IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale nei confronti di Farinelli Aldina imputata della contravvenzione di cui agli artt. 16 e 26 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 per avere effettuato all'interno del perimetro della propria azienda stoccaggio provvisorio di rifiuti tossico-nocivi (distillato di tricloroetilene) senza la prescritta autorizzazione regionale, il difensore dell'imputata, concludendo la propria discussione finale, ha chiesto dichiararsi non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma derivante dagli artt. 16 e 26 del citato d.P.R. nella parte in cui sanziona lo stoccaggio provvisorio di rifiuti tossico-nocivi senza autorizzazione con la pena da sei mesi ad un anno di arresto e con l'ammenda da due a cinque milioni di lire, per violazione dell'art. 3 della Costituzione. L'eccezione e' stata proposta sotto il profilo della manifesta irragionevolezza ed arbitrarieta' della sanzione penale stabilita per la condotta in esame in relazione al trattamento sanzionatorio adottato dal legislatore per altra fattispecie, quella di cui al disposto degli artt. 9 e 24 dello stesso d.P.R. che vieta e punisce l'abbandono, lo scarico o il deposito incontrollato di rifiuti tossico-nocivi in aree pubbliche e private soggette ad uso pubblico, con l'ammenda da lire duecentomila a cinque milioni o con l'arresto sino a sei mesi. Si sottolinea come l'aggressione diretta e immediata all'interesse tutelato dalla norma penale, la salvaguardia dell'ambiente e dell'igiene e sanita' pubblica, sia punita in maniera e misura incomparabilmente meno severa di quanto non sia un comportamento che assume rilievo penale soltanto sotto il profilo di un potenziale attentato a detti interessi, in quanto prelude all'incontrollata dispersione o accumulo di rifiuti nocivi nell'ambiente esterno ma che in se' non produce alcuna lesione del bene tutelato e comunque una situazione di pericolo assai meno intensa. Il pretore ritiene che la norma penale indicata, di cui si deve fare applicazione nel processo in corso, meriti la verifica di legittimita' della Corte, non apparendo i dubbi sollevati su di essa manifestamente infondati. L'imputata esercita dal 1983 un'attivita' di lavanderia a secco; dispone allo scopo di una macchina e l'attivita' in questione da' luogo alla formazione di residui tossico-nocivi (tricloroetilene e percloroetilene) sostanze cosi' classificate ai sensi del paragrafo 1.2 punto 2 tabella 1.3. n. 3 della deliberazione 27 luglio 1984 del comitato interministeriale di cui all'art. 5 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915. L'imputata tiene regolarmente dal 21 dicembre 1985 il registro di carico e scarico dei rifiuti tossico-nocivi prodotti dalla sua attivita' e da quella data fino al 30 settembre 1988 risultano presi in carico in totale 177 kg di detti residui. Essi peraltro non sono stati smaltiti e all'atto dell'ispezione in azienda dei funzionari dell'u.s.l. 14, avvenuta il 20 gennaio 1989, erano conservati nei locali della lavanderia, precisamente in uno stanzino, chiusi in contenitori di plastica. L'imputata non e' provvista di autorizzazione regionale allo stoccaggio provvisorio dei propri rifiuti. Quest'attivita' si e' protratta per quasi tutto il 1989 fino a quando cioe' la titolare non ha stipulato un cotratto per lo smaltimento con ditta autorizzata in grado di effettuarlo. Pare pertanto che l'imputata abbia violato il precetto della norma penale in esame, non sussistendo neppure le condizioni per dare applicazione all'art. 18 della legge regionale 27 gennaio 1986, n. 6 che consente l'accumulo temporaneo senza autorizzazione regionale entro il perimetro aziendale di rifiuti tossico-nocivi per un periodo non superiore all'anno: nella specie l'accumulo si e' protratto per circa sei anni e non puo' quindi essere ritenuto (temporaneo). Conviene comuque ricordare che la menzionata disposizione regionale e' stata impugnata avanti alla Corte da altro magistrato di quest'ufficio per contrasto con gli artt. 117 e 25/2 della Costituzione. In effetti la Corte costituzionale ha negli ultimi mesi dichiarato l'illegittimita' costituzionale delle norme di alcune regioni che consentivano il c.d. stoccaggio interno senza