IL PRETORE Il p.m. ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, terzo comma, del c.p.p., rilevando che la deroga al criterio originario ed autonomo di determinazione della competenza per territorio per i procedimenti penali aventi come parti offese o danneggiate dal reato magistrati "appare assolutamente ingiustificata ed impedisce pertanto l'attuazione del principio costituzionale di eguaglianza, che in questo caso attiene alla mancata espansione di un precetto generale ad una fattispecie che possiede la medesima ratio", essendo "anche nel caso di oltraggio in udienza apprezzabili quei pericoli di inquinamento dell'imparzialita' del giudice che in via di principio, ex art. 11, primo e secondo comma, giustificano la sottrazione dei relativi procedimenti al giudice naturale territorialmente competente". Osserva il p.m. che la deroga di cui al terzo comma dell'art. 11 del c.p.p. "appare ancora piu' arbitraria ove si consideri che essa opera nell'ambito di un meccanismo normativo che, rispetto al corrispondente modello del codice abbrogato (art. 41- bis) ha ampliato l'operativita' dell'aspetto traslativo della competenza proprio a garanzia della piu' piena e sostanziale autonomia ex artt. 101 e 104 della Costituzione degli organi giudicanti (non essendovi piu' il riferimento all'ufficio competente ed operando in relazione a tutti gli uffici del distretto in cui il magistrato esercita le funzioni); e conclude che la deroga in questione non puo' rispondere alle esigenze di celerita' richiamate nei lavori parlamentari (vedi note allegate al processo verbale), non essendo questa conciliabile con il meccanismo introdotto dall'attuale art. 476 del c.p.p. che per i reati commessi in udienza, a differenza del corrispondente art. 435 cod. abrogato, esclude la possibilita' di una contestuale celebrazione del giudizio e lascia il p.m. arbitro di procedere "a norma di legge"; e che, anche a volere condividere l'opinione che il fondamento della deroga in esame sia in relazione all'interesse di assicurare l'esemplarita' del giudizio e di riaffermare il diritto nella medesima sede giudiziaria in cui si e' verificata la relativa lesione (Amodio Dominioni - commentario del nuovo codice di procedura penale - volume 1, pag. 70), tale interesse non e' consituzionalmente garantito e non puo' quindi prevalere sul principio costituzionale dell'imparzialita' del giudice. Il difensore dell'imputato sollevava analoga questione, anche in relazione all'art. 24 della Costituzione. Ritiene il decidente che la questione e' rilevante in ordine alla competenza e non manifestamente infondata. Il terzo comma dell'art. 11 del c.p.p., infatti, appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione determinandosi una condizione di disparita' tra cittadini imputati in procedimenti in cui assume la qualita' di persona offesa o danneggiata dal reato un magistrato, a seconda che il reato stesso sia stato commesso o meno in udienza; e cio' in quanto scopo della norma e' quello di garantire la serenita' e l'imparzialita' del giudizio che potrebbe venir meno o potrebbe apparire venir meno, a causa dei rapporti che si creano, o possono venirsi a creare, tra magistrati che esecitano le loro funzioni nell'ambito di uno stesso distretto giudiziario, (rapporti diversi da quelli di natura personale contemplati dalle norme sull'astensione e la ricusazione, ma non per questo meno idonei a condizionare, o a far apparire condizionata, l'imparzialita' del giudizio). A tal fine appare irrilevante che il reato sia stato commesso o meno in udienza, non potendo presunte ragioni di celerita' (sarebbe questa la ratio della norma che si ricava dai lavori preparatori) prevalere su valori costituzionalmente tutelati, quale l'imparzialita'.