ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma
 ventiseiesimo, della legge 17 febbraio 1985, n. 17 ("Disposizioni  in
 materia  di  imposta  sul  valore aggiunto e di imposte sul reddito e
 disposizioni relative all'Amministrazione finanziaria") promosso  con
 ordinanza  emessa  il  9  ottobre  1990 dal Pretore di Lucca, Sezione
 distaccata di Viareggio nel procedimento penale  a  carico  di  Ricci
 Roberto  iscritta  al n. 706 del registro ordinanze 1990 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  47,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio  1991  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Ricci Roberto -
 imputato  del  reato  di  cui  all'art.  2,  ventiseiesimo comma, del
 decreto legge 19  dicembre  1984  n.  853,  convertito  in  legge  17
 febbraio  1985  n.  17,  per  aver  effettuato, in regime forfettario
 d'I.V.A., acquisti non fatturati  ai  fini  dell'imposta  sul  valore
 aggiunto  senza  avere  provveduto  tempestivamente  alla  successiva
 regolarizzazione  fiscale  -  il Pretore di Lucca con ordinanza del 9
 ottobre 1990  ha  sollevato  questione  incidentale  di  legittimita'
 costituzionale  di  tale  norma,  in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione, per l'irragionevole disparita' di  trattamento  che  si
 viene  a  creare  fra  contribuenti  in regime d'I.V.A. forfettario e
 quelli in regime ordinario, atteso che, mentre per i primi  la  norma
 censurata   attribuisce   rilevanza   penale   a  qualsiasi  acquisto
 effettuato  senza  applicazione  dell'imposta  sul  valore  aggiunto,
 invece  per  i  secondi  la  cessione  di  beni  e  servizi  senza la
 fatturazione e' sanzionata penalmente  soltanto  se  l'ammontare  dei
 corrispettivi  non  fatturati  e' superiore nell'anno a 50 milioni di
 lire ed al due per cento dell'ammontare complessivo dei corrispettivi
 risultati dall'ultima  dichiarazione  presentata  ovvero  comunque  a
 duecento  milioni  di  lire  (art. 1, secondo comma, legge n. 516 del
 1982).
    Il giudice rimettente - pur riconoscendo che la ratio della  norma
 va  individuata  nella  circostanza  che  il  contribuente  in regime
 forfettario  non  ha,  contrariamente  al  contribuente   in   regime
 ordinario,   interesse   a   richiedere   ed  a  conservare  regolare
 fatturazione degli acquisti da lui effettuati, donde la necessita' di
 stimolarlo con la minaccia di una sanzione penale - ritiene  comunque
 che  la  norma  impugnata,  in  quanto  priva di una soglia minima di
 rilevanza penale e quindi applicabile anche nei confronti di evasioni
 irrisorie, violerebbe il principio di sussidiarieta'  e  residualita'
 della  sanzione penale e creerebbe un trattamento ingiustificatamente
 deteriore rispetto a  quello  riservato  al  contribuente  in  regime
 ordinario.
   2.  -  L'ordinanza  del  giudice  a  quo,  ritualmente notificata e
 comunicata  e'  stata  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale   della
 Repubblica n. 47, prima serie speciale del 28 novembre 1990.
    3.   -   E'  intervenuta  la  Presidenza  del  Consiglio  a  mezzo
 dell'Avvocatura di Stato sostenendo  l'inammissibilita',  o  comunque
 l'infondatezza, della questione, atteso che la previsione di "soglie"
 quantitative nella configurazione di fattispecie penali rientra nella
 discrezionalita' del legislatore.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata sollevata questione incidentale di costituzionalita'
 della  disposizione  prevista  dall'art.  2, ventiseiesimo comma, del
 decreto legge 19  dicembre  1984  n.  853,  convertito  in  legge  17
 febbraio  1985  n.  17  (che  sanziona  penalmente  la  condotta  dei
 contribuenti I.V.A. in regime forfettario i quali, in caso di  omessa
 fatturazione   di   acquisti   da  loro  effettuati,  non  provvedano
 tempestivamente alla regolarizzazione  fiscale),  per  contrasto  con
 l'art.   3  della  Costituzione  per  l'irragionevole  disparita'  di
 trattamento che si viene  a  creare  fra  i  contribuenti  in  regime
 d'I.V.A.  forfettario  e  quelli  in  regime  ordinario,  non essendo
 prevista per i primi - a differenza che per quest'ultimi ( ex art. 1,
 secondo comma, legge n. 516 del 1982) - una "soglia  minima"  di  non
 rilevanza   penale   con  la  conseguenza  che  risultano  sanzionate
 penalmente anche violazioni di minima entita'.