autorizzazione (si vedano le sentenze nn. 43, 309 e 370, del 1990 dichiarando non spettare alle regioni la potesta' di intevenire sull'ambito di applicazione di norme penali statali. Peraltro con dette sentenze la Corte ha autorevolmente avallato il prevalente orientamento dottrinario e giurisprudenziale in base al quale ex art. 6 lett. d e 16 del d.P.R. 915/1982 deve ritenersi necessaria l'autorizzazione allo stoccaggio provvisorio dei rifiuti tossico-nocivi all'interno del perimetro aziendale da parte della stessa impresa produttrice. La violazione commessa dall'industria e' punita con pena che non puo' essere inferiore a sei mesi di arresto e a due milioni di ammenda. Il fatto non appare grave e sussistono nella specie elementi che consentono in base all'art. 133 del c.p. di determinare la pena da infliggere in concreto nel minimo edittale. Questo pretore ha avuto modo di trattare processi nei quali erano imputati altri titolari di lavanderie a secco che avevano ritenuto di risolvere il problema del periodico smaltimento dei modesti quantitativi di residui nocivi derivanti dalla lavorazione, scaricandoli nei cassonetti della nettezza urbana. Per tale condotta gli stessi sono stati imputati della violazione di cui agli artt. 9 e 24 del d.P.R. n. 915/1982, scarico incontrollato di rifiuti in aree pubbliche, fattispecie punita con l'ammenda da duecentomila lire a cinque milioni o con l'arresto sino a sei mesi. Ora e' evidente che, a parita' di condizioni soggettive, colui che disperde incotrollatamente nell'ambiente e comunque in area pubblica esterna lo stesso tipo e quantita' di rifiuti tossico-nocivi puo' essere punito anche solo con l'ammenda di lire duecentomila mentre colui che la stessa quantita' e specie di rifiuti conservi in appositi contenitori chiusi, nella propria azienda, subisce una pena che non puo' essere inferiore a mesi sei di arresto. Non sembra che la differenza di situazioni giustifichi una tale differenza di trattamento sanzionatorio; in particolare appare irrazionale ed arbitrario che quella che all'evidenza appare la condotta maggiormente idonea a ledere gli interessi alla cui tutela e' preposta la sanzione penale (l'ambiente, l'igiene e la sanita' pubbliche) sia punita in modo e misura incomparabilmente piu' lieve di una condotta che viene sanzionata solo perche' astrattamente prodromica ad una eventuale aggressione ai predetti beni ma che in concreto non li lede. D'altra parte se si ritiene che diversi siano gli interessi giuridici tutelati dalle due norme, venendo in rilievo nel secondo caso l'interesse della pubblica amministrazione al controllo sulla produzione e sullo smaltimento dei rifiuti tossico-nocivi a fini di pianificazione e coordinamento delle attivita' pubbliche e private comunque connesse al problema dello smaltimento, non puo' comunque ammettersi che l'interesse strumentale della p.a. assuma un rilievo autonomo tale da oscurare lo stesso interesse finale. Non pare che la discrezionalita' del legislatore possa spingersi fino al punto da considerare l'esigenza di informazione, controllo e direzione pubblica di attivita' rilevanti, perche' idonee ad incidere negativamente sull'ambiente e la salute, meritevole di una tutela rafforzata rispetto all'esigenza che non siano poste in essere attivita' che quegli interessi siano direttamente in grado di compromettere. La prima esigenza e' certamente reale; coerente con la legge delega e con la direttiva comunitaria in materia appare il ricorso alla sanzione penale per punire ogni elusione del controllo pubblico e della necessita' di disporre di un quadro conoscitivo adeguato per l'adozione di efficaci politiche pubbliche sul problema rifiuti. Non sembra giustificato peraltro sottoporre a trattamento differenziato due condotte che hanno pari incidenza negativa rispetto all'indicato interesse strumentale (dell'esistenza di una fonte di produzione di rifiuti tossico-nocivi, la p.a. non ha comunque notizia e non puo' tenerne conto in vista dell'adozione dei piani previsti) mentre solo una delle due ha un immediata impatto ambientale. Non sembra inoltre che l'indicata disparita' di trattamento possa giustificarsi sotto il profilo di una possibile destinazione dei rifiuti provvisoriamente