Ricorso per conflitto di attribuzione della regione del Veneto, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore, rappresentato e difeso, come da mandato a margine del presente ricorso, giusta deliberazione g.r. 8 febbraio 1991, n. 753, esecutiva, dagli avvocati prof. Vittorio Domenichelli di Padova e Vitaliano Lorenzoni di Roma, con domicilio eletto nello studio del secondo in Roma, via Alessandria n. 130, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, per la dichiarazione che non spetta allo Stato il potere esercitato dal Ministro dell'ambiente con decreto 28 dicembre 1990 avente ad oggetto "Istituzione della riserva naturale dello Stato Monte Pelmo, Mondeval, Passo Giau", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana il 2 febbraio 1991 (serie generale n. 28), nonche' per l'annullamento del decreto stesso. F A T T O Con il decreto 28 dicembre 1990 (doc. 1), il Ministro dell'ambiente ha stabilito: a) di istituire la riserva naturale dello Stato "Monte Pelmo, Mondeval, Passo Giau" nei comuni di S. Vito e Borca di Cadore, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 349/1986; b) di vietare determinate attivita' nell'area protetta individuata; c) di affidare la gestione della riserva ai comuni di S. Vito di Cadore, di Borca di Cadore, alle Regole di S. Vito e di Borca "che costituiranno a tal fine un apposito consorzio cui potranno aderire anche la regione Veneto e la provincia di Belluno, ove lo ritengano opportuno"; d) di porre a carico anche alla regione gli oneri finanziari per la gestione della riserva; e) di imporre determinate misure di salvaguardia sottoponendo ad autorizzazione del Ministero dell'ambiente, l'intesa con la regione, ogni intervento nell'area predetta, fino alla costituzione del consorzio di gestione. Va subito sottolineato come lo Stato intervenga a tutelare un'area interamente compresa nel territorio Veneto e niente affatto sprovvista di tutela, sia perche' i comuni interessati hanno regolamentato da tempo ogni attivita' rilevante sul piano ambientale, sia perche' la regione Veneto ha preso in considerazione nel piano territoriale regionale di coordinamento gran parte dell'area classificandola come "area di massima tutela paesaggistica". Va ricordato, infatti, che il p.t.r.c. adottato dalla regione Veneto con delibera g.r. 23 dicembre 1986, n. 7090, ha valenza di pi- ano paesistico e che le prescrizioni e direttive in esso contenute sono soggette a salvaguardia, nel senso che non puo' essere autorizzato alcun intervento con esse in contrasto (cfr. art. 124 della l.r. n. 61/1985). Nonostante l'area sia dunque gia' ampiamente protetta dalla regione Veneto, appare incomprensibile per quali motivi il Ministero dell'ambiente ritenga, cosi' pervicacemente, di sottoporre a vincolo l'area in questione, esorbitando dai poteri che competono allo Stato in subiecta materia. S'e' scritto "pervicacemente" giacche' analoghe prescrizioni a quelle contenute nel decreto avversato il Ministro dell'ambiente aveva gia' imposto con d.m. 7 settembre 1989 (doc. 2) contenente la "dichiarazione di importanza naturalistica nazionale ed internazionale" della medesima area ove oggi viene istituita la riserva naturale. E tale decreto - impugnato dalla regione del Veneto, oltre che dai Comuni interessati avanti il t.a.r. Veneto - e' stato annullato dal giudice amministrativo con sentenza, prima sezione n. 16/91 depositata il 26 gennaio 1991 (doc. 3) nella quale - in perfetta corrispondenza ai principi in materia piu' volte indicati da questa Corte e da ultimo con sentenza 11-20 luglio 1990, n. 346 - il giudice Veneto ha ritenuto invasivo della sfera di competenza riservata alla regione e comunque proceduralmente scorretto - perche' non esercitato dal Governo nelle forme dell'indirizzo e coordinamento - il potere utilizzato dal Ministro dell'ambiente con il (primo) decreto dichiarativo dell'importanza naturalistica della zona. Tale sentenza - e insieme la giurisprudenza costante di questa Corte (cfr. praecipue la sentenza n. 346/1990) - il Ministro dell'ambiente ha inteso, dunque, manifestamente eludere con il nuovo d.m. 28 dicembre 1990 che espressamente dichiara infatti di sostituire il precedente d.m. 7 settembre 