    2. - La questione non e' fondata.
    Il decreto legge 19 dicembre 1984 n. 853, convertito in  legge  17
 febbraio  1985  n. 17, nel dettare nuove (temporanee) disposizioni in
 materia di imposta  sul  valore  aggiunto,  ha  previsto  come  reato
 contravvenzionale  (all'art.  2, ventiseiesimo comma) la condotta dei
 contribuenti  i  quali  -  avvalendosi  (in  quanto  esercenti arti o
 professioni o imprese commerciali che si giovino  della  contabilita'
 semplificata  di cui all'art. 18 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600) del
 regime forfettario di determinazione dell'I.V.A. (calcolata riducendo
 l'imposta  relativa  alle  operazioni  imponibili  delle  percentuali
 stabilite  nella tabella A, allegata al cit. d.l. n. 853, a titolo di
 detrazione forfettaria  dell'imposta  afferente  gli  acquisti  e  le
 importazioni,  in  luogo  delle detrazioni analitiche di quest'ultima
 secondo il regime ordinario) - non provvedano (nei modi e nei termini
 di cui all'art. 41, quarto comma, D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633) alla
 regolarizzazione di acquisti  di  beni  o  servizi  effettuati  senza
 l'emissione della fattura (o con emissione di fattura irregolare), da
 parte  di chi (cedente o committente) e' obbligato ad emetterla. Tale
 condotta e' sanzionata con la pena dell'arresto fino  a  due  anni  o
 dell'ammenda  fino  a  quattro  milioni  di lire qualora nell'anno il
 contribuente   abbia   effettuato   acquisti    senza    applicazione
 dell'imposta per un ammontare di corrispettivi superiore a 10 milioni
 di  lire; ove invece questi ultimi siano inferiori a tale importo, la
 pena e' della sola ammenda fino a quattro milioni di lire.
    3.  -   Nella   fattispecie   contravvenzionale   introdotta   dal
 legislatore  manca  testualmente  una  soglia  minima  di punibilita'
 talche' ogni omessa regolarizzazione di  acquisto  non  fatturato  e'
 sanzionata penalmente, pur se minima risulti essere l'imposta evasa.
    Diversa  invece  e'  stata  l'opzione del legislatore allorche' ha
 represso una similare, ma non analoga, condotta illecita: quella  dei
 contribuenti in regime ordinario d'I.V.A. i quali effettuino cessione
 di beni o prestazioni di servizi omettendone la fatturazione. Infatti
 in  tal caso il fatto e' punito (sempre con l'arresto fino a due anni
 o con l'ammenda fino a quattro milioni di lire) solo  se  l'ammontare
 dei corrispettivi non fatturati superi la soglia di cinquanta milioni
 di  lire  e  del  due  per  cento  dell'ammontare  dei  corrispettivi
 risultanti  dall'ultima  dichiarazione  presentata  o   comunque   di
 duecento milioni di lire.
    4.  -  Pur  dovendo registrarsi, quanto alla determinazione di una
 soglia minima di punibilita', una diversita' di  disciplina  rispetto
 al  tertium comparationis prospettato dal giudice a quo, tuttavia non
 sussiste violazione del canone di  eguaglianza  e  di  ragionevolezza
 sancito  dall'art.  3  Cost. ed invocato nell'ordinanza di rimessione
 quale  parametro  di  riferimento   del   giudizio   incidentale   di
 costituzionalita'.
