IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel processo penale n. 70/1993
 a  carico di Vantaggiato Rosato, nato a Leverano l'8 febbraio 1954 ed
 ivi residente in via Marconi, elettivamente domiciliato in via  Leuca
 n. 21; Zaccardi Marino, nato a S. Pietro in Lama il 30 aprile 1936 ed
 ivi elettivamente domiciliato in via G. Bruno n. 4; Brandolini Carlo,
 nato  a  Castellammare di Stabia il 24 marzo 1937, residente in Lecce
 in via Oberdan n. 93; De Gaetani Eugenio, nato a Ugento il 10  maggio
 1935,  residente  in  Lecce  in via Imperatore Adriano n. 10/b; Volpe
 Paolo, nato a Torre dei Passeri l'8 aprile 1938, residente  in  Lecce
 via S. Nicola n. 4, imputati: i primi due del reato di cui agli artt.
 345 e 389, lett. b), del d.P.R. n. 547/1955; tutti del delitto di cui
 all'art. 589 del c.p., commessi in Lecce il 26 marzo 1990;
    Visti gli atti del processo;
                             O S S E R V A
    Il  5  dicembre  1992  il  procuratore  della Repubblica presso la
 pretura circondariale di Lecce emetteva nei confronti di  Vantaggiato
 Rosato, Zaccardi Marino, Brandolini Carlo, De Gaetani Eugenio e Volpe
 Paolo  decreto di citazione a giudizio innanzi a questo pretore per i
 reati di cui sopra.
    All'udienza dibattimentale del 19 febbraio 1993  Zaccardi  Romina,
 in proprio e quale genitore esercente la patria potesta' sulla figlia
 minore Ilenia Perrone, si costituiva parte civile contro gli imputati
 Brandolini  Carlo,  De  Gaetani  Eugenio  e Volpe Paolo con ministero
 dell'avv. Anna Salvi.
    Subito  dopo  compiuto  per  la  prima  volta l'accertamento della
 costituzione  delle  parti,  l'avv.  Salvi  sollevava  questione   di
 legittimita' costituzionale dell'art. 558, secondo comma, del c.p.p.,
 in relazione art. 83, quinto comma, del c.p.p., come modificato dalla
 sentenza della Corte costituzionale n.  453 del 17 novembre 1992, per
 violazione  degli  artt.  3  e  24,  primo  e  secondo  comma,  della
 Costituzione.
    Assumeva il rappresentante della parte civile che l'esiguita'  del
 termine  di  cinque giorni previsto dall'art. 558, secondo comma, del
 c.p.p. per la citazione della persona offesa precludeva a  questa  la
 possibilita'  di  esercitare il diritto di costituirsi parte civile e
 chiamare in causa il responsabile civile.
    Denunciava l'avv.  Salvi  che  la  citata  sentenza  n.  453/1992,
 dichiarando  illegittimo  l'art.  83,  quinto comma, del c.p.p. nella
 parte in cui non prevede per la citazione del responsabile civile nel
 procedimento davanti al pretore il medesimo termine di quarantacinque
 giorni assegnato all'imputato dall'art. 555, terzo comma, del c.p.p.,
 aveva sconvolto il sistema delineato dal legislatore, il quale  aveva
 modellato  l'istituto  del  responsabile civile, citato o intervenuto
 nel processo penale, sullo schema della parte civile, impedendo  alla
 persona   offesa   la   tutela  dei  propri  diritti  per  l'assoluta
 impossibilita' di questa, venuta a conoscenza del giorno fissato  per
 il  dibattimento  soltanto cinque giorni prima, di espletare in tempo
 utile le formalita' necessarie per rendere efficace  la  costituzione
 di  parte  civile  e  quindi  formulare la richiesta di citazione del
 civilmente responsabile nel rispetto del termine di  notifica  minimo
 di quarantacinque giorni.
    Orbene,  non ignora questo giudice che la Corte costituzionale con
 la stessa sentenza n. 453 ha dichiarato inammissibile la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 558, secondo comma, del  c.p.p.
 per  il  motivo  che  "la scelta del termine congruo per la citazione
 della persona offesa  nel  giudizio  pretorile  non  appartiene  alla
 competenza  di questa Corte, dovendo essere affidata al legislatore",
 ma ritiene opportuno  riproporla  evidenziandosi  la  violazione  del
 precetto costituzionale di cui al primo comma dell'art. 24 proprio in
 conseguenza   della  intervenuta  inconciliabilita'  tra  il  termine
 previsto dall'art. 558, secondo comma, del c.p.p. ed il  termine  per
 la  citazione  del responsabile civile quale e' venuto a determinarsi
 per effetto della  pronuncia  di  incostituzionalita'  dell'art.  83,
 quinto comma, del c.p.p.
    Il  diritto  di  azione e di difesa della persona offesa dal reato
 risulta compromesso perche' il termine minimo di cinque giorni  dalla
 data fissata per il dibattimento per la sua citazione puo' vanificare
 di  fatto  il diritto di costituirsi parte civile "soprattutto quando
 sia in gioco la citazione del responsabile  civile",  cosi'  come  la
 stessa Corte costituzionale ha riconosciuto.