1989 (gia' peraltro annullato in sede giurisdizionale). Tale nuovo decreto deve dunque essere avversato dalla Regione Veneto, avanti a questa Corte, affinche' venga da questa annullato e affinche' la Corte dichiari che il potere esercitato non spetta allo Stato nei termini in cui il Ministro ha inteso servirsene. E cio' per i seguenti motivi di D I R I T T O 1. - Violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione. Violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge 8 luglio 1986, n. 349, dell'art. 7 della legge 3 marzo 1987, n. 59 in relazione all'art. 83 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Incompetenza, difetto di motivazione e di istruttoria adeguata. La materia dei parchi e delle riserve naturali e' stata, com'e' noto, radicalmente ridisciplinata in linea generale dal d.P.R. n. 616/1977 in attuazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione. L'art. 83 del d.P.R. citato ha trasferito alle regioni ogni funzione riguardante i parchi e le riserve naturali, inquadrando gli uni e le altre come "settori", o meglio parti della materia "urbanistica", rispetto alla quale le regioni a statuto ordinario hanno un'autonoma competenza legislativa e amministrativa, garantite rispettivamente dagli artt. 117, primo comma, e 118, primo comma, della Costituzione. Lo stesso art. 83 (ultimo comma) riserva allo Stato, nell'ambito della funzione di indirizzo e coordinamento, il potere di individuare territori nei quali istituire riserve naturali e parchi esclusivamente di carattere interregionale. Per quanto riguarda i parchi e le riserve dello Stato gia' esistenti, il medesimo art. 83 (secondo comma) rinvia ad una futura legge statale (non ancora emanata) di disciplina generale che definira' la ripartizione di competenze amministrative fra Stato, regioni e comunita' montane (ripetesi, per quanto riguarda i soli parchi nazionali oggi esistenti). A seguito dell'emanazione del d.P.R. n. 616/1977, in definitiva, la "submateria" parchi e riserve naturali e' da ritenersi di competenza regionale, salvo che per quanto concerne parchi e riserve interregionali e i parchi nazionali gia' in precedenza istituiti con specifiche "leggi-provvedimento". Cosicche', com'e' stato rilevato in dottrina, dopo l'emanazione dell'art. 83 del d.P.R. n. 616/1977 e' da escludere la possibilita' per lo Stato di istituire nuovi parchi o riserve nazionali sia mediante atti di legislazione singolare (del tipo di quelli che hanno creato i parchi nazionali attuali) sia ovviamente mediante atti amministrativi, confliggendo simili iniziative con la norma generale di riassetto dei rapporti fra Stato e regioni (cfr. Ferri, voce Parchi in Enc. del Dir. vol. XXXI p. 625; Capaccioli Satta, Commento al decreto 616, Milano 1980, p. 1288 e segg.). Se l'istituzione di nuovi parchi e riserve naturali statali e interregionali deve esplicarsi, a partire dal d.P.R. n. 616/1977, nell'ambito della funzione di indirizzo e coordinamento, (cfr. art. 83, ultimo comma) in quanto ricompresa all'interno di competenze trasferite alle regioni, deve radicalmente escludersi sia la possibilita' di un intervento statale riguardo a territori ricompresi nell'ambito di una sola regione (cosi', Commento al decreto 616 cit. p. 1301) sia l'istituzione di parchi e riserve naturali ultraregionali al di fuori della procedura dell'indirizzo e coordinamento (cosi', esattamente, ha statuito questa Corte nella citata sentenza n. 346/1990). Tale prospettiva non viene mutata dalla successiva legislazione e in particolare dalla legge n. 349/1986, istitutiva del Ministero dell'ambiente, ne' dalla legge n. 59/1987, contenente norme per il funzionamento del Ministero stesso. Invero, l'art. 5, primo comma, della legge n. 349/1986, consente al Governo di individuare "i territori nei quali istituire riserve naturali e parchi di carattere interregionale a norma dell'art. 83, quarto comma, del d.P.R. n. 616/1977 su proposta del Ministro dell'ambiente", nell'ambito dunque della funzione di indirizzo e coordinamento (e pertanto mediante procedure collaborative e non certo con provvedimenti autoritativi). Egualmente l'art. 7, primo comma, della legge n. 59/1987, attribuisce soltanto al Ministro dell'ambiente