stoccati ad una discarica abusiva. Anzitutto perche' il reato sussisterebbe anche nel caso in cui i rifiuti abusivamente stoccati fossero in seguito regolarmente smaltiti. In secondo luogo perche' l'art. 16 stabilisce una procedura legale di smaltimento dei rifiuti, enucleandone alcune fasi tipiche ed assoggettando all'obbligo di richiedere l'autorizzazione chi in detta procedura voglia inserirsi. La norma peraltro non fornisce una nozione legale di cio' che debba intendersi per smaltimento dei rifiuti. Ne segue che anche l'abbandono incotrollato, irregolare, saltuario, in luoghi non predeterminati di rifiuti costituisce (smaltimento), sebbene in una forma che e' ragionevole ritenere ugualmente dannosa e nociva per i complessivi equilibri ambientali di quanto non sia ad esempio l'apertura e gestione di una discarica incontrollata. Indubbiamente l'attivita' di stoccaggio di rifiuti richiama l'idea di una protrazione di atti nel tempo, di un'accumulazione di quantita' di rifiuti il cui smaltimento, a seguito di opportuno trattamento, puo' essere piu' difficoltoso e comunque piu' dannoso per l'ambiente e la salute nel loro complesso, di un saltuario abbandono dilazionato nel tempo di modeste quantita' di rifiuti che vengono man mano producendosi. In tal caso poi mentre i singoli atti d'abbandono verrebbero autonomamente puniti, l'attivita' di stoccaggio, consistendo nell'accumulazione e deposito protratti nel tempo, in attesa del deposito definitivo in discarica o in altri luoghi per il trattamento, verrebbe punita una sola volta, pur potendo essa consistere in una pluralita' di atti di deposito nell'area privata destinata provvisoriamente ad accoglierli. Ma il rilievo non appare decisivo a fondare una distinzione qualitativa fra le due fattispecie che giustifichi razionalmente le scelte sanzionatorie adottate dal legislatore. Il reato di stoccaggio provvisorio di rifiuti non autorizzato e' reato eventualmente abituale nel senso che esso si perfeziona sin dal primo deposito abusivo e gli ulteriori atti di accumulo costituiscono, nella logica del reato abituale, momenti di ulteriore sviluppo del reato stesso, rilevanti come semplici modalita' di realizzazione della medesima fattispecie, i cui elementi essenziali sono stati realizzati gia' con il compimento del primo della serie di atti in cui il fatto consiste. Pertanto la stessa quantita' di rifiuti, realizzati in un ciclo produttivo, se stoccata provvisoriamente senza autorizzazione, dara' luogo al reato di cui agli artt. 16 e 26 mentre se abbandonata in area pubblica dara' luogo a diverso reato assai piu' lievemente punito. Per altro verso l'assunta autonoma punibilita' di singoli atti di abbandono non ricorre in ogni situazione. Posto infatti che esattamente si fa consistere la distinzione fra la realizzazione di una discarica abusiva e l'abbandono incontrollato di rifiuti nella significativa trasformazione del terreno interessato allo scarico che abbia assunto univoca destinazione di scarico e deposito di rifiuti, e non nella abitualita' e ripetitivita' della condotta, contrapposta al carattere occasionale ed isolato dell'abbandono, ben possono ipotizzarsi pluralita' di atti di abbandono di modeste quantita' di rifiuti in un'area pubblica senza che questa possa ancora essere considerata una discarica. In tal modo non vi e' ragione per punire autonomamente i diversi atti di abbandono, reputandosi anche la fattispecie di cui agli artt. 9 e 24 un reato abituale. Non sembra pertanto razionalmente giustificata la scelta del legislatore di punire con una sanzione caratterizzata dall'obbligatoria irrogazione della pena detentiva minima di mesi sei lo stoccaggio interno di rifiuti mentre senza ragionevole motivo altra fattispecie consistente in un fatto concretamente idoneo ad incidere negativamente sull'ambiete prevede la pena pecuniaria alternativa e nessun minimo di pena detentiva. Su questi due punti si incentra la questione che si sottopone all'esame della Corte, essendo consapevole il pretore che, a parte l'irrilevanza per il giudizio in corso, la previsione di una pena detentiva differenziata nel massimo fra le due fattispecie puo' effettivamente appartenere all'ambito dell'insindacabile discrezionalita' del legislatore.