    L'incongruita' del termine di cui all'art. 558, secondo comma, del
 c.p.p.  non rende effettiva la possibilita' di esercizio del "diritto
 alla giurisdizione", che spetta all'offeso,  rendendo  inoperante  la
 tutela accordata al soggetto.
    Interessanti  sono  la  riguardo le numerose sentenze della stessa
 Corte costituzionale che hanno trattato ex professo l'argomento della
 congruita' dei termini processuali con riferimento all'esercizio  del
 diritto di difesa.
    Con tali sentenze e' stato enunciato il principio che "La brevita'
 di  un  termine per agire in giudizio e' da ritenere contrastante con
 quanto stabilito dall'art. 24 della Costituzione, solo se e' tale  da
 non rendere effettiva la possibilita' di esercizio del dititto cui si
 riferisce"  (Corte costituzionale 28 gennaio 1970, n. 10; 27 febbraio
 1974, n. 46; 17 luglio 1974, n. 234; 10  giugno  1982,  n.  110).  Ed
 ancora,  "Il  precetto costituzionale di cui al primo comma dell'art.
 24 risulta violato solo quando sia imposto un onere  tale  o  vengano
 prescelte  modalita'  tali  da  rendere  impossibile  o  estremamente
 difficile l'esercizio del diritto di difesa da parte di uno qualunque
 degli interessati" (Corte costituzionale 9 luglio 1974, n. 214).
    Non vi e' dubbio che sia consentito al legislatore,  valutando  la
 diversa  struttura  dei  procedimenti,  i  diritti e gli interessi in
 gioco, le peculiari finalita' dei vari stati e gradi della procedura,
 dettare specifiche modalita' per l'esercizio del diritto  di  difesa,
 ma  cio'  puo'  fare  a  condizione  che esso venga, nelle differenti
 situazioni processuali, effettivamente garantito a tutti su un  piano
 di uguaglianza.
    La   par  condicio,  evocata  dal  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione, e' venuta meno nel momento  stesso  in  cui,  dovendosi
 rinvenire  nell'assetto  normativo  del  codice  di rito una norma di
 riferimento per la vocatio in iudiciom del  civilmente  responsabile,
 questa  e' stata individuata nell'art. 555, terzo comma, che prevede,
 a favore dell'imputato, un termine dilatorio di quarantacinque giorni
 tra la notifica del decreto di citazione a giudizio e la data fissata
 per quest'ultimo.
    Sebbene non possa affermarsi che le posizioni dell'imputato e  del
 responsabile   civile   siano   del   tutto   omogenee  e  non  trovi
 giustificazione per il responsabile civile la conoscenza del  decreto
 che dispone il giudizio nell'identico termine previsto per l'imputato
 con  riferimento  alla facolta' a questo riconosciuta di richiedere i
 riti alternativi di deflazione del dibattimento entro quindici giorni
 dalla  notifica  del  decreto,  si  e'  ritenuto   di   fare   godere
 dell'identico termine di comparizione dette parti.
    Escludendosi   l'estensione   alla   persona  offesa  del  termine
 stabilito dall'art. 555, terzo comma, del  c.p.p.  per  l'imputato  e
 dall'art.  83,  quinto comma, del c.p.p., cosi' come modificato dalla
 sentenza della Corte costituzionale n. 453/1992, per il  responsabile
 civile,   risulta   compromesso   il  principio  della  par  condicio
 duplicandosi  e  differenziandosi  irragionevolmente  i   presupposti
 temporali  per  l'esercizio  del diritto di difesa, non consentendosi
 all'offeso, che  si  appresti  ad  esercitare  e  poi  effettivamente
 eserciti   l'azione  civile  da  reato,  di  agire  su  un  piano  di
 uguaglianza pur nella contrapposizione di ruoli e di interessi con le
 altre parti.
    Peraltro, nei procedimenti devoluti alla competenza del  tribunale
 e  della  corte di assise tutte le parti private godono dell'identico
 termine di comparizione, come si ricava  dalla  previsione  dell'art.
 429  e  dell'art.  465,  secondo  comma,  del  c.p.p.,  nonche' dalla
 interpretazione secundum Constitutionem delineata nella  sentenza  n.
 430 in data 10 novembre 1992 della Corte costituzionale.
    Si  e'  in  presenza dunque di due discipline: la prima davanti al
 tribunale ed alla corte di assise rispettosa della par  condicio;  la
 seconda  davanti  al  pretore che irragionevolmente non rispetta quel
 principio.
    La prospettata  questione  e'  rilevante  nel  giudizio  in  corso
 perche'  se  venisse  dichiarata  l'illegittimita' costituzionale del
 citato articolo del codice di procedura  penale,  la  nullita'  della
 citazione  della persona offesa per l'inosservanza del termine minimo
 dilatorio di comparizione e  la  conseguente  rinnovazione  dell'atto
 consentirebbe  alla  Zaccardi  (art.  90, terzo comma, del c.p.p.) di
 esercitare pienamente le facolta' e i diritti previsti  dalla  legge,
 chiamando in causa il responsabile civile.