di adottare, nelle aree individuate come zone da destinarsi a parchi nazionali e riserve naturali statali, le necessarie misure di salvaguardia al fine di evitare qualsiasi trasformazione dei luoghi. Invero, nonostante la pessima formulazione, l'art. 7 non ha certamente reintrodotto il potere dello Stato di istituire parchi nazionali o interregionali al di fuori della procedura dell'indirizzo e coordinamento. La normativa sul funzionamento del Ministero (posta dalla legge n. 59/1987) non puo' infatti confliggere con la disciplina generale dei rapporti fra Stato e regioni introdotta dal d.P.R. n. 616/1977 ne' revocare il trasferimento (non delega) delle funzioni operato dall'art. 83: tesi confermata dall'interpretazione della Corte costituzionale sia in ordine al portato dell'art. 5 della legge n. 349/1986 (Corte costituzionale sentenza n. 830/1988 e 346/1990) sia propriamente in ordine all'art. 7 (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 617/1987 e 83/1988) che mantiene siffatto potere di salvaguardia all'interno della funzione di indirizzo e coordinamento, e aderente all'art. 5 della legge n. 349/1986 e all'art. 83 del d.P.R. n. 616/1977. In definitiva, poiche' il d.m. avversato ha inteso istituire una nuova riserva, naturale, il provvedimento va denunziato anche per violazoine dell'art. 7, primo comma, della legge n. 59/1987 nonche' dell'art. 5 della legge n. 349/1986, giacche' nuove riserve naturali possono essere individuate dal Governo solo mediante la procedura di cui all'art. 83, quarto comma (indirizzo e coordinamento), spettando al Ministro dell'ambiente ai sensi dell'art. 5 citato un "mero potere di proposta" (cosi' Corte costituzionale sentenza nn. 830/1988 e 346/1990) e non di diretta istituzione di parchi e riserve mediante atti amministrativi (sul punto cfr. anche sentenze n. 123/1988, 1029 e 1031 del 1988). Alle argomentazioni che precedono potrebbe obiettarsi che, sebbene compresa nei confronti di una sola regione, la riserva naturale il Ministero ha inteso istituire ha ugualmente "carattere" nazionale per la rilevanza scientifica o paesaggistica del territorio protetto. Tale obiezione va - ad avviso di questa difesa - rivocata in serio dubbio perche' il carattere nazionale-interregionale o regionale dei parchi non puo' derivare che dalla sua dimensione: a maggior diversamente non sussisterebbe altrimenti alcun criterio discriminatorio sicuro nel riparto delle competenze operato dal d.P.R. n. 616/1977. Infatti, se lo Stato potesse dichiarare di interesse nazionale qualsiasi territorio, ancorche' compreso nel territorio di una sola regione, e istituirvi una riserva o un parco la competenza regionale costituzionalmente garantita e riconoscuta dal d.P.R. n. 616/1977 in attuazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione verrebbe totalmente compromessa. Ma anche ad ammettere tale diversa lettura della normativa in materia - ad ammettere cioe' che nell'area tutelata potrebbe essere costituita una riserva naturale di livello nazionale ancorche' di dimensione infraregionale - va contestato allora l'uso che di tale potere ha fatto o Stato attraverso il Ministro dell'ambiente. Appare, infatti, evidente che se l'istituzione di una riserva statale deve avvenire mediante la procedura dell'indirizzo e coordinamento - mediante cioe' una formula collaborativa e non autoritativa nei rapporti fra livelli di competenze statali e regionali - lo Stato potrebbe intervenire solo in via sostitutiva, e cioe' mediante un atto governativo emesso a seguito di inutili sollecitazioni ad adempiere dirette alla regione interessata senza che questa abbia provveduto. Non solo, ma lo Stato dovrebbe comunque suffragare la propria decisione di intervenire in via sostitutiva mediante rigorosi argomenti di ordine motivatorio sia in ordine alla sussistenza dell'interesse nazionale o di un obbligo internazionale, sia in ordine all'inerzia regionale (cfr. Corte costituzionale sentenze nn. 346/1990, 830 e 633 del 1988, 407/1989 e 139/1990). Nel caso nostro, non e' dato di rinvenire nel d.m. 28 dicembre 1990 alcuna adeguata motivazione in ordine alla sussistenza di tale interesse nazionale o internazionale - non essendo certo sufficienti le