    Da  un  lato,  infatti,  va  ricordato che, come gia' affermato da
 questa Corte (sent.  n.  62  del  1986),  il  generale  principio  di
 offensivita'  deve, comunque ed in ogni caso, ispirare il giudice del
 merito  nell'interpretazione  della  norma  incriminatrice  ancorche'
 questa non preveda una soglia minima di punibilita'. Dall'altro, deve
 osservarsi  che,  anche  quando  la  norma  positiva specifica sia da
 interpretare nel senso  che  il  legislatore  abbia  intenzionalmente
 omesso  la  predeterminazione  di  una  soglia  minima di punibilita'
 giudicando opportuno, nel quadro del suo disegno  politico  generale,
 reprimere  ogni  violazione qualunque sia la sua entita', pure allora
 la discrezionalita' di  tale  apprezzamento  non  puo'  reputarsi  in
 contrasto   con   l'art.   3  Cost.  quando  sussistano  ragioni  che
 giustifichino una scelta siffatta  (principio  questo  gia'  espresso
 dalla Corte nella sentenza n. 376 del 1989).
    Nella specie e' riscontrabile testualmente - come gia' rimarcato -
 proprio quest'ultima opzione (anche se non puo' omettersi di rilevare
 che  il  legislatore  ha comunque tenuto conto della diversa gravita'
 delle possibili irregolarita' fiscali  rientranti  nella  fattispecie
 astratta  del  reato  avendo  previsto  una  "soglia"  di  lire dieci
 milioni,  nell'anno,  di  acquisti  effettuati   senza   applicazione
 dell'imposta  sul  valore  aggiunto, soglia al di sotto della quale -
 ancorche'  permanga  la  rilevanza  penale  del  fatto  -  e'   pero'
 irrogabile solo una ammenda fino a lire quattro milioni).
   Tuttavia ragioni adeguate certamente ricorrono a giustificazione di
 tale  scelta  differenziata.  Ed  invero  la punibilita' di qualsiasi
 evasione all'I.V.A. e', nei confronti del cessionario operante in re-
 gime forfettario, prevista al fine di contrastare il suo interesse  a
 sottrarsi  all'obbligo  (  ex  art.  41  comma 5›, gia' 4›, D.P.R. 26
 ottobre 1972 n. 633) di provvedere lui alla  regolarizzazione  quando
 il  cedente  ometta  la  fatturazione.  Invero,  come sostanzialmente
 riconosce anche il giudice a quo, in costanza di  regime  forfettario
 il  cessionario non solo non ha interesse a ricevere le fatture rela-
 tive agli acquisti effettuati essendo la misura delle  detrazioni  da
 lui   fruibili   indipendente   dal   concreto  ammontare  dei  costi
 effettivamente sopportati, ma anzi puo' avere un interesse contrario,
 e cioe' l'interesse ad una artificiosa compressione dei costi al fine
 di dichiarare anche minori ricavi e quindi, nel complesso, una minore
 base  imponibile  al  fine  dell'imposizione  diretta.  Onde   appare
 giustificata,  sotto  il profilo sia della ragionevolezza in se', sia
 del raffronto con la diversa disciplina relativa al  contribuente  in
 regime   ordinario,   la   previsione   di   un  meccanismo  punitivo
 maggiormente dissuasivo da parte della normativa denunziata, la quale
 - pur dopo il decreto legge 2 marzo 1989 n. 69, convertito  in  legge
 27   aprile  1989  n.  154  (che,  nel  modificare  in  termini  piu'
 restrittivi i presupposti di applicazione del regime  forfettario  di
 determinazione   dell'I.V.A.,   non   ha  piu'  riprodotto  la  norma
 incriminatrice, depenalizzando l'illecito de quo ed affidando  quindi
 la  sua repressione solo all'apparato sanzionatorio amministrativo) -
 e' tuttavia ancora applicabile ai fatti  verificatisi  sotto  la  sua
 vigenza trattandosi di disposizione penale di legge finanziaria (art.
 20 legge 7 gennaio 1929 n. 4), per di piu' temporanea (art. 2, quarto
 comma, cod. pen.).