazione per l'inserimento nel programma statistico nazionale o che, comunque, possa non valere come informazione statistica ufficiale -, appare lesiva della totalita' delle competenze regionali, posto che l'informazione statistica e' attribuita alla regione come "potere implicito" (sentenza n. 242/1989) sotteso alle potesta' regionali in tutte le materie elencate negli artt. 4 e 5 dello statuto speciale. E cio', senza dire che la disposizione anzidetta e' pure in contrsto con lo stesso d.lgs. delegato, n. 322/1989, dove puntualmente si riconosce che gli uffici di statistica del Sistema statistico nazionale, autonomamente, "promuovono e realizzano la rilevazione, l'elaborazione, la diffusione e l'archiviazione dei dati statistici, che interessano l'amministrazione di appartenenza, nell'ambito del programma statistico nazionale". Nell'art. 3 e' contenuta una dettagliata descrizione di come dev'essere organizzato l'ufficio di statistica di ciascuna regione: dev'essere un ufficio "unico", inquadrato "nell'ambito organizzativo della presidenza della giunta regionale" e posto "alle dirette dipendenze del presidente"; deve avere "autonomia organizzativa, tecnica e finanziaria, anche attraverso la costituzione di appositi fondi di bilancio a gestione separata"; dev'esservi preposto un funzionario dell'amministrazione regionale, con una speciale qualificazione culturale, nominato dal presidente; deve avere un'"attrezzatura minima, telefonica, informatica e telematica", come determinata dall'Istat. La regolamentazione appena riassunta pesantemente incide sulla competenza della regione in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 4, n. 1, dello statuto) e addirittura esaurisce i contenuti della legge regionale cui spetterebbe di organizzare l'ufficio di statistica. L'art. 5 disciplina le rilevazioni statistiche d'interesse regionale, disponendo: a) che esse sono effettuate dall'ufficio di statistica della regione; b) che l'Istat puo' autorizzare la regione ad avvalersi, a tal fine, anche di altri uffici di statistica, facenti parte del sistema statistico nazionale, previa intesa con l'amministrazione interessata; c) che la diffusione, come dati statistici ufficiali, dei prodotti di codeste rilevazioni "puo' essere assentita, su richiesta del presidente della giunta regionale, dal responsabile dell'ufficio di statistica della regione, che deve previamente vagliarne l'attendibilita'" e che, "in mancanza di tale aasenso, i prodotti stessi non possono essere diffusi all'esterno come dati conoscitivi"; d) che "l'utilizzazione da parte della regione di dati statistici provvisori, elaborati dall'ufficio di statistica, puo' essere consentita in via eccezionale dal responsabile dell'ufficio di statistica". Queste disposizioni dell'art. 5 sono tutte lesive, vuoi delle competenze "implicite" regionali, di cui piu' sopra si e' fatto cenno, in tema di informazione statistica, vuoi delle competenze "esplicite" della regione in tema di ordinamento dei propri uffici. In particolare, e' lesivo, sotto il duplice profilo appena considerato, l'assoggettamento ad autorizzazione di quanto indicato alla lettera a) (avvalimento di altri uffici e previa intesa con l'amministrazione interessata), sembrando non contestabile che gia' spetti alla regione quel che l'Istat dovrebbe autorizzare. E sono ancor piu' lesive le disposizioni richamate dalle lettere c) e d), che sovvertono addirittura i livelli decisionali ed istituzionali, ponendo il responsabile dell'ufficio di statistica della regione al di sopra del presidente della giunta. III. - Le esorbitanze, sopra evidenziate al precedente paragrafo, nella sfera di competenza della regione Friuli-Venezia Giulia (come, del resto, nella sfera di competenza delle altre regioni) non hanno una valida copertura costituzionale. Non puo' valere, ovviamente, come copertura l'autodefinizione, enunciata nell'epigrafe del d.P.C.M., di "atto di indirizzo e coordinamento alle regioni in materia di organizzazione degli uffici di statistica"; ne' puo' valere - come si vedra' - il richiamo, contenuto nelle premesse del medesimo d.P.C.M., alla "necessita' di adottare un atto d'indirizzo e coordinamento come previsto dall'art. 5 secondo comma, del citato d.lgs. n. 322/1989". Secondo l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte, l'esercizio, in via amministrativa, della funzione statale di indirizzo e coordinamento deve potersi ricollegare, nel rispetto del principio di legalita', ad una specifica disposizione legislativa che "in apposita considerazione della materia.. .. .. vincoli e diriga le scelte del Governo, prima che questo possa, dal canto suo, indirizzare e coordinare lo svolgimento dei poteri di autonomia". Nel porre questa essenziale condizione con la importante sentenza n. 142/1982, codesta ecc.ma Corte non manco' di precisare che la condizione stessa non poteva considerarsi avverata quando il supporto legislativo fosse consistito in una previsione generica sulle modalita' di esercizio della speciale funzione, invece che in una previsione specifica e puntuale sui contenuti sostanziali della funzione da esercitare. E fu allora opportunamente chiarito che non poteva essere utilmente invocata - per dedurne una inammissibile copertura - "la sola previsione dell'art. 3 della legge n. 382/1975", poiche' questa "non riguarda e non delimita per alcun verso il possibile contenuto sostanziale degli atti di questo tipo". Sullo stesso filo di pensiero, nella gia' citata sentenza n. 139/1990, codesta ecc.ma Corte, pronunciandosi proprio sull'art. 5, secondo comma, del d.lgs. n. 322/1989 (comma richiamato, ripetesi, nelle premesse del d.P.C.M.), ebbe ad osservare, in aggiunta a quanto gia' riportato piu' sopra, che la norma "non e' rivolta ad istituire un determinato e particolare potere di indirizzo e coordinamento" ma si limita a ribadire il requisito procedurale della deliberazione del Consiglio dei Ministri. In realta', l'"atto di indirizzo e coordinamento", racchiuso nel d.P.C.M. oggetto del presente conflitto, poggia su di un supporto legislativo (art. 5, secondo comma, del d.lgs. n. 322/1989), indeterminato e generico, che l'ecc.ma Corte gia' ritenne inadeguato ed insufficiente con la sentenza n. 139/1990, cosi' come inadeguato ed insufficiente era stato ancor prima ritenuto (con la sentenza n. 142/1982) il prototipo costituito dall'art. 3 della legge n. 382/1975. Quand'anche il predetto art. 5, secondo comma, del d.lgs. n. 322/1989 potesse considerarsi, in astratto, come supporto legislativo adeguato, per l'esercizio in via amministrativa della funzione statale di indirizzo e coordinamento, e' certo che le concrete dimensioni giuridiche dell'impugnato d.P.C.M. sarebbero pur sempre macroscopicamente lesive della sfera di competenza della regione, vuoi perche' la disciplina prefigurata nel d.P.C.M. non tiene conto dell'autonomia differenziata della regione stessa (sentenza n. 340/1983), vuoi perche' tale disciplina ha ben poco di " indirizzo e coordinamento", presentandosi invece come una esasperata regolamentazione di dettaglio che lascia alla regione un spazio assolutamente trascurabile. Se la funzione statale di indirizzo e coordinamento potesse davvero esercitarsi con le dimensioni esposte nell'impugnato d.P.C.M., ben poco rimarrebbe delle competenze regionali, costituzionalmente garantite. Va, da ultimo, rilevato che sui contenuti dell'impugnato d.P.C.M., nonostante la contraria affermazione enunciata nelle premesse del medesimo, non v'e' mai stata una valida intesa fra Stato e regioni.