tralaticie e generiche indicazioni invi contenute sugli interessi ambientali, morfologici, naturalistici, geologici della zona - soprattutto in considerazione del fatto che, come si diceva, la regione del Veneto gia' ha considerato l'area come "di massima tutela paesaggistica" nell'ambito del p.t.r.c. adottato, piano che non viene nemmeno considerato nel d.m. sebbene debitamente trasmesso agli organi del Governo e a tutti i Ministri interessati. Il d.m. avversato deve dunque ritenersi invasivo delle competenze regionali non solo perche' il Ministro ha inteso esercitare un potere di istituzione di una nuova riserva, mentre avrebbe dovuto limitarsi ad esercitare il potere di proposta nei confronti del Governo, nelle forme dell'indirizzo e coordinamento, ma anche perche' ha istituito una riserva naturale in area infraregionale senza indicare per quali motivi il Ministro abbia inteso sostituirsi nell'esercizio dei potersi regionali in materia e senza dimostrare che la regione Veneto - del resto neppure interpellata - non dispone di mezzi e di poteri adeguati alla tutela dell'area ovvero che, pur disponendo di tali poteri, non abbia inteso esercitarli. Quanto, specificatamente, alle misure di salvaguardia stabilite nel d.m. avversato deve ribadirsi che il Ministro avrebbe solo potuto adottare misure di salvaguardia, con le quali vietare qualsiasi trasformazione dei luoghi, ma esclusivamente nelle aree individuate dal Governo. Le misure concretamente stabilite sono peraltro illegittime anche perche' appaiono cosi' stabilite sono peraltro illegittime anche perche' appasiono cosi' minuziose (cfr. art. 3 del d.m.) e indeterminate nel tempo, da costituire non una salvaguardia limitata e temporanea, ma una vera e propria regolamentazione dell'uso del territorio, slegata dal fine essenziale cui dovrebbero essere preordinate (evitare la trasformazione dei luoghi). Non solo, ma anche quelle - fra le misure di salvaguardia - che realmente possono ritenersi dirette ad evitare una trasformazione dei luoghi sono altresi' inutili giacche' si sovrappongono alle misure di salvaguardia derivanti dal piano territoriale regionale di coordinamento per l'area di cui trattasi, creando cosi' un inutile doppione normativo, che rende giuridicamente incerta la fonte e la portata delle prescrizioni. Inoltre l'aver dettato misure di salvaguardia che replicano quelle gia' assunte dalla regione, contrasta con il principio stabilito da questa Corte (cfr. sentenze nn. 346/1990 e 830/1988) che lo Stato puo' intervenire in via sostitutiva solo nel caso di persistete inattivita' delle regioni e a seguito di inutili sollecitazioni ad adempiere. Poiche' nel caso la regione del Veneto non e' stata affatto inerte, avendo provveduto ad adottare precise misure di salvaguardia relativamente alle medesime aree comprese nell'ambito del p.t.r.c., debitamente comunicato al Governo e a tutti i Ministri interessati, e non e' stata comunque ne' sollecitata a provvedere, ma neppure interpellata (|), le misure di salvaguardia imposte costituiscono un illegittimo uso del potere sostitutivo dello Stato, mancandone i presupposti legittimanti. Tale profilo di illegittimita' va ulteriormente sviluppato, sotto un aspetto parzialmente diverso, sottolineando l'illegittimita' dell'operato ministeriale per difetto assoluto di motivazione e di istruttoria. Il Ministero, invero, che pur aveva sicura conoscenza del p.t.r.c. Veneto - giacche' la regione Veneto glielo trasmise all'atto dell'adozione - non ha tenuto in alcuna considerazione i vincoli e la salvaguardia imposti dalla regione. Il Ministero, cioe', non ha ritenuto di motivare in alcun modo in ordine alla necessita' delle (ulteriori) misure di salvaguardia imposte, in correlazione alle misure di tutela gia' assunte dalla regione, incorrendo cosi' in un vistoso difetto di motivazione: atteso che la motivazione e' elemento necessario dei provvedimenti amministrativi discrezionali, qual'e' certo quello in questione, e tanto piu' necessaria quanto piu' straordinario o eccezionale e incidente su interessi diversi (pubblici e privati) e' il potere esercitato. E crediamo di aver gia' dimostrato sopra perche' il potere esercitato dal Ministro sia straordinario, giustificato solo (e sempre che lo si voglia giustificare) dalla totale assenza di protezione di un'area naturalisticamente importante, dal momento che spezza lo schema istituzionale del riparto di competenze fra Stato e regioni disegnato dal d.P.R. n. 616/1977 in conformita' al dettato costituzionale (sul punto cfr. sentenza n. 346/1990). La verita' e' che, in un malinteso spirito di emergenza ambientalista, frettolosamente e senza alcuna considerazione dell'operato delle regioni piu' attente, il Ministro non ha minimamente considerato se l'area non avesse gia' ottenuto sufficiente protezione da parte dell'ente regionale preposto alla tutela ordinaria dei beni ambientali e non s'e' conseguentemente preoccupato di giustificare la propria scelta. Tant'e' che il d.m. avversato prevede una perimetrazione del tutto casuale seguendo versanti, tagliando a meta' monti e divagando per valli senza alcuna logica, senza che sia dato di capire se vi sia stato qualche approfondimento geomorfologico, botanico, zoologico e forestale. 2. - Violazione degli artt. 81, 117, 118 e 119 della Costituzione. Illogicita' manifesta e violazione del principio di tipicita' e nominativita' degli atti amministrativi. Come si ricordava nelle premesse, il d.m. qui avversato, oltre che invadere palesemente le competenze regionali, ha fin'anche ritenuto di poter sottoporre all'autorizzazione dello stesso Ministero dell'ambiente, di intesa con la regione interessata (rectius la regione Veneto) le eventuali varianti agli strumenti urbanistici regionali e, comunque, determinati "interventi" ritenuti di rilevante trasformazione del territorio che lo stesso decreto elenca (cfr. art. 9). Non occorre spendere molte parole per dimostrare l'abnormita' di simile previsione autorizzativa, che (in questi termini) non trova base in alcuna disposizione legislativa ed anzi contrasta con le competenze regionali, sia legislative sia amministrative, in materia urbanistica e di opere pubbliche di interesse regionale previste dagli artt. 117 e 118 della Costituzione. Solo la legge, infatti, puo' attribuire - e comunque nel rispetto delle norme di riparto delle competenze fra Stato e regioni - una competenza autorizzatoria in capo al Ministero, da esercitare con l'intesa della regione interessata in una determinata materia. Non puo' invece, il Ministro - in assenza di disposizioni legislative - autoattribuirsi tale competenza in una materia regionalizzata, ancorche' ritenga di autolimitarsi prevedendo l'esercizio del medesimo potere di intesa con la regione. Vista dalla parte della regione, invero, l'intesa costituisce egualmente una grave limitazione delle competenze regionali nelle materie (urbanistica e lavori pubblici) che le spettano in base agli artt. 117 e 118 della Costituzione. Non solo, ma prevedendo (cfr. art. 5) che la gestione della riserva naturale statale - istituita per iniziativa autonoma (e, come s'e' visto, nei motivi che precedono, illegittima) del Ministro dell'ambiente - venga finanziata non solo con interventi finalizzati dallo Stato, ma altresi' con i proventi dalla regione Veneto e dalla provincia di Belluno (proventi che non vengono considerati nemmeno come eventuali, a differenza dei contributi di altre amministrazioni pubbliche), il d.m. viola altresi' i principi costituzionali posti dagli artt. 81 e 119 della Costituzione: l'art. 81 giacche' non vengono indicati (ne' forniti) i mezzi con i quali gli enti locali e la regione dovrebbero fra fronte agli oneri della gestione; l'art. 119, giacche' l'autonomia finanziaria attribuita dalla Costituzione alla regione, nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Regione, nonche' puo' essere evidentemente conculcata mediante una semplice provvedimento amministrativo che impone una spesa non deliberata autonomamente dagli organi alla regione. Violazioni particolarmente evidenti se si considera che il d.m. pretende di porre a carico (anche) della regione la gestione di una riserva statale, dallo Stato decisa e dallo Stato affidata ad un consorzio di gestione del quale la regione puo' anche non far parte (cfr. art. 4). Illegittimita' che, alla stregua di quest'ultimo rilievo, manifesta anche una evidente